Ancora sul Ministero della Guerra

Un amico mi ha detto che non intende firmare la mia petizione per il ripristino del nome «Ministero della Guerra» contro l’ipocrisia della «guerra umanitaria» (petizione, del resto, ferma da due giorni a 8 firme!), perché si tratta di una questione puramente formale.

Ha aggiunto che spesso queste iniziative online lasciano il tempo che trovano, perché magari una persona è attivissima su internet, e poi non fa nulla nella vita reale.

La seconda obiezione è condivisibile: l’attivismo non può essere limitato alla rete e una petizione, in sé, può non servire a molto. Tuttavia, porta via pochissimo tempo e in un gruppo online si può sempre discutere e scambiarsi idee.

La prima obiezione, invece, è sbagliata.

Ripristinare il nome «Ministero della Guerra» per dire no all’ipocrisia della «guerra umanitaria», infatti, è una questione di sostanza, come sanno i linguisti e gli studiosi del costume. Perché accade, soprattutto nelle società complesse, che siano le parole a guidare i popoli (pensiamo a chi ha in mano i mezzi d’informazione); sono le parole a nascondere le verità scomode.

Le nostre democrazie, molto imperfette, si reggono sull’eufemismo e la mistificazione linguistica. Ma ogni cosa ha conseguenze che possono rivelarsi dolorose. Nel nome della pace ci rendiamo complici di chi bombarda l’Afghanistan. Nel nome dell’aiuto umanitario mandiamo a morire i nostri soldati. A morire ammazzando.

Proprio sul «manifesto» di oggi (21 settembre) ho letto l’appello dell’Associazione nazionale assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti che, in concomitanza con il funerale del tenente Romani, ucciso in battaglia, ha chiesto di smettere le ipocrisie e di chiamare ciò che facciamo in Afghanistan con il suo nome: guerra.

«Se quella in Afghanistan fosse considerata una guerra», ha detto Falco Accame, presidente dell’Associazione, «agli orfani e alle vedove spetterebbero i trattamenti previsti per una situazione di guerra. L’ipocrisia con cui mascheriamo come operazioni di pace quelle che sono operazioni di guerra fa sì che si adotti il codice di pace e che quindi non si abbia il dovuto risarcimento per le vittime, che in condizioni di guerra ricevono trattamenti molto più adeguati».

E poi che senso ha condannare una società che diventa sempre più orwelliana senza volerne riconoscere e scardinare la neolingua?

Invito dunque tutte e tutti a firmare la petizione online per il ripristino del Ministero della Guerra e a iscriversi al relativo gruppo di Facebook.

Leggi anche Basta ipocrisie: ripristiniamo il Ministero della Guerra.

E, su Famiglia Cristiana, leggi dell’accordo tra Gelmini e La Russa per corsi ginnico-militari valevoli come crediti scolastici.

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5 risposte a Ancora sul Ministero della Guerra

  1. Pingback: Agora’ di cloro Anche io voglio il ministero della guerra in Italia

  2. Davide Valenti scrive:

    Pienamente daccordo, firmo la petizione.

  3. mariobadino scrive:

    Grazie.

  4. Francesco Lucat scrive:

    Ritengo fon damentale ricominciare a chiamare le cose con il loro nome.
    Finchè si continuerà a chiamare \missione di pace\la guerra, \riformismo\ l’ attacco ai diritti del lavoro, \modernizzazione\ il riotorno a rapporti di lavoro ottocenteschi, \libertà di educazione\ la distruzione della scuola pubblica ed il finanziamento a quella privata (pardon, parificata) e così di seguito, reteremo sempre subalterni. Perciò firmo la petizione.

  5. mariobadino scrive:

    Grazie e condivido parola per parola ciò che hai detto!

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