Della violenza parli Minosse. Noi costruiamo il futuro.

Ho provato a spiegare, in un post forse non molto riuscito scritto a ridosso del 14 dicembre, che cosa penso delle violenze che hanno fatto seguito alla fiducia parlamentare ottenuta dal peggior governo degli ultimi 150 anni, a partire dal fatto che la violenza vera è quella di un sistema economico-politico che condanna tutte e tutti alla precarietà, all’obbedienza, alla necessità di cucirsi addosso futuri molto stretti e già preconfezionati da qualcun altro.

Sulla violenza in sé (quella dei tumulti, intendo) mi pare stupido soffermarsi a elucubrare: nessuno di noi è san Pietro e non abbiamo ricevuto in custodia le chiavi del paradiso; e neppure siamo Minosse, che nell’Inferno di Dante assegna i dannati al proprio girone attorcigliando la coda. Dobbiamo renderci conto che i continui, stucchevoli, richiami degli ultimi giorni all’assoluta inaccettabilità della violenza rischiano in realtà di sortire l’effetto contrario (ammesso e non concesso che si propongano davvero d’invitare alla calma).

Voglio dire, semplicemente, che alla violenza ricorre chi non ha altre strade. E se reagire alla violenza significa negare la legittimità delle cause che l’hanno generata, la risposta violenta non potrà che ripetersi, amplificata, da parte di chi non vede prospettive per sé, ma, nel frattempo, ha ben chiaro chi deve ringraziare per la propria situazione di precarietà. Vale a dire i violenti veri, quelli che siedono in Parlamento e nei consigli di amministrazione delle borse e delle società.

Se la risposta dello Stato ai “violenti” (quelli della strada) sarà una stretta autoritaria, magari gli «arresti preventivi» di fascista memoria proposti da Gasparri, il sentimento di assoluta impotenza di chi non è d’accordo col regime si tradurrà forzatamente in nuovi scoppi di violenza.

Riporto dunque con piacere il testo di un discorso tenuto dall’amico Alessandro Pascale alla manifestazione studentesca del 22 dicembre 2010 ad Aosta, che condivido e sottoscrivo in pieno (dato il contesto, anche nelle parolacce).

Le violenze giovanili e l’ipocrisia di Stato e benpensanti
di Alessandro Pascale

Abbiamo visto tutti quanti cosa è successo il 14 dicembre: un folto numero di ragazzi ha messo a ferro e fuoco le strade di Roma. Lo ha fatto in maniera violenta, trovando la fiera opposizione altrettanto violenta e spesso gratuita delle forze dell’ordine. Subito l’ipocrisia si è scatenata su giornali e televisioni: il ministro La Russa ha zittito, aggredito e minacciato nel corso di una trasmissione televisiva uno studente colpevole di criticare la riforma Gelmini. La Russa ha dato del violento e del terrorista ad un ragazzo che cercava di far riflettere sulle cause per cui i giovani di oggi si rivoltano.

Non per giustificazione, ma per onore della memoria ricordiamo che il ministro La Russa nel 1973 partecipò, da segretario lombardo del Fronte della Gioventù, a una manifestazione fascista non autorizzata nel corso della quale venne ucciso l’agente di polizia Antonio Marino.

Abbiamo poi avuto le dichiarazioni di Maurizio Gasparri, che ha evocato l’arresto preventivo dei referenti del movimento studentesco. Un fatto gravissimo, da Stato di polizia, da puro regime fascista, e quindi totalmente inaccettabile per qualunque società democratica.

Al di là delle manovre di questa destra schifosa che tenta di approfittare dei disordini dei giorni scorsi per distruggere i diritti garantiti dalla Costituzione italiana abbiamo assistito al coro dei benpensanti e ipocriti che con tono paternalistico raccomandano di manifestare e protestare sì, ma evitando la violenza, perché a quel punto è inaccettabile e non si fa… non si deve fare… Una litania questa portata avanti bipartisan da destra a sinistra, tutta tesa a condannare le violenze e isolare i pochi teppisti.

Credono che siamo scemi? Sappiamo benissimo che singoli atti violenti non servono a niente e sono anzi controproducenti. Il movimento studentesco è per sua natura pacifico e non-violento. E di questo ne siamo orgogliosi. Ma mi fa incazzare l’ipocrisia di questa classe politica vecchia e fallimentare che sentenzia e condanna con tono paternalistico quando tra Parlamento, Confindustria e società reale c’è una violenza sistematica e quotidiana che condanna alla precarietà e all’assenza di futuro intere generazioni. Basta ipocrisie! Io non auspico la violenza ma la capisco, perché in Italia i giovani che studiano sono coscienti del fatto che non solo il loro futuro è compromesso, ma che pure quello del Paese lo è.

E c’è un’esasperazione, un senso di impotenza che emerge quando l’italiano medio non vuole nemmeno ascoltarti quando gli dici che noi giovani siamo fottuti per colpa di quell’intera classe dirigente politica che ha accettato le politiche economiche neoliberiste, condannando i giovani alla precarietà e l’istruzione alla privatizzazione. L’italiano medio è lo stesso che non legge i giornali, guarda il tg5, vota PDL e Lega (ma da noi anche l’Union Valdôtaine, il cui Fosson ha votato la fiducia a Berlusconi) perchè non riesce neanche a capire le porcate fatte da questo governo.

Questo italiano medio è poi lo stesso che viene a dirti che non si deve protestare in maniera violenta, e che bisogna essere democratici e civili. Queste sono le persone che se fossi violento vorrei tanto prendere a calci in culo per sfogare la mia rabbia. Ma per fortuna non sono violento e sono conscio che la violenza non ci porterà a nulla di buono. Quindi vorrei rispondere all’italiano medio che la civiltà inizia nel modo di rapportarsi agli altri, nella volontà di essere buoni cittadini.

La civiltà inizia nei luoghi di lavoro, dove il padrone non ti licenzia da un giorno all’altro senza motivo. La civiltà inizia nel rifiuto di logiche clientelari e dei controlli del voto elettorale, inizia nella denuncia delle famiglie mafiose e nel rifiuto di raccomandazioni e mazzette.

La civiltà inizia nel pensiero che i propri interessi personali non devono andare a danno di quelli della collettività, nella solidarietà e nel rispetto quotidiano della Costituzione, della democrazia e degli avversari politici.

Ma se lassù c’è un signore che se ne infischia di tutto ciò, diventando violento e intollerante ogni giorno che passa (basti pensare alla compravendita dei parlamentari) allora rivendico il diritto di essere intollerante con gli intolleranti. Non voglio diventare violento ma capisco che molti ragazzi attorno a me lo diventeranno se le cose non cambiano RADICALMENTE da domani. Chi semina merda si stupisce che poi questa puzzi e inizia a comprare deodoranti. E nessuno che pensi invece al modo di rimuoverla quella merda… Se non cambia niente, e se nessuno ti ascolta è comprensibile che la protesta degeneri in rivolta.

Qui c’è una generazione intera che non ce la fa più, e comincia a non vedere alternative possibili oltre a quella della violenza. A gente disperata i calcoli razionali e politici non interessano se non c’è un progetto chiaro dietro. E questo al momento non c’è. Bisogna darsi una sveglia in tal senso. Se ciò non accade quei signorotti borghesi e quegli italiani medi che si indignano per una camionetta sfondata non saranno meno colpevoli di quelli che in preda alla frustrazione fanno ricorso alla violenza. Sono anzi più colpevoli perché non hanno fatto nulla, né sembrano intenzionati a creare le condizioni per il cambiamento.

La vera violenza è la loro, non la nostra. Noi siamo la meglio gioventù e non intendiamo mollare senza riprenderci il futuro che ci spetta.

Alessandro Pascale
[L’unico grassetto è mio]

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