Dolce come il fiele

Sai come si fa a diffondere il tarlo con la camicia nera, quello che scava (con il manganello) nella testa della gente, soprattutto quella giovane, e piano piano la convince che gli antifascisti sono una lobby, persone che perseguitano altre persone che hanno il solo torto di non pensarla come loro?

Basta poco, a patto naturalmente di trovarsi nel periodo giusto, con la giusta temperie (a)culturale.

Basta precisare di non essere fascisti, ma in ogni discussione, in ogni singolo commento su internet, in ogni lettera improvvidamente pubblicata da un giornale, dire il contrario di quanto sostengono gli antifascisti e gridare che fascisti sono loro, perché hanno una visione delle cose a senso unico.

È sufficiente buttare lì qualche notizia storica (vera o inventata: la storia è la materia più odiata a scuola – lo dico da insegnante di storia – e poi chi vuoi che “perda tempo” a controllare?). Magari corredarla con qualche vicenda personale, tratta dalla propria storia famigliare al fine di rafforzare l’effetto: «I miei nonni erano partigiani e mi hanno detto che gli altri partigiani rubavano e facevano i loro porci comodi». Un’operazione semplice, in fondo, visto che l’interlocutore non ha idea di chi siano, o fossero, i nonni dell’altra persona, non sa che cos’hanno fatto durante la guerra, né che cos’hanno visto realmente. Un’operazione disonesta, perché citare quelli – che sono esistiti, eccome! – che hanno “approfittato” della situazione trascina nel fango tutti gli altri, quelli che hanno scelto di lottare per essere (e farci) liberi, anziché continuare a combattere per la schiavitù e il razzismo, come i “bravi ragazzi” di Salò.

Per rendere il fascismo presentabile è sufficiente dire che non tutto ciò che Mussolini ha fatto era negativo. Citare le bonifiche, le strade, gli edifici pubblici, le fondazioni di città. E mai una volta che si citi l’omicidio di Matteotti, il carcere e il confino per gli oppositori, la messa fuori legge dei partiti diversi da quello del capo, la censura, la tessera obbligatoria del fascio per poter lavorare, la propaganda criminale a sostegno del regime, a cominciare dai banchi di scuola a suon di testi unici, «libro e moschetto», parate e inquadramento paramilitare, la guerra di Spagna, l’alleanza con Hitler, le leggi razziali e la seconda guerra mondiale.

Anche Hitler qualcosa di buono l’avrà fatto, diceva ironicamente Benigni. L’avrà fatto un ponte! Ma per gli apologeti del fascismo un ponte è più importante dei campi di sterminio (intorno ai quali, ma velatamente, non mancano mai di instillare il dubbio che siano un’invenzione della propaganda americana).

«Sono fascista», diceva un tipo in un forum, «ma con questo non pensare che io sia razzista o guerrafondaio». E allora che cosa? Che cosa è stato il fascismo se non lo scontro di un gruppo contro l’altro? Nella retorica del regime, il fascismo ha pacificato la società perché ha vietato la lotta sociale mettendo contemporaneamente una buona dose di fumo degli occhi delle classi svantaggiate. Ma l’armonia sociale sulla quale poggiava il sistema fascista era costruita sull’aggressione coloniale, sulla guerra come possibilità di conquista di nuove terre per gli italiani, sul nazionalismo esasperato che – lungi dall’unire – divideva e anzi contrapponeva i popoli. La storia del fascismo è un succedersi di tappe legate alla violenza, alla costruzione di verità fittizie, all’emarginazione delle differenze, fino alle leggi razziali del 1938, “imposte” forse dal rafforzarsi dell’alleanza con Hitler, ma subito attecchite in un terreno che 16 anni di fascismo avevano reso pronto e fertile.

Rendere presentabili i fascisti è sempre più facile. Basta dire che magari hanno fatto errori (chi non ne fa?) ma in fondo hanno seguito la loro coscienza. Basta far finta di ascoltare chi ti ha parlato della Shoah (6 milioni di vittime fra i soli ebrei e oltre a loro 500 mila rom, centinaia di migliaia di oppositori politici, omosessuali, invalidi, asociali, criminali comuni) e poi, come se niente fosse, tentare un paragone con le foibe.

È sufficiente svuotare di senso la memoria e dotarla di un senso nuovo. È «1984» di Orwell. È il mondo in cui viviamo.

Questa voce è stata pubblicata in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura) e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

4 risposte a Dolce come il fiele

  1. Doriana Goracci scrive:

    Grazie, condivido dove posso e credo che non debba chiederti il permesso…

  2. Alessandro Pascale scrive:

    bellissimo Mario!

  3. elena scrive:

    condivido tutto. Grazie per questo pezzo di storia che… avrei voluto scrivere io!

  4. mariobadino scrive:

    Grazie a voi e condividete pure tutto!

I commenti sono chiusi.