Dolce come il fiele

Sai come si fa a diffondere il tarlo con la camicia nera, quello che scava (con il manganello) nella testa della gente, soprattutto quella giovane, e piano piano la convince che gli antifascisti sono una lobby, persone che perseguitano altre persone che hanno il solo torto di non pensarla come loro?

Basta poco, a patto naturalmente di trovarsi nel periodo giusto, con la giusta temperie (a)culturale.

Basta precisare di non essere fascisti, ma in ogni discussione, in ogni singolo commento su internet, in ogni lettera improvvidamente pubblicata da un giornale, dire il contrario di quanto sostengono gli antifascisti e gridare che fascisti sono loro, perché hanno una visione delle cose a senso unico.

È sufficiente buttare lì qualche notizia storica (vera o inventata: la storia è la materia più odiata a scuola – lo dico da insegnante di storia – e poi chi vuoi che “perda tempo” a controllare?). Magari corredarla con qualche vicenda personale, tratta dalla propria storia famigliare al fine di rafforzare l’effetto: «I miei nonni erano partigiani e mi hanno detto che gli altri partigiani rubavano e facevano i loro porci comodi». Un’operazione semplice, in fondo, visto che l’interlocutore non ha idea di chi siano, o fossero, i nonni dell’altra persona, non sa che cos’hanno fatto durante la guerra, né che cos’hanno visto realmente. Un’operazione disonesta, perché citare quelli – che sono esistiti, eccome! – che hanno “approfittato” della situazione trascina nel fango tutti gli altri, quelli che hanno scelto di lottare per essere (e farci) liberi, anziché continuare a combattere per la schiavitù e il razzismo, come i “bravi ragazzi” di Salò.

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Il muro di ferro

In queste pagine ho parlato più volte di Gaza martoriata dalle bombe e sottoposta all’embargo unilaterale (e illegale) decretato da Israele, che strozza un milione e mezzo di esseri umani nella sostanziale indifferenza del mondo.

Meno nota è la situazione della Cisgiordania (o West Bank) – la parte dei Territori formalmente sottoposta all’autogoverno palestinese – in merito alla quale consiglio il documentario «The Iron Wall» (il muro di ferro), diretto da Mohammed Alatar, pacifista fondatore di Palestinians for Peace and Democracy, e prodotto dalla Ong palestinese PARC (Palestinian Agricultural Relief Commitees).

Il film, disponibile su YouTube in lingua inglese con i sottotitoli in italiano (QUI la prima puntata), illustra le conseguenze degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi e quelle della presenza del muro di separazione, costruito “a protezione dello Stato d’Israele”, ma che di fatto sfora in territorio palestinese e finisce per inglobare molte delle colonie (illegali) e dei loro collegamenti con la madrepatria.

Il documentario mostra da vicino innanzitutto le conseguenze della presenza dei coloni e del muro nella vita quotidiana degli abitanti della Cisgiordania e, per seguire, quelle sul processo di formazione dello Stato che le Nazioni unite avevano promesso agli abitanti della Palestina, ma che ora è semplicemente irrealizzabile, perché sprovvisto di qualsiasi continuità territoriale.

Ho visto «The Iron Wall» nel corso di una serata all’espace populaire di Aosta, organizzata da Giovanni Buschino e Guendalina Jocollè, che hanno parlato della loro esperienza nei territori palestinesi, e da Enrico Ventrella dell’Arci regionale. Quella che segue è la cronaca dell’iniziativa, a partire dalle impressioni suscitate dal film. I dati che cito sono quelli che ho trascritto nei miei appunti; ogni possibile inesattezza mi andrà addebitata per intero, ma sono convinto che il senso complessivo del resoconto resterà intatto.

Dopo gli accordi di pace del 1993 a Oslo per consentire la nascita di uno Stato palestinese indipendente occorreva risolvere alcune questioni legate ai confini, alla sorte dei 5 milioni di profughi palestinesi dispersi in altri Paesi e allo statuto di Gerusalemme. Soprattutto, bisognava superare l’ostacolo rappresentato delle colonie israeliane nei territori che avrebbero dovuto costituire il territorio dello Stato palestinese. All’epoca, era stata coniata la formula «terra in cambio di pace».

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Un’altra strada per la montagna

Venerdì 10 dicembre alle ore 21, nella Sala Conferenze del Comune di Valtournenche (Aosta) si terrà il convegno di Legambiente «Un’altra strada per la montagna», una riflessione sui nuovi modelli possibili di utilizzo del territorio alpino, nel rispetto degli equilibri e della bellezza di un ambiente sempre più fragile.

Inoltro l’invito a tutte le persone interessate.

Un’altra strada per la montagna
LEGAMBIENTE – Convegno venerdì 10 dicembre ore 21 a Valtournenche

La natura incontaminata che mettiamo al centro delle nostre campagne pubblicitarie è ancora un valore e un’attrattiva? E come si riesce a vivere dentro una cartolina per turisti?  Si possono immaginare e progettare modelli di ulilizzo del territorio montano diversi da quelli del secolo scorso? Con quale ricaduta sul piano agricolo, turistico, paesaggistico?

Insomma, esiste  “Un’altra strada per la montagna”?

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9 febbraio: appello per una «Giornata della libertà di scelta sulla propria vita»

«Pro-life», letteralmente, significa «a favore della vita».

Normalmente si definiscono pro-life gli integralisti disposti ad accusare di infanticidio le donne che scelgono di non portare a termine una gravidanza o di omicidio i figli che non ne possono più di veder soffrire genitori malati senza speranza di guarigione, oppure i genitori che assistono figli ridotti allo stato vegetativo, o ancora chi decide – anche per rispetto di sé e della propria dignità messa in pericolo da protocolli medici che non disdegnano l’accanimento terapeutico – di porre fine alla propria esistenza.

Che cosa potrebbero essere i pro-life se fossero davvero «a favore della vita», è scritto invece QUI.

Recentemente in Italia un governo moribondo, e forse per questo interessato all’argomento, ha istituito per il 9 febbraio la Giornata nazionale degli stati vegetativi, su proposta della sottosegretaria Eugenia Roccella.

Il 9 febbraio è l’anniversario della morte di Eluana Englaro, cui dopo 17 anni in stato vegetativo una sentenza della magistratura ha restituito la dignità di rifiutare l’accanimento terapeutico su un corpo incapace di sentire o pensare. Si tratta di una data importante per il diritto laico di decidere di sé e del proprio corpo: non lasciamo che se ne approprino, per i loro fini politici, i pro-life.

Pubblico di seguito l’appello di Micromega, cui idealmente aderisco.

Per il prossimo 9 febbraio il Governo ha istituito la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi. Decisione moralmente mostruosa, poiché offende la memoria di Eluana Englaro, che in quel giorno finalmente vedeva due anni fa rispettata la sua volontà sul proprio corpo. Decisione istituzionalmente irricevibile, poiché ufficializza come “delitto” una sacrosanta sentenza della magistratura. Decisione che infanga la Costituzione, poiché con essa il governo intende addirittura solennizzare la pretesa invereconda che la vita di ogni cittadino, anziché appartenere a chi la vive, sia alla mercé di una maggioranza parlamentare.

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La «missione centrale» di Edipower

Pubblico il comunicato stampa del gruppo No al Carbone di Brindisi, uscito in data 26 novembre. Dalla mia regione fatta di valli e di Alpi, lungo la diagonale NW-SE d’Italia, e fino alle coste adriatiche e ioniche, le stesse decisioni scellerate, sempre a vantaggio del profitto di pochi.

E l’esigenza di convincerci sin da piccoli, come già coi soldatini di La Russa nelle scuole lombarde.

No al Carbone – Brindisi
COMUNICATO STAMPA

Abbiamo appreso da organi di stampa che l’azienda Edipower, proprietaria della centrale termoelettrica Brindisi Nord, ha avviato una campagna di informazione denominata «missione centrale», rivolta agli studenti e più in generale al mondo della scuola con l’obbiettivo di far conoscere il contributo della centrale allo sviluppo economico e sociale del territorio.

Concordiamo con Edipower: è ora che si faccia qui a Brindisi una corretta informazione e per tale motivo anche noi saremo presenti nei prossimi giorni dinanzi le scuole di Brindisi per informare i giovani studenti delle reali ricadute della centrale Edipower.

Una centrale che brucia milioni di tonnellate di carbone all’anno in un impianto situato a poche centinaia di metri dal centro della città riversando in atmosfera migliaia di tonnellate di polveri sottili, ossidi di azoto, di zolfo, nanoparticelle e metalli pesanti, tutte sostanze che contribuiscono allo sviluppo economico-sanitario del nostro territorio.

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Veloce e fuori fuoco

Così è, così va la società.
Veloce
e fuori fuoco.

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5 anni per fermare l’inceneritore valdostano

Ci siamo.

Ieri, venerdì 26 novembre, la giunta regionale della Valle d’Aosta ha dato il via libera alla predisposizione della gara d’appalto per la costruzione di un impianto di incenerimento dei rifiuti, pomposamente definito pirogassificatore, nome al quale da questo momento in poi e fino alla fine dell’articolo aggiungerò una elle dopo la terza lettera.

Non sembra infatti particolarmente intelligente un inceneritore destinato a una regione di appena 120mila abitanti. Non se prima non si sono tentate tutte le altre strade (in Valle d’Aosta, fatta eccezione per qualche comune virtuoso, siamo ancora molto indietro perfino con le percentuali di raccolta differenziata), dal recupero dei materiali, al trattamento a freddo, al compostaggio.

L’entrata in funzione dell’impianto è prevista per il 2015 ed è questo tutto il tempo che ci rimane per lottare contro i mulini a vento, al fine di far cambiare idea all’amministrazione (in pratica la partita sarà persa molto prima, al momento dell’assegnazione dell’appalto, ma dopotutto non si sa mai: chissà che l’addormentata società valdostana non decida una buona volta di far capire a chi la governa da 30 anni che la prossima volta nella cabina elettorale potrebbe fare scelte diverse. Certo, rimarrebbero stupefatti).

Dopo sarà tardi.

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