Se Roma brucia

Roma brucia? Non è la prima volta, non sarà l’ultima. Durante uno degli incendi più antichi, il premier di allora aveva accusato i cristiani di aver dato fuoco all’urbe, così da avere il pretesto per perseguitarli. I cristiani non erano violenti, non spaccavano le vetrine e non bruciavano le bighe parcheggiate in strada, ma – all’epoca – rifiutavano di venerare l’imperatore e poi, diciamolo, di un capro espiatorio c’è sempre bisogno e i cristiani più che un capro erano un gregge intero.

Da che mondo è mondo la violenza costituisce un pretesto, per chi detiene il potere, per dare una stretta repressiva sulla società. L’anno 2001 (Genova prima e poi l’11 settembre) dovrebbe averci insegnato qualcosa.

Che un incendio in sé sia negativo è lapalissiano. È espressione di sentimenti e istanze diverse fra loro, ma che non saranno mai l’equilibrio e l’armonia. Aggiungo per l’intelligenza del benpensante che, odiando la violenza e quant’altro, mi unisco anch’io, seppure a malincuore, all’insulso bla bla del giorno dopo. Ma un incendio è tanto più negativo quanto più viene trattato come una vampa isolata, una fiammata improvvisa dovuta forse ad autocombustione, le cause della quale in ogni caso non vale la pena appurare.

In un incendio c’è sempre chi ci va di mezzo. A volte è la persona “giusta”, a volte quella “sbagliata” – ammesso e non concesso che esistano persone “giuste” e persone “sbagliate”. Ma la reazione del potere è la stessa, sempre: reprimere e poi ignorare, perché già i media generalisti sommergono i fatti del 15 ottobre in tanta fuffa per gli allocchi. Così gli autori dell’incendio diventano i cristiani, mentre si nasconde la realtà di quartieri poveri e fatiscenti con le case di legno addossate le une alle altre, che dopo il rogo diverranno domus per ricchi. I riot di Londra (era ancora estate, dunque è passato un secolo fa) sono dovuti all’imitazione del «gangsterismo» (David Cameron,  primo ministro inglese, dixit), le rivolte di Grecia all’incomprensibile rifiuto di attenersi ai parametri stabiliti da quei Paesi generosi che hanno accettato di svenarsi per aiutare l’economia ellenica. E a Roma, accanto a 300 mila persone – fortunatamente – pacifiche ne sono arrivate altre 300 apposta per fare «3 milioni di danni» e rovinare quella che doveva essere una festa.

Ma le violenze (che erano nell’aria, come hanno detto in molti) non solo erano scontate, erano l’unica risposta logica possibile per chi non crede più negli altri strumenti di lotta. Dico che le violenze (che naturalmente io condanno e bla, bla, bla) sono in ogni caso una risposta a una violenza più grande che, in fin dei conti, non è quella della polizia, ma quella di un sistema che ti mette con le spalle al muro, privandoti della possibilità di accedere a un certo tipo di istruzione, di lavoro, d’influire sulla vita sociale della comunità di cui fai parte e che non ti rappresenta.

Sì, la responsabilità (anche penale) del comportamento di ognuno è individuale e probabilmente certe azioni non vanno trattate con indulgenza. Di lì a rinunciare a capire, il passo non dovrebbe essere né breve, né obbligato.

Io sono fortunato. Ho una famiglia, un lavoro a tempo indeterminato, una casa di proprietà. Quanti possono dire lo stesso? Non navigo nell’oro, ma posso permettermi di fare progetti per il futuro. Conduco una vita abbastanza modesta, ma i miei lussi sono inimmaginabili per altre persone, in Europa come nel resto del mondo. Io non potrei lanciare un sasso contro una vetrina o contro lo scudo di un poliziotto che mi brandisce sotto il naso un fumogeno vietato in tempo di guerra ma consentito in una manifestazione con vecchi e bambini nel centro della capitale d’Italia. Non potrei perché ho tante fortune e tanto da perdere. Ma chi sente di non avere un futuro? Chi non ha altrettanto?

Che cosa si apparecchia per gli ultimi in questa società che interpreta i diritti come la proprietà di alcuni? Quali illuminate politiche, più che i manganelli o lo strano volontariato degli “indignati poliziotto” che hanno consegnato i violenti alla polizia, sono messe in campo per prevenire la violenza?

Oggi è facile che una manifestazione diventi violenta, sia pure per l’intervento di gruppi minoritari all’interno di cortei altrimenti pacifici. Ma il protrarsi dell’azione di precarizzazione della vita di masse di cittadini sempre più ampie non potrà non portare a un estendersi della violenza, anche al di fuori delle manifestazioni. Con relativa limitazione dall’alto delle libertà personali.

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2 risposte a Se Roma brucia

  1. Giorgio Nobili scrive:

    Hai perfettamente ragione! La violenza, soprattutto quella dei cosiddetti black-bloc, è sempre da condannare anche perchè che senso ha avuto rovinare una grande e partecipata manifestazione di tanti uomini, donne, ragazzi, perfino bambini con azioni assurde e totalmente controproducenti, piene solo di livore, rabbia, senza alcun progetto che non fosse quello di sfasciare tutto, di danneggiare e, alla fine, di essere SOLO nemici di chi sfilava in pace?

    • mariobadino scrive:

      A patto però di capire perché è andata a fuoco mezza Roma, a patto di non liquidare i disordini come banditismo, perché sono fenomeni che hanno cause economiche e sociali precise e che – se si continua come stiamo facendo – sono destinati ad aumentare, scavalcando gli spazi finora prescelti, come le manifestazioni. Com’è successo in Gran Bretagna quest’estate.

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