Alessandro Robecchi: «Nostalgia Balilla»

Pubblico, con la cortese autorizzazione dell’autore, un articolo di Alessandro Robecchi uscito sul manifesto di venerdì 24 settembre.

Editoriale – Nostalgia Balilla

Pancia in dentro, petto in fuori! At-tenti! Finalmente una buona notizia per la scuola italiana: i professori vengono licenziati a mazzi, i soffitti cascano in testa, le strutture fanno schifo e compassione, ma in compenso possiamo tutti tirare in aria i berretti e gridare hurrà per il solenne protocollo d’intesa firmato tra la ministra Gelmini, beata ignoranza, e il sor La Russa, il colonnello alla parata militare. In alto i cuori! Il protocollo d’intesa si ammanta di notevoli paroloni, roba forte qui nel Berlusconistan, come ad esempio “conoscenza e apprendimento della legalità e della Costituzione”. Ma questa è la teoria, roba da comunisti. È la pratica che è più interessante, e prevede: “cultura militare”, “arrampicata”, “tiro con l’arco e con la pistola” (ad aria compressa, aggiunge pietoso il documento), senza contare “nuoto e salvamento” e “orienteering”. Insomma, una specie di incrocio tra i littoriali, il sabato fascista e i film con Alvaro Vitali, il tutto sotto l’occhio vigile di La Russa e della sciura Gelmini, eletta dalla lobby dei cacciatori nella patria della Beretta, pistola italiana. Protocollo d’intesa denominato “Allenati per la vita”, che insegna tra le altre cose anche il “pernottamento in luoghi ostili”, cosa che potrebbe tornare utile alle ragazze che restano bloccate nottetempo nei cessi di Palazzo Grazioli. Non basta. A coronare il virile cimento arriverà alla fine una “gara pratica tra pattuglie di studenti” che varrà come credito formativo. “Mamma, non rompere che c’ho tre in matematica, perché ho preso ottimo nel passo del giaguaro!”. È così che si forma una classe dirigente, imparando a dire signorsì. Non si parla di bombe a mano e di sommergibili rapidi ed invisibili, ed è una notevole pecca dell’iniziativa (forse mancano i fondi), ma siamo certi che qualcuno porrà rimedio. Il tutto agli ordini di un centinaio di ufficiali in congedo, consapevoli che, dalle strutture alle finalità, dalle scale alle camerate, un liceo può somigliare perfettamente a una caserma. Il tutto, manco a dirlo, sponsorizzato da enti pubblici e privati, il che significa che l’ora di attività ginnico-militare (sic!) o la visita al poligono saranno finanziate dall’illuminata industria italiana: perché avere cittadini quando si possono avere soldati semplici? L’intesa è per ora regionale (Lombardia) e riguarda le scuole medie superiori, ma non disperiamo: la nostalgia è una brutta bestia e la tentazione di vestire da Balilla anche i più piccoli si farà strada presto. Scritta in un esilarante burocrat-militarese, la circolare che informa la popolazione pare di suo un capolavoro satirico. Ed addirittura strepitoso è il passaggio teorico in cui si spiega che tanto dispiego di mezzi di aria, di cielo e di terra (e di pistole ad aria compressa) ha tra le altre finalità “il contrasto del bullismo”. Insomma, qualcosa tipo: “Mamma, c’era un bullo, ma l’ho fatto secco”. Molto educativo. Naturalmente si sa come andrà a finire. Niente soldi per la benzina del cerchio di fuoco, due proiettili per settecento studenti, corsi di orienteering nel cortile della scuola e – se piove, nevica o tira vento – fornitura di speciali scarponi in cartone pressato, nella più pura tradizione dell’esercito italiano. E fin qui, naturalmente, al netto di incidenti, sempre possibili di fronte a una truppa riottosa e bambocciona come ci si immagina quella degli studenti. “Capitano, me so’ sbagliato… Ho spezzato le reni al prof di greco!”. Triste destino di un popolo imbelle a cui si chiede, “per fare gruppo”, di mettere l’elmetto a scuola. Cosa che del resto chiedono ormai anche le mamme più avvertite. “Mettiti l’elmetto Gino, che in aula ti casca il soffitto sulla capoccia”. Cronache italiane, insomma. Alalà! Continua a leggere

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Er gran premio de Roma

, anvedi quanta cultura storica, quale capacità argomentativa e che popò de motivazzioni dietro all’idea der sinnaco Alemanno de portà a Roma er gran premio de Formula 1! Ce lo conferma, cor «bello stilo» che je fà tanto onore, Maurizio Flammini, presidente de Federlazio il quale, citando una fonte davero incontestabbile (Emma Marcegaglia, su’ omologa in Confindustria) cerca de tirà ‘mballo er solito motivo dello «sviluppo del Paese».

«Noi stiamo facendo tutto il possibile lavoro per portare a Roma un risultato», ha dichiarato Flammini. «La Marcegaglia oggi ha detto che il turismo è il vero motore del futuro dell’Italia» (che origginalità!) e «potrebbe portare dal 9,5% al 18, 5% il Pil, quanto produce di percentuale sul Pil nazionale» (sic, forse me so’ perzo quarcosa). «Quindi una cosa straordinaria, più di qualsiasi altra attività industriale o commerciale. E pertanto questa è la cosa da perseguire». «Quindi», e qui Flammini se lancia ner silloggismo puro, «se vogliamo perseguire il turismo dobbiamo facilitare tutte quelle attività che portano al turismo. E allora dire ‘no’ al Gran Premio di Formula 1 significa dire un ‘no’ alla Marcegaglia, dire un ‘no’ alla Confindustria e dire un ‘no’ all’Italia» (bello er climax retorico-ascendente).

Insomma: er gran premio se deve fà. Nun lo vole nessuno? E che je fà? Impatta? E chissefrega, che, tanto, peggio de così… Ma l’avete vista come s’espande Roma? Una stronzata impiù, una in meno, ma cosa volete che cambi? Tantopiù che tutto er processo sarà condiviso colla popolazzione (quella che non lo vole, ndr). Ce penza Flammini – ancora lui – a rassicuracce:

«Le novità sono buone, tutto va molto bene. Ora il processo privatistico, quello amministrativo, è diciamo al 90%. Manca tutto il processo autorizzativo e quindi anche il coinvolgimento dei cittadini, che adesso sarà fatto dal Comune, non appena saranno pronti tutti i documenti che debbono essere appunto mostrati al pubblico».

Tutto bene, dunque: dopo che avranno stabbilito ogni cosa, er cittadino potrà scejie come je pare a lui, e la parola sua sarà definitiva. Come hanno fatto a Vicenza colla base americana, o in Val de Susa, o sui du’ lati dello stretto de Messina. Perché, andove ce sta lo jure, er diritto dei popoli e la democrazzia, là l’appetito dei costruttori e degli uomini d’affari se fà da parte solo, autonomamente. Continua a leggere

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Confermata l’esecuzione di Teresa Lewis

Il patibolo nella fortezza-prigione nazista di TerezinFirma l’appello di Amnesty International per Teresa Lewis, donna statunitense che sta per essere assassinata mediante iniezione letale.

Consulta il sito SaveTeresa.org.

Quando si è contro la pena di morte non si fanno preferenze. Sono contento della mobilitazione internazionale per Sakineh Ashtiani, che forse le salverà la vita.

La fortuna di Sakineh è paradossalmente quella di vivere in uno Stato che l’occidente considera «canaglia». Uno Stato sul quale i nostri media tengono gli occhi puntati.

Teresa Lewis non è così fortunata: vive negli Stati uniti d’America, secondo alcuni «la più grande democrazia del mondo». Talmente grande che può permettersi di applicare impunemente la pena di morte nel disinteresse generale.

Sakineh e Teresa sono accusate dello stesso crimine e condannate alla stessa pena (in queste cose a fare la differenza non è certo lo strumento con il quale si esegue la condanna e l’«asettica» iniezione è letale quanto la «barbara» lapidazione).

Teresa Lewis è accusata di aver pianificato l’omicidio del marito e del figliastro. Si sarebbe servita di due sicari, già condannati all’ergastolo. Qui il punto non è stabilire se Teresa è colpevole o innocente. E importa solo fino a un certo punto che alla donna sia stata diagnosticata una «disabilità mentale borderline».

Ciò che importa è piuttosto che cosa si pensi della pena di morte, a più di 240 anni dall’uscita di Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria.

Ciò che importa è l’ipocrisia (ancora!) del sistema e dei media, che scelgono chi condannare e a chi salvare la vita.

Nei confronti di Teresa, verso la quale la condanna capitale è stata confermata (dovrebbe avvenire domani 23 settembre alle ore 21) abbiamo il dovere di chiedere l’attenzione del mondo.

Chi ha lottato e lottagiustamente – per Sakineh deve impegnarsi perché la vendetta di Stato sia bandita anche da quei Paesi che, proprio in virtù del loro presunto livello di civiltà si sentono al di sopra di ogni giudizio morale.

Chi ha lottato e lottagiustamente – per Sakineh deve impegnarsi perché i media abbiano il coraggio di raccontare tutte le verità per essere, come dicono alcuni, «i cani da guardia della democrazia e dei diritti».

Sulla vicenda di Teresa Lewis un articolo molto completo dell’Ansa.

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Ancora sul Ministero della Guerra

Un amico mi ha detto che non intende firmare la mia petizione per il ripristino del nome «Ministero della Guerra» contro l’ipocrisia della «guerra umanitaria» (petizione, del resto, ferma da due giorni a 8 firme!), perché si tratta di una questione puramente formale.

Ha aggiunto che spesso queste iniziative online lasciano il tempo che trovano, perché magari una persona è attivissima su internet, e poi non fa nulla nella vita reale.

La seconda obiezione è condivisibile: l’attivismo non può essere limitato alla rete e una petizione, in sé, può non servire a molto. Tuttavia, porta via pochissimo tempo e in un gruppo online si può sempre discutere e scambiarsi idee.

La prima obiezione, invece, è sbagliata.

Ripristinare il nome «Ministero della Guerra» per dire no all’ipocrisia della «guerra umanitaria», infatti, è una questione di sostanza, come sanno i linguisti e gli studiosi del costume. Perché accade, soprattutto nelle società complesse, che siano le parole a guidare i popoli (pensiamo a chi ha in mano i mezzi d’informazione); sono le parole a nascondere le verità scomode.

Le nostre democrazie, molto imperfette, si reggono sull’eufemismo e la mistificazione linguistica. Ma ogni cosa ha conseguenze che possono rivelarsi dolorose. Nel nome della pace ci rendiamo complici di chi bombarda l’Afghanistan. Nel nome dell’aiuto umanitario mandiamo a morire i nostri soldati. A morire ammazzando.

Proprio sul «manifesto» di oggi (21 settembre) ho letto l’appello dell’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti che, in concomitanza con il funerale del tenente Romani, ucciso in battaglia, ha chiesto di smettere le ipocrisie e di chiamare ciò che facciamo in Afghanistan con il suo nome: guerra.

«Se quella in Afghanistan fosse considerata una guerra», ha detto Falco Accame, presidente dell’Associazione, «agli orfani e alle vedove spetterebbero i trattamenti previsti per una situazione di guerra. L’ipocrisia con cui mascheriamo come operazioni di pace quelle che sono operazioni di guerra fa sì che si adotti il codice di pace e che quindi non si abbia il dovuto risarcimento per le vittime, che in condizioni di guerra ricevono trattamenti molto più adeguati».

E poi che senso ha condannare una società che diventa sempre più orwelliana senza volerne riconoscere e scardinare la neolingua?

Invito dunque tutte e tutti a firmare la petizione online per il ripristino del Ministero della Guerra e a iscriversi al relativo gruppo di Facebook. Continua a leggere

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Le indagatrici degli incubi [da Femminismo a Sud]

Un modo interessante per passare dal virtuale al reale. E un semplice copiaincolla, dal blog Femminismo a Sud.

Anche questa è stata una mattinata proficua. Abbiamo fatto finta di essere un po’ sex in the city in terra sicula e siamo andate a fare colazione in un bar. La più golosa del gruppo ha intrapreso una piacevole sessione orale con una brioche e gelato (la migliore brioche con gelato di tutta la città, ci tiene a precisare lei).

Il bar è sempre un via vai di giovani e meno giovani fanciulli che alla vista di un po’ di ragazze sedute al tavolo si lasciano volentieri interrogare senza alcun sospetto. A noi sembrava il modo migliore e meno impegnativo per porre una questione senza allarmare gli uomini intervistati. Continua a leggere

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Se vi siete commossi per Sakineh Ashtiani perché non vi interessa Teresa Lewis? [da Giornalismo Partecipativo]

Copio e incollo da Giornalismo Partecipativo questo articolo di Gennaro Carotenuto.

Hanno più o meno la stessa età ed entrambe sono accusate di aver ammazzato il marito. Entrambe sono state condannate a morte nei loro rispettivi paesi, lo squallido regime degli Ayatollah iraniani e la grande democrazia statunitense.

Ma mentre per Sakineh Ashtiani c’è stata una campagna mondiale di solidarietà, che potrebbe averle salvato la vita, Teresa Lewis sarà giustiziata nel silenzio giovedì alle 21 nel carcere di Greensville nella Virginia con un’iniezione letale.

Ciò senza che la sua faccia sia esposta su monumenti ed edifici pubblici, senza raccolte di firme e manifestazioni a comando sui grandi media.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it.

Firma l’appello di Amnesty International per salvare Teresa Lewis.

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4a Aicram Granparadiso «I colori del bosco»

Un momento dell'Aicram 2009

Domenica 17 ottobre avrà luogo l’Aicram Granparadiso «I Colori del Bosco», marcia autogestita dai partecipanti che giunge quest’anno alla sua quarta edizione. Le persone interessate sono attese a Cogne (Aosta), nei prati di Sant’Orso (vicino al parco giochi) a partire dalle 8.00. Il via sarà dato alle 8.30.

Per chi non la conoscesse, dirò che si tratta dell’edizione autunnale della Granparadiso estate. Il nome bizzarro è dovuto al fatto che il tragitto – lo stesso dell’edizione di luglio – è percorso in senso contrario (si legga Aicram da destra a sinistra). Dopo un primo «giro trionfale», quindi, ci si arrampica per il sentiero di Les Ors e si scende a Epinel, proseguendo poi verso Gimillan, Lillaz, la Valleille, Valnontey e poi di nuovo Cogne, secondo un itinerario circolare. Si consulti in proposito l’itinerario illustrato 2010.

Il percorso è abbastanza lungo (fra i 30 e i 40 chilometri, ma nessuno li ha mai contati veramente). In compenso è bello e la stagione permette di osservare i colori dell’autunno. È un’occasione per visitare in un giorno buona parte della valle di Cogne, fra boschi, cascate e torrenti.

Anche chi non si sente un atleta è invitato a partecipare. Non c’è iscrizione, dunque non c’è spesa (solo il vincitore ha l’obbligo di comprarsi la coppa, pena la squalifica) ed è possibile ritirarsi in ogni momento, perché la distanza massima da un centro abitato è di un’ora circa. Andare piano non solo è permesso, ma è consigliato (e il regolamento vieta espressamente di correre) perché lo spirito è quello di passare una tranquilla giornata all’aperto, da soli o in compagnia. Non esiste, infine, un limite massimo di tempo per l’arrivo.

L’organizzazione è interamente a carico di chi partecipa: occorre perciò cronometrarsi da soli (basta un normale orologio, non interessano i secondi e i decimi) e il rispetto del regolamento (consegnato alla partenza insieme all’itinerario) è affidato all’onestà e alla sportività dei partecipanti.

Per ulteriori informazioni è possibile fare riferimento a questo blog, che sarà più volte aggiornato da qui al 17 ottobre, oppure scrivere un’e-mail a granparadisoestate[at]gmail.com, indirizzo presso il quale è anche possibile richiedere l’inserimento nella mailing list della Marcia/Aicram Granparadiso.

Per chi volesse, è stato anche aperto un gruppo su Facebook, con relativo evento.

IV AICRAM GRANPARADISO «I COLORI DEL BOSCO»
Cogne, 17 ottobre 2010

REGOLAMENTO DELLA GARA

1) Sono ammessi tutti i concorrenti desiderosi di partecipare. È prevista un’unica categoria: non si fanno distinzioni in base al sesso o all’età dei partecipanti. Continua a leggere

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