Perché No Tav


Nei giorni scorsi
non ho avuto tempo per scrivere (e non ne ho neanche ora, ma quando la misura è colma le cose si fanno lo stesso). Sono giusto riuscito a rilanciare un appello affinché il governo si decida a ricevere e ascoltare le amministrazioni locali della Val di Susa. Primo firmatario di questo appello è don Luigi Ciotti.

L’ho fatto perché è un buon appello, ma voglio precisare che non condivido la posizione di Ciotti sulla questione Tav e sulla resistenza della popolazione valsusina, almeno come l’ho interpretata dall’intervista pubblicata sulla Stampa del 5 marzo.

Dalle sue risposte, evinco che il sacerdote ha ancora «tanti dubbi e tanto bisogno di capire». «Io non dico che la Tav non deve essere fatta», ha dichiarato, «e sono convinto che l’Italia non deve perdere il treno dell’Europa. Ma è sul modo e anche sui tempi che si può discutere». Bene: ognuno ha il diritto alla posizione che sente più corretta; sono tuttavia passati più di vent’anni e avrei auspicato, da un uomo come Ciotti, un minimo di conoscenza in più. In ogni caso, la posizione di Ciotti non coincide con la mia.

Ciò che mi ha infastidito davvero è stato il continuo richiamo alla necessità di «isolare le frange dei violenti, di quelli che non sanno nemmeno cosa sia la Tav [sic]», come se davvero dovessimo credere alla retorica della contrapposizione tra No Tav “buoni” e No Tav “cattivi”, degli infiltrati (maledetti black bloc!) che approfittano della protesta per fare casino, o che in Val di Susa è in atto un tentativo di sovversione dell’ordine costituito che alla fine bisognerà sedare, con le buone o con le cattive.

Qual è la violenza, vogliamo parlarne? L’imposizione di un’opera inutile e dannosa o quella verbale di un No Tav che chiama «pecorella» un fiero tutore dell’ordine? La sistematica distorsione dei fatti da parte dei media o l’insulto ai giornalisti prezzolati? È davvero così assurdo che possa volare qualche sasso, quando dall’altra parte, a difesa di una prevaricazione di Stato, ci sono agenti in tenuta antisommossa, con caschi e scudi, pronti a far calare il manganello e a utilizzare gas cancerogeni e vietati dalle convenzioni internazionali di guerra?

Finora, la violenza di cui cianciano i media è consistita in prevalenza in azioni contro le cose (le recinzioni del cantiere) o in reazioni a provocazioni delle forze dell’«ordine» (cariche e pestaggi, come a Porta Nuova lo scorso 25 febbraio), potremmo parlare di autodifesa. Domando di nuovo: da che parte sta la violenza?

Ma mi accorgo che, in questo rimbalzare di accuse, a molte persone è stato impedito di farsi un’idea chiara di che cosa sia il Tav e del perché non vada fatto. Nel mio piccolo, ripropongo un po’ di materiale: un’intervista molto interessante a Claudio Cancelli, che è stato docente di Ingegneria ambientale al Politecnico di Torino. Invito a guardarla con grande attenzione perché individua problemi e assurdità del progetto con grande lucidità e chiarezza.

C’è poi un servizio di Report del 23 ottobre 2011 che spiega le ragioni del no al Tav: ad esempio, il fatto che sulla linea storica esistente tra Torino e Lione oggi passa solo un sesto della capacità già disponibile. A che serve una linea nuova?

http://youtu.be/FBpepks25oE

Un terzo video, che ho già riproposto pochi giorni fa, mostra come la “violenza” di molti attivisti sia ben diversa da quanto descrivono i media. Perché se “violento” è chi grida un insulto (ma «pecorella» insulto non è, almeno alle mie orecchie) ecco che cosa potrebbero dire (e dicono) quelle stesse persone, quando riescono a ritagliarsi uno spazio di comunicazione.

Infine, ma solo perché non ho tempo, un interessante parere del filosofo Gianni Vattimo sul degenerare della salute democratica nel Paese, QUI. «Ho paura della polizia», dice Vattimo, «grazie al governo fascista». Non sarà il caso d’interrogarci un po’?

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