I luoghi del cuore: salviamo un patrimonio culturale unico


Scavare la roccia
a 2400 metri d’altitudine, penare, faticare, sperare, da minatori e insieme montanari, per prendere il minerale e portarlo a valle.

Gallerie, teleferiche, treni di montagna, ma soprattutto minatori e operai sono i protagonisti della storia della miniera di magnetite di Cogne, chiusa definitivamente nel 1979, e oggi importantissima testimonianza del passato minerario e industriale della Valle d’Aosta.

Un bene prezioso in pericolo, perché da più parti si propone un recupero soltanto parziale delle strutture minerarie e lo smantellamento del treno Cogne-Acque Fredde, da pochi anni restaurato, ma di fatto mai utilizzato se non come accesso alternativo alla strada regionale durante l’alluvione del 2000.

Ma non si smantella la propria storia ed è questo che ha mosso alcuni affezionati, tra i quali il sottoscritto, a candidare la ferrovia del Drinc e la miniera di Cogne tra i Luoghi del Cuore del Fondo Ambiente Italiano (FAI).

Invito tutte e tutti, indipendentemente da dove abitate, a sostenere la candidatura di questo importantissimo sito. Per votare bisogna registrarsi su www.fondoambiente.it. È anche possibile votare compilando una cartolina, disponibile nelle filiali della banca Intesa – Sanpaolo.

>>> Segnala «La ferrovia del Drinc e la Miniera» come Luogo del cuore del FAI.

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Quando restano in terra i libri di scuola

Quando restano in terra i libri di scuola, stracciati, fumanti, quando i pezzi sparpagliati sul luogo dell’esplosione sono pezzi di astuccio, pagine di quaderno – e chi non ha avuto un quaderno, un astuccio, un libro, magari odiatissimo, di scuola? – quando la parola passa alle bombe e a morire e a essere colpite sono ragazze che vanno a scuola, un attimo prima della campanella delle 8, lo stomaco non regge e proprio non si comprende più il significato di umano.

C’erano persone, la notte prima, che armeggiavano intorno ai cassonetti. Persone che avevano ordinato – da qualche parte – e persone che stavano eseguendo. Persone forse che hanno pregustato la strage, dopo avere piazzato le bombe, come chi si compiace, la sera, pregustando i frutti del lavoro che ha preparato per il giorno dopo.

La strage è orrenda: macelleria volontaria su umani incolpevoli, incolpevoli nel senso più ampio del termine, vigliacca strategia del terrore – indipendentemente da chi ne approfitterà. È come accanirsi sopra un disgraziato, seviziarlo mentre non può reagire. O come staccare, a casaccio, le membra dai corpi dei passanti. A quanto sarà la coscia? Mi sembra fresco quel piede.

E mentre ci si trastulla con le varie “piste” (i media hanno già lasciato intuire la possibilità di una fantomatica pista islamica; già perché la Morvillo è una scuola soprattutto femminile e l’islam, si sa…), mentre si dà in pasto al pubblico materiale che dovrebbe restare privato (ma come hanno fatto a mostrarci le immagini della camera della ragazza uccisa, le sue foto, il suo computer?), mentre questo accade e tutti si improvvisano esperti in strategia mafiosa, Melissa Bassi è morta e altre cinque ragazze sono gravemente ustionate.

A te, Melissa, a voi, questo dolore che mi preme sullo stomaco e che non so come esprimere.

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La mafia uccide

Brindisi, 19 maggio 2012. Tre bombole del gas nascoste vicino alla scuola Falcone-Morvillo di Brindisi. Una ragazza ammazzata, l’altra gravissima. 16 anni.

Quando ti chiedono di chiudere un occhio;

Quando ti minacciano;

Quando ammiccano;

Quando ti fanno pensare che in fondo la mafia è parte di noi, delle nostre tradizioni, del territorio;

Ricordati di oggi: la mafia uccide.

E una ragazza è morta inutilmente. E poteva essere tua figlia.

Non c’è nulla di più vigliacco delle bombe.

Non c’è dignità, non c’è coraggio, non c’è onore.

La mafia – con qualunque nome la si voglia chiamare – è una montagna di merda.

È un cancro.

>>> Leggi l’intervista a Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a Reggio Calabria.

Leggi l’intervista a Tilde Montinaro, sorella di Antonio, caposcorta di Giovanni Falcone ucciso nella strage di Capaci.

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Attivisti No Dal Molin entrano nella base USA a Vicenza

Una battaglia che forse in tropp* ci siamo dimenticati, lasciandoci prendere dal ritmo delle cose quotidiane.

Una città lasciata nelle mani della superpotenza globale e dei cialtroni nostrani, a Vicenza come a Roma. «U.S.A.TA», come recita un cartello.

Un movimento che seppe mobilitare l’Italia e che ancora – nonostante tutto – sopravvive.

Perché una base di guerra non è roba che vogliamo: è contraria al senso di umanità e si pone contro la nostra costituzione e contro la sostenibilità ambientale, ad esempio contro il futuro della falda idrica.

Sabato 12 maggio un centinaio di attivisti No Dal Molin è entrato nella base dopo aver tagliato la recinzione. Un ennesimo gesto di resistenza umana.

Ora e sempre «No Dal Molin»!

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I miei consigli al governo sugli sprechi da tagliare

Com’era mio dovere di buon cittadino, ho risposto all’appello del governo e ho segnalato alcuni sprechi dei quali mi ritrovo testimone, nella consapevolezza che ora l’esecutivo non tarderà a cancellarli.

Numero uno: le spese militari, a iniziare dalle guerre (incostituzionali, peraltro, anche tenendo conto – come sono ironico – delle novità sull’equilibrio di bilancio), dall’acquisto dei caccia F-35, dalla possibile partecipazione dell’Italia allo scudo missilistico americano.

Numero due: le grandi opere inutili, impattanti e incredibilmente onerose, a partire dalla TAV. Al di là di qualsiasi altra considerazione, se non ci sono i soldi per scuola, sanità e pensioni non ci sono neppure per sfrecciare ai 360 all’ora sotto una montagna in direzione di Lione.

Numero tre: i soldi dati ai privati per fare cose che sarebbero compito dello Stato. Mi rifersco, ad esempio, ai finanziamenti (incostituzionali anche questi, tra l’altro) alle scuole private.

Ho la massima fiducia che il governo terrà in gran considerazione il mio pensiero di cittadino onesto e desideroso di adoperarsi per il bene comune. Magari questa volta mi risponderanno persino. E «al più presto», come è scritto nella risposta automatica che ho ricevuto e che riporto nell’immagine del post.

Update. Pensate un po’, mi hanno risposto davvero:

«Grazie per averci scritto. Prenderemo in considerazione la sua segnalazione e provvederemo a segnalarla alle strutture competenti nel più breve tempo possibile. Cordiali saluti, Ufficio stampa e del Portavoce».

Chi volesse inoltrare i propri suggerimenti al governo, lo faccia QUI.

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Lettera agli assassini di donne [da Meno e Pausa]


Muoiono donne
, in Italia, uccise da uomini che non le ritengono degne degli stessi diritti di un uomo, della stessa possibilità di decidere con chi uscire e (soprattutto) con chi no, in quali strade camminare e in quali è meglio di no, come vestirsi, anche, come disporre di sé. Nella civile Italia, dove una Costituzione ridotta sempre più a carta straccia rivendica però ancora la pari dignità, in diritti e doveri, fra i generi.

Ripubblico una lettera «agli assassini di donne», scritta da Antonella, autrice del blog Meno e Pausa, al quale rimando per ulteriori letture. Molti – e certamente anche molte – troveranno violenti i toni.

I toni! Perché è comodo vedere la violenza delle parole e giustificare nei fatti quella che fa male, trasformando in estremista chi invece la rifiuta, e in un pericolo chi addirittura osa difendersi.

Ripubblico volentieri questa lettera.

Lettera agli assassini di donne: i vostri crimini contro l’umanità
da Meno e Pausa.

Cari stronzi,

leggo di voi quasi tutti i giorni. Diciamo che non ne posso più. Sono una donna che dalla nascita ha dovuto difendersi per non farsi mettere le mani addosso da chi non accetta un No come risposta, da chi voleva spegnermi e sfinirmi, da chi voleva cancellarmi e ricattarmi, da chi voleva nuocere alla mia esistenza perché sono una donna. Altri motivi non ce n’è. Sono una donna e tanto basta. Perché non appartengo, non voglio appartenere, non mi concedo, non cedo, non mi svendo, non mi lascio inzozzare dalle mani unte, non mi lascio leccare da un bastardo viscido, non mi lascio penetrare da chi non sa neppure fare l’amore. Perché non dico sì quando penso no, perché ho il coraggio delle mie opinioni, perché sono tutta intera, di corpo testa e anima, perché ho un cuore grande, enorme, e vedo perfino te che ammazzi e spegni vite se non ti compiacciono e soddisfano e se non passano il tempo a spompinarti per obbedire all’ego, il tuo.

Sono una madre di una figlia, meravigliosa figlia, e ho passato la vita a difenderla perché l’ho partorita, la mia carne si è lacerata per darle respiro, il mio corpo è mutato per fare spazio a lei, perché l’ho nutrita, l’ho voluta, l’ho cresciuta e mai avrei potuto assistere impotente a un gesto, una parola, di un coglione che avesse osato metterle una mano addosso.

Ho passato la vita a difenderla per impedire che da bambina fosse toccata, strusciata, buffettata sulla guancia da pessimi individui. Per impedire che donne e uomini potessero umiliarla, mortificarla, toglierle sicurezza e autostima, far perire dentro di lei la chiara sensazione di ingiustizia che ti premia se hai una mente vigile e se nessuno accanto a te mente e ti infogna il cervello dicendoti che non è vero niente, che quello che hai visto non corrisponde alla verità, che hai torto, sei bugiarda. Invece è tutto vero, figlia mia, fidati delle tue sensazioni, sempre, perché l’istinto di sopravvivenza è l’unica cosa che ti salva certe volte e se tu percepisci un pericolo allora devi considerarlo tale.

Sono una madre e se vedessi un uomo chiamare mille volte al cellulare mia figlia che gli ha detto no gli farei ingoiare quel telefono di merda. Se vedessi uno che l’aspetta sotto casa potrebbe dire addio ai denti. Se vedessi uno che la rapisce e tenta di buttarla da un viadotto alla fine, credo, io gli farei cose inenarrabili perché non ci sono argomenti, salvacondotti, pene adeguate a torturatori di donne, carnefici, aguzzini, terroristi che intimoriscono le nostre figlie e le rendono succubi, insicure, sottomesse, paurose.

Se tu, assassino, osassi toccare quella figlia che io ho cresciuto, voluto e che amo più della mia stessa vita, non vedresti giorno e neppure notte. Non vedresti più niente. Perché io non accetto alcuna forma di tutela. La tutela serve a te per difenderti da me e da tutte le donne madri, sorelle e amiche di quelle che hai assassinato. Le pene sono solo un espediente che ti tiene protetto, al caldo, con attenuanti e cazzate varie, mentre là fuori tutto il mondo piange le tue vittime. Sei tu che hai bisogno di una scorta e non io ed è per questo che ti consegni, confessi, ti lasci ammanettare, racconti, che lei era così e poi cosà e non avevi scelta. Ce l’hai una scelta, quella di non incontrarmi mai perché io non perdono, non mi lascio imprigionare da sentimenti religiosi, non porgo l’altra guancia, non sono una missionaria e non faccio la carità.

Se ti avvicini a mia figlia tu – semplicemente – non esisti più.

E in generale, assassini, vi si dà fin troppo spazio. Vi vedo intervistati nelle televisioni. Vi vedo a raccontare palle dopo palle. Vi vedo a vilipendere le vostre vittime e io vi chiuderei la bocca uno a uno. Vi vedo a fare quello che nessuno dovrebbe permettervi di fare.

Siete assassini. Avete spento vite. Avete ucciso figlie, madri, sorelle, amiche, meravigliose donne che lottavano per esistere e che mentre lottavano non ce l’hanno fatta. Siete assassini e avete un piano di sterminio che elimini dalla faccia della terra le donne che vi disobbediscono. Siete assassini e nazisti e dovete fare la loro fine. Commettete crimini contro me, lei, loro, contro tutta l’umanità e siete ancora liberi di parlare e dire e giustificare e infangare e sputare veleno sulle donne che avete ucciso.

Sono una donna e sono una madre e la mia vita e la vita di mia figlia contano più della vostra. Avvicinatevi e vi farò a pezzi. Avvicinatevi e troverete una resistenza dura. Avvicinatevi e troverete partigiane che non hanno paura di niente e che riconoscono i criminali quando ne vedono uno. Avvicinatevi e tutto ciò che avverrà sarà per legittima difesa.

>>> L’immagine è opera di Lara Cavagnino.

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Il furto più grande dopo il ventennio


Il furto più grande
dopo il ventennio (quello fascista, che privò il Paese della libertà e lo condusse a capofitto nella guerra e nelle leggi razziali). Non ci sono altre parole.

Il pareggio di bilancio entra, come obbligo, nella nostra Costituzione.

Tradotto, significa che la sovranità sulla spesa pubblica è sottratta al Parlamento e al governo e demandata agli automatismi decisi da Bruxelles (si legga Berlino), nel nome della fallimentare ideologia liberista che «infiniti addusse lutti» al mondo intero, a cominciare proprio dagli «achei».

In sostanza, con l’introduzione del vincolo di bilancio, sarà vietato indebitarsi: non dovrà uscire più di quanto entra. Il che significa la fine di quanto rimane del welfare, delle politiche sociali, dello stesso concetto di solidarietà sociale e nazionale, perché gli ultimi decenni hanno dimostrato ampiamente che quando c’è da scegliere tra le forze armate e la sanità, le scuole private e quella pubblica, le grandi opere e le opere normali, le pensioni e il lavoro, la scelta dei governi va sempre, anche in tempi di vacche grasse, dove le lobby trovano la loro convenienza.

Non prendiamoci in giro: la spesa sociale si fa con l’indebitamento. Perché il rispetto («responsabile», ça va sans dire) di accordi e trattati con i Paesi alleati (militari in primis, e poi economici e infrastrutturali) viene sempre prima dell’interesse dei cittadini.

Aggiungiamo la “normale” corruzione, le ruberie, gli sprechi e avremo un’idea precisa del perché la fine non tanto dell’indebitamento, di per sé negativo, ma della possibilità stessa di far ricorso al prestito, corrisponde, se non alla fine, a un ridimensionamento radicale – del resto già avviato da tempo e con successo – dello stato sociale e del sistema di tutele e garanzie delle classi e dei soggetti più deboli.

Con il voto del Parlamento italiano, che ha scelto allegramente di mutilare il proprio ruolo e le proprie funzioni di rappresentanza, rinunciando a esprimersi sull’entità della spesa pubblica, la Repubblica italiana muta forma, snaturando la propria Costituzione con l’entusiasta beneplacito di Giorgio Napolitano, che pure della Carta dovrebbe essere il Garante.

Ma «uno Stato o è sociale o non è» e se non lo è più le sue finalità sono ridotte al controllo – peraltro subordinato all’interesse particolare di qualcuno – e alla repressione del dissenso. Come in Val di Susa, o come a Genova 10 anni fa.

Attenzione, però, perché il dissenso da cancellare non è tanto quello dei violenti, ma più in generale quello rivolto contro il modello economico dominante; ad esempio quello di chi, attraverso i referendum di giugno, ha chiesto a gran voce il rispetto dei beni comuni, negandone lo statuto di merce; o quello di chi non accetta che si sacrifichino i lavoratori e i pensionati per acquistare un centinaio di cacciabombardieri.

Siamo noi, alla fine, i «facinorosi», noi che in qualche modo non ci stiamo (ma adesso si dice «terroristi»). E non è un caso che per introdurre il pareggio di bilancio in Costituzione si sia riusciti ad aggirare il referendum confermativo: non si vorrà mica permettere che i cittadini – questi pericolosi black bloc – esprimano il proprio dissenso con uno strumento violento come il voto…

>>> Nell’immagine, alcuni abitanti della Fattoria degli Animali di Orwell, mentre assistono attoniti alla modifica dei principi proclamati all’indomani della liberazione. Se non ci sentiamo prima, buon 25 aprile.

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