Le indagatrici degli incubi [da Femminismo a Sud]

Un modo interessante per passare dal virtuale al reale. E un semplice copiaincolla, dal blog Femminismo a Sud.

Anche questa è stata una mattinata proficua. Abbiamo fatto finta di essere un po’ sex in the city in terra sicula e siamo andate a fare colazione in un bar. La più golosa del gruppo ha intrapreso una piacevole sessione orale con una brioche e gelato (la migliore brioche con gelato di tutta la città, ci tiene a precisare lei).

Il bar è sempre un via vai di giovani e meno giovani fanciulli che alla vista di un po’ di ragazze sedute al tavolo si lasciano volentieri interrogare senza alcun sospetto. A noi sembrava il modo migliore e meno impegnativo per porre una questione senza allarmare gli uomini intervistati.

Sarebbe stato un po’ macabro parlare subito delle due donne che solo nella giornata di ieri sono state ammazzate da un uomo [1] [2] e dunque siamo partite da lontano.

Abbiamo chiesto se quando litigano con la loro ragazza, moglie, sono soliti dire mai, anche per scherzo, parole come “ti ammazzo”, “ti brucio”, “ti faccio a pezzi”, “ti distruggo”, e altre cose del genere.

Su 37 tra ragazzi e uomini 35 ci hanno detto che usano frasi del genere quando:

– si parla di “tradimento”;

– si parla di possibile fine di una relazione;

– si parla di un comportamento ritenuto “sbagliato” della ragazza/donna.

Tutti ritengono che tali parole non equivalgano a una minaccia. Tutti immaginano che le donne debbano avere sufficiente senso dell’umorismo per calibrare forme di intimidazione con le quali sono costrette a convivere e che rientrano nel linguaggio comune. Alcuni tra questi, quelli più in vena di confidenze che abbiamo contato nel numero di 23, hanno rivelato che usano quelle parole in via indiretta in alcuni casi precisi, ovvero:

– per dire che bruceranno quel particolare abito se lei oserà indossarlo;

– per dire che distruggeranno quel particolare mezzo di locomozione se lei andrà in un determinato posto;

– per dire che faranno a pezzi quel particolare amico o compagno di scuola se lei non smetterà di frequentarlo.

Chiacchierando con molti degli intervistati, in numero di 31 ci hanno detto che tali frasi sono da ritenersi una sorta di dichiarazione d’amore perchè:

– un uomo deve dimostrare che tiene alla donna a qualsiasi costo;

– la donna è sicuramente felice di essere tanto importante da sentire che l’uomo realizzerebbe gesti così gravi “per lei”.

Abbiamo allora chiesto se proibire a una donna di fare qualcosa, uscire, vestirsi in un certo modo, frequentare qualcuno, decidere di mettere fine alla relazione, può essere considerato un gesto d’amore. Tutti, meno uno, ci hanno detto che:

– equivale ad un segno di attenzione e interessamento;

– le donne amerebbero essere condotte per mano perché si sa che da sole non riescono a prendere decisioni;

– tanto le donne fanno quello che vogliono perché ne sanno una più del diavolo e lasciano agli uomini “solo” l’illusione di essere i condottieri.

Un gruppo di ragazzi, seduti esattamente al tavolo vicino al nostro, ha tenuto a raccontare innumerevoli episodi di stalking realizzati nei confronti di alcune ragazze e tutti sono stati d’accordo che:

– chi si vanta del numero di donne con le quali ha avuto una avventura è “un povero impotente”;

– chi ha avuto una storia importante con una ragazza invece è autorizzato a parlarne quando la storia finisce, in special modo se finisce per “colpa” di lei;

– le donne che hanno fatto sesso con un uomo e poi lo lasciano sono tutte puttane tranne mia madre, mia sorella e, ovviamente, con l’espressione paracula, “escluso le presenti”;

– le ragazze che hanno reso infelici i loro ex non meritano di essere felici in futuro.

Riassumendo frasi e modi di dire abbiamo chiesto quali strumenti utilizzavano per comunicare quei “pensieri” alle donne. È stato subito chiaro che gli intervistati ritengono di essere talmente dalla parte della ragione che non hanno idea del fatto che c’è una grande differenza nel pronunciare quelle frasi dentro una singola stanza davanti alla persona che le riceve invece che pronunciarle anzi scriverle tramite svariati sms, email, commenti e messaggi sui social network. Non hanno idea cioè del fatto che quello che forse potevano pronunciare impunemente dentro una singola stanza resta invece impresso nel web a futura memoria. Diventa cioè una prova dello stalking perpetrato.

Abbiamo allora chiesto, senza pensarci oltre e senza mettere tutta la discussione avuta in relazione con la successiva domanda, se avevano mai commesso stalking nei confronti di una donna.

Hanno risposto che:

– assolutamente no, non lo farebbero mai;

– assolutamente no. “ti sembro forse il tipo di fare del male ad una donna? le donne non si toccano nemmeno con un fiore…”;

– assolutamente no e semmai vedesse qualcuno fare qualcosa del genere interverrebbe subito in difesa della donna.

Abbiamo perciò chiesto se sapevano cosa fosse lo stalking. Ci hanno detto che:

– è quando un tizio fa del male alla donna (un male non precisato);

– quando un uomo ferisce con il coltello una donna;

– quando un uomo “manda all’ospedale la donna”.

Abbiamo chiesto se conoscevano la differenza tra stalking e tentato omicidio e la maggior parte, in numero di 33, ci ha risposto che in effetti non c’era differenza e che infatti dire stalking sarebbe come dire tentato omicidio.

Infine abbiamo chiesto che ne pensavano di quelli che ammazzano le donne e tutti hanno dedotto che fosse una cosa estremamente lontana da loro, ovvero che quando parliamo di ammazzare una donna si parla di casi come quello della donna uccisa a pugni per strada a Milano o della donna stuprata e uccisa dal rumeno a Roma. Per tutti, meno uno, uccidere una donna in casa sembrava essere una sorta di “incidente domestico”. Una sorta di effetto collaterale ad una decisione sbagliata. Una conseguenza di un comportamento. Una esecuzione di una sentenza già emessa con quelle parole dette per gioco ogni tanto, quei preavvisi con una scadenza precisa. Comportamenti ritenuti perciò quasi legittimi.

Non abbiamo indagato oltre circa le loro storie personali e familiari perché abbiamo ritenuto fosse sufficiente già questo a farci capire che in termini culturali la violenza contro una donna NON viene percepita come una violenza grazie a chi fa in modo che sia così e grazie anche al ritorno di un richiamo patriarcale al maschio con la clava che è opera di maschilisti quali i padri separati & affini.

L’unico che ha risposto vagamente alle domande e che ha ascoltato con molto interesse la discussione abbiamo scoperto poi essere un docente universitario, di passaggio in quel bar per rifornirsi di cannoli, e un nostro accanito lettore. Non sappiamo come abbia fatto ma ci ha riconosciute e immediatamente ha capito che eravamo femministe a sud in missione speciale. A lui e a tutti quelli come lui va la nostra stima e il nostro saluto con la speranza che riescano a contaminare di pensieri “diversi” tanti ragazzi e uomini affinché in futuro non torturino tante altre donne.

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