I referendum non sono mica tutti buoni. Costituzionalmente, non si poteva pensare di abrogare per intero la legge elettorale senza averne prima approvata un’altra, e immagino che sia questo il motivo che ha spinto la Corte a esprimersi contro l’ammissibilità dei quesiti caldeggiati dall’Italia dei Valori. Come potrebbe un Paese democratico restare – sia pure temporaneamente – senza la possibilità di indire elezioni, per mancanza di una legge? Secondo i promotori del referendum, l’abolizione del “porcellum” avrebbe dovuto riportare in vita la legge preesistente, il cosiddetto “mattarellum”; ma questo non è vero, perché non si può ripristinare in automatico una legge abrogata attraverso l’abrogazione della norma che l’ha sostituita.
Dal punto di vista politico, ci sono due considerazioni da fare, la prima triste, la seconda meno. 1) Un milione e duecentomila italiani hanno firmato per il referendum, chiedendo una riforma del sistema elettorale. Questi italiani hanno creduto in un’iniziativa sulla quale non si era riflettuto abbastanza e sono rimasti con un pugno di mosche, perdendo quel po’ di speranza – che forse avevano coltivato, magari sull’onda dell’entusiasmo per la vittoria nei referendum di giugno – di poter cambiare le cose con il proprio voto. La bocciatura del referendum rischia oggi di essere intesa come l’ennesima autodifesa della “casta” mentre di fatto quella che rischiava di uscire vincente se il referendum fosse stato approvato era un’idea di Parlamento non troppo dissimile da quella attuale. Per cosa hanno firmato, in fin dei conti, un milione e duecentomila italiani? A occhio, direi per due cose: abolire una legge che il suo stesso autore – l’ineffabile Calderoli – aveva definito «porcata» e ripristinare la possibilità di indicare le preferenze, nella speranza di avere rappresentanti eletti, anziché personaggi nominati dalle segreterie dei partiti. Questi, credo, sono gli aspetti che hanno spinto tanti italiani a firmare. Mi domando se i firmatari abbiano invece riflettuto sulla natura maggioritaria della legge elettorale che i referendari hanno sperato di resuscitare. Le persone che conosco io non lo hanno fatto, e questo mi porta al secondo punto.
2) Se davvero vogliamo cambiare il Parlamento, restituendo ai cittadini la possibilità di esprimere e veder rappresentato il proprio orientamento politico e programmatico, anche quando il loro voto non sia destinato ai due-tre partiti più grandi, è necessario superare il modello maggioritario tout court e ritornare al proporzionale: niente sbarramenti, niente premi di maggioranza, ma un numero di seggi proporzionale ai voti ricevuti. Perché, privo di rappresentanza come sono attualmente, avendo votato alle scorse elezioni Rifondazione comunista, non riesco a non pensare che, se io sono uno, la mia stessa scelta è stata però fatta da svariate migliaia di persone, la cui volontà oggi è totalmente ignorata. Pur consapevole della cattiva prova data da Rifondazione all’epoca del governo Prodi (lasciò che a decidere fossero gli altri, su tutto, per paura di far cadere il «governo amico», giungendo a votare la guerra e a espellere il solo deputato che aveva avuto la coerenza di rifiutarla), mi sembra che da allora il partito abbia saputo ripartire da zero, imparando qualcosa dagli errori e – ai fini del presente discorso che non vuole in nessun modo essere un’apologia di Rifondazione – proponendo in più di un’occasione idee alternative a quelle dominanti, a quelle, vale a dire, che hanno prodotto la crisi e che ora dovrebbero magicamente risolverla.
E poiché sono finito a parlare di partiti (certo un peccato mortale nell’Italia di oggi, così generalista, anche nell’indignazione), voglio concludere con il comunicato stampa di Rifondazione Comunista/Federazione della Sinistra Valle d’Aosta (che naturalmente condivido) sulla bocciatura dei referendum.
Chi è causa del suo mal…
La bocciatura dei quesiti referendari sulla legge elettorale era stata ampiamente annunciata da numerosi costituzionalisti Continua a leggere