Caro Mario ti scrivo – a proposito dei bombardamenti italiani in Libia

Ho ricevuto una lettera dall’amico Francesco Lucat, scritta all’indomani della decisione del governo italiano di bombardare la Libia, naturalmente al nobile fine di aiutarne la popolazione civile; la pubblico volentieri, anche se con qualche giorno di ritardo.

La lettera è molto acuta e – trovo – poetica, e permeata da un grande senso di umanità. Di mio aggiungo solo che trovo esemplare che in questo benedetto 2011 dai tanti anniversari, siamo talmente persi dietro alla storia del Paese, che dopo i 150 anni abbiamo deciso di celebrare anche il primo centenario dell’avventura coloniale in Libia, recando in dono all’ex colonizzato bombe nuove.

Il testo della lettera.

Caro Mario ti scrivo

Caro Mario, ieri 26 aprile, mi sono alzato e… ho visto il mondo in mi 7: «prendo il giornale e leggo che…», cantava Celentano.

Leggo che: «L’ Italia bombarderà la Libia», come annuncia, orgogliosamente, La Stampa. E Marta Dassù commenta di spalla: «Ora potremo influire sugli alleati»! Ah, che sollievo. Ero proprio preoccupato che anime belle come Sarkozy, Cameron e la grande speranza Obama non tenessero in alcun conto il nostro importante parere. Invece siamo tornati ai bei tempi – ti ricordi? – quando George W. Bush abbracciava il nostro… papi(?)  parlando di lui come di un alleato fedele. Che cosa vuoi che importi, di fronte a questa sublime prospettiva, il rischio (che al 99,99% si tradurrà in realtà) di ammazzare qualche decina o centinaia di civili libici, donne e bambini compresi? Si chiamano “danni collaterali”. In fondo, come ci ha mostrato il video girato da Vittorio, tutti i giorni gli israeliani difendono i loro diritti(?) ammazzando un po’ di palestinesi e questo non toglie il sonno né l’appetito a nessuno (neanche a me, lo confesso, però me ne vergogno). Ma no, cosa andiamo a pensare, loro (non scrivo i loro nomi, mi fanno schifo) ci hanno assicurato che saranno azioni mirate, chirurgiche, di precisione. E poi la decisione è venuta dopo una telefonata con Obama: possiamo stare tranquilli no? Anche il Presidente della Repubblica ci tranquillizza: la scelta di bombardare la Libia è «il naturale sviluppo delle scelte compiute». E a me vengono in mente Karl Aage Praest, Gigi Riva, Mariolino Corso, Gino Stacchini, GiampaoloMenichelli e Maurilio Prini. Che c’entrano? Erano tutti calciatori dei miei tempi, tutte ali sinistre che, come voleva la regola di allora, avevano sulle spalle il numero 11. Come quell’articolo della Costituzione che recita, recita… non mi ricordo più bene, parla di divorzio, no di ripudio… boh?

Tanto cosa vuoi, non c’ è neanche bisogno che il Parlamento si pronunci, ci dice il maestro di sci che temporaneamente si occupa di affari esteri. Si tratta solo di entrare ufficialmente in guerra. Bazzeccole.

E in ogni caso il partito italiano che ha lo stesso nome di quello di Obama «non farà mancare il suo assenso». Siamo responsabili, che diamine!

Poi continuo a sfogliare il giornale e leggo delle celebrazioni del 25 aprile nel nostro capoluogo.

Pensa, l’ amministrazione comunale di Aosta era talmente ansiosa di celebrare la Liberazione che manco ha fatto in tempo ad aspettare che i partigiani arrivassero in piazza! Tanto in piazza c’ era l’esercito che rendeva onore ai caduti. Però non ho capito a quali caduti si facesse riferimento, perché la banda suonava «La leggenda del Piave», che a me viene sempre in mente la tradotta che parte da Torino e che va diretta al Piave, IL CIMITERO DELLA GIOVENTÙ.

Che poi a me pare che il Piave con la Resistenza c’entri poco, che dici, è perchè ho studiato male la storia?

Boh, in ogni caso, finalmente, davanti al monumento ai partigiani (un’idea geniale: un masso, che ricorda la roccia del patto di Calamandrei), la parola è all’ANPI. Quest’anno parlano i partigiani!

Oddio, il Comune, impegnato in un sovrumano sforzo organizzativo, non ha trovato uno straccio di microfono e di altoparlante per il discorso dell’ANPI. Beh,non importa, un paio di telefonate e quelli cui è rimasto un filo di voce (oltre che la falce e il martello) ti installano un impianto di diffusione sonora che sembra la Magneti Marelli degli anni ’50 (quella che faceva parlare l’Andrea Doria).

E Andrea, diciannove anni, parla. E dice la cosa più semplice al mondo: che non si può tenere il piede in due scarpe. Che i valori e l’ identità, si scelgono. Che l’antifascismo, è un discrimine. E mi sembra di risentire Lorenzo Milani: «Non si può essere interclassisti, ma schierati»; oppure Antonio Gramsci: «odio gli indifferenti».

E che vuoi, che i generali possano tollerare tale scandalo? Loro sono fedeli alla tradizione dell’Esercito. Sembrerebbe anche a quella del Regio Esercito, i cui capi, responsabilmente, seguirono il Re a Brindisi, per salvare l’ autorità dello Stato e delle Istituzioni Monarchiche. Peccato che si dimenticarono di lasciare gli ordini. Così i soldati e gli alpini di truppa e i loro ufficiali (di complemento) dovettero scegliere da soli. E non tennero il piede in due scarpe. Fecero una scelta.

Pagandola con la vita, come quelli di Cefalonia. O con la deportazione in Germania.
Anche i generali di oggi, ad Aosta, hanno scelto: hanno dato il dietrofront e hanno lasciato la piazza. Che diamine, non ci si può dividere fra antifascisti e fascisti (ti ricordi quello che scrivevano i ragazzi di Barbiana sui loro compagni delle magistrali? «Ventinove apolitici più due fascisti uguale trentuno fascisti»).

E il problema vero è che senti dire che l’Esercito non può presenziare a manifestazioni politiche.

Chissà perchè, però, quando negli anni passati alle celebrazioni del 25 Aprile qualcuno ha ricordato persino i caduti di El Alamein accomunandoli a quelli della Resistenza, il picchetto è riamsto saldamente al suo posto.

Ora, non è che gli sventurati che hanno perso la vita ad El Alamein non meritino rispetto e pietà. Anzi, la meritano doppia, perchè furono mandati a combattere una guerra di aggressione. E prova a immaginare cosa sarebbe successo se il Regio Esercito avesse vinto. Beh, non parleremmo di 25 aprile e forse avremmo ancora la camicia nera.

Caro Mario, l’ altra sera, all’ incontro per ricordare Vittorio Arrigoni, ho davvero provato tanta vergogna. Tutti blaterano sull’ impegno a difesa dei diritti dei popoli. Se ci fosse, nelle loro parole, un grammo di verità, dovremmo vedere i nostri tornado che bombardano i tank israeliani quando buttano giù le case dei palestinesi e sparano sui bambini. E penso che questa non sarebbe una soluzione, perché ci priverebbe di quella umanità di cui parlava Vittorio.

Ma se vogliamo restare umani, non dobbiamo trovare da qualche parte la forza per dire che se le nostre responsabilità internazionali ci portano in guerra, noi ce ne fottiamo delle nostre responsabilità internazionali? Che se tutto va bene perché siamo sotto una risoluzione ONU (menzogna) e collaboriamo con la NATO (verità), allora l’ ONU è diventata quasi peggio della vecchia Società delle Nazioni e dalla NATO sarebbe opportuno uscirne. Una volta si diceva «No alla NATO e al Patto di Varsavia». Se il Patto di Varsavia non c’è più, perché alla NATO non facciamo cucù?

Che se vogliamo uscire dal merdaio in cui ci troviamo, dobbiamo liberarci da tutta la merda che il neoliberismo (sbaglio, la borghesia capitalista) ci ha fatto ingoiare a partire dalla caduta del Muro di Berlino, che tra l’altro ha fatto molte meno vittime del muro del Mediterraneo, dietro il quale questa porca Europa dei finanzieri si nasconde, ributtando a mare chi ha la sola colpa di cercare una vita meno infame (Arrigoni insegna)  e dove vediamo xenofobi, razzisti, e nazifascistelli e berluscoidi circolare  liberamente.

Caro Mario, ti ho scritto sotto l’ impulso della rabbia e della disperazione per quello che accade.

Da domani, anzi fra un’ ora, prometto che cercherò di nuovo di essere serio e razionale.
Ma per una volta, che ci sia permesso di imprecare!

Con stima ed amicizia,

Francesco.

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