5 anni per fermare l’inceneritore valdostano

Ci siamo.

Ieri, venerdì 26 novembre, la giunta regionale della Valle d’Aosta ha dato il via libera alla predisposizione della gara d’appalto per la costruzione di un impianto di incenerimento dei rifiuti, pomposamente definito pirogassificatore, nome al quale da questo momento in poi e fino alla fine dell’articolo aggiungerò una elle dopo la terza lettera.

Non sembra infatti particolarmente intelligente un inceneritore destinato a una regione di appena 120mila abitanti. Non se prima non si sono tentate tutte le altre strade (in Valle d’Aosta, fatta eccezione per qualche comune virtuoso, siamo ancora molto indietro perfino con le percentuali di raccolta differenziata), dal recupero dei materiali, al trattamento a freddo, al compostaggio.

L’entrata in funzione dell’impianto è prevista per il 2015 ed è questo tutto il tempo che ci rimane per lottare contro i mulini a vento, al fine di far cambiare idea all’amministrazione (in pratica la partita sarà persa molto prima, al momento dell’assegnazione dell’appalto, ma dopotutto non si sa mai: chissà che l’addormentata società valdostana non decida una buona volta di far capire a chi la governa da 30 anni che la prossima volta nella cabina elettorale potrebbe fare scelte diverse. Certo, rimarrebbero stupefatti).

Dopo sarà tardi.

L’importo del bando, che comprende costruzione e gestione dell’impianto, è di 220 milioni, 11 per ogni anno di attività, dal momento che dopo 20 anni si prevede di sbaraccare tutto (e questa è la beffa successiva al danno, perché come si pensa di smaltire i rifiuti dal 2035 in poi? provo a indovinare: un altro bando e un altro bell’impianto!).

In una nota, il circolo locale di Legambiente ha commentato il via libera alla gara d’appalto ricordando come, «rispetto ad altre scelte avanzate ma mai prese seriamente in esame dall’amministrazione», «il nuovo sistema di trattamento dei rifiuti sarà più costoso per le tasche dei cittadini, meno virtuoso perché porterà alla distruzione di materiali recuperabili anche con un ritorno economico, più pericoloso per la salute perché produrrà scorie, fumi, prodotti di scarto dannosi».

Anche perché, «dopo cinque anni di studi», ancora non è chiaro quale sarà la tecnologia utilizzata dal pirlogassificatore: gassificazione, pirolisi, pirogassificazione? «Saranno le ditte concorrenti a proporla. Un bando di gara sufficientemente largo per permettere la costruzione di un inceneritore con un nome più fantasioso per meglio giustificarlo agli occhi dei valdostani».

Rimane ora da decidere che fare. A meno che in coscienza non si creda alla buona fede e alla competenza della Regione in fatto di pirlogassificazione; se – cioè – qualcuno condivide i timori di Legambiente, miei e di tanti altri per le conseguenze dell’incenerimento dei rifiuti sulla salute umana, occorre decidere se accettare passivamente l’ennesima decisione presa sopra la testa dei “sudditi” o se esercitare il proprio diritto alla cittadinanza attiva, anche se forse è già troppo tardi.

È ipotizzabile che i cittadini informati e le associazioni interessate s’incontrino per decidere il da farsi? Chi vive in questa regione sa che non deve aspettarsi una seconda Val di Susa, anzi: generalmente si rimprovera al valdostano medio un certo disimpegno, o quantomeno poca voglia di scendere in piazza e – metaforicamente – salire sulle barricate. L’ipotesi di respirare aria peggiore potrebbe avere almeno il merito di smuovere una popolazione dal proprio letargo?

Intanto domenica 28 novembre sono in piazza due delle principali realtà che si sono opposte fin qui alla realizzazione dell’inceneritore/pirlogassificatore, vale a dire Legambiente e Comitato Rifiuti Zero Valle d’Aosta. Nell’ambito della settimana europea per la riduzione dei rifiuti, le due associazioni sono presenti con stand in piazza Chanoux ad Aosta, dalle ore 10 fino alle 17.30.

>>> Leggi anche l’articolo Niente compostaggio, siamo valdostani!.

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2 risposte a 5 anni per fermare l’inceneritore valdostano

  1. francesco lucat scrive:

    Sarebbe ottima cosa che ci si incontrasse. Se ci fosse una qualche forma di coordinamento fra le varie realtà che intendono lottare (ho detto lottare), si poteva fare qualcosa mentre la giunta regionale decideva. Gli studenti sono stati capaci di bloccare la legge Gelmini. Ovviamente hanno fatto irruzione in Senato. Finchè non ci metteremo in testa che è la lotta che paga e che per fare le lotte bisogna organizzarsi e finchè la gente si farà delle enormi seghe mentali sul fatto che bisogna mantenersi puri da qualsiasi commistione con qualsivoglia organizzazione politica, beh, avremo sempre un qualche Empereur tra i coglioni.

  2. mariobadino scrive:

    Il problema è proprio quello: nessuno vorrebbe irrompere in consiglio regionale (qui non si chiede neppure di andare fino a Palazzo Madama) per non fare la figura dell’«estremista». E intanto certe riunioni sono pubbliche, mentre gli estremisti sono sicuramente altri. I partiti non possono essere lasciati fuori dalla lotta, sono d’accordo, e i movimenti non devono curare ognuno la propria aiuola, altrimenti si sarà sempre in tre gatti (uno e mezzo per la questura) a manifestare, occupando 5 metri quadrati di piazza. Comunque, come si convincono le persone a indignarsi o a trasformare l’indignazione in lotta? Tu dici bene: «Sarebbe ottima cosa che ci si incontrasse». Lanciamo un invito?

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