Azione e reazione. Roma, 14 dicembre 2010

Non ho riso di fronte alle immagini dei blindati in fiamme, ma neppure ho pianto. A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: è, se ricordo bene, una legge della fisica. I ragazzi in piazza sono saliti sulle barricate. Poi possiamo disquisire per ore sul peso dei black bloc (così i giornalisti si ostinano a chiamarli, forse per prepararsi ai festeggiamenti, l’anno prossimo, dei 10 anni da Genova 2001, corollario dei 150 d’Italia) e forse il grosso degli scontri è dovuto a facinorosi (quelli in divisa, però, assieme a quelli in tuta nera). Ma ciò che è accaduto oggi è una reazione perfettamente logica ad azioni di forza uguale e contraria perpetrate dall’alto e, conseguentemente, un fenomeno destinato a ripetersi e ampliarsi.

Gli scontri di Roma, che hanno fatto da cornice al voto di fiducia al peggior governo degli ultimi 150 anni, non sono il semplice prodotto dell’esasperazione per ciò che appare “poco pulito”: dai giochetti di Palazzo, alla compravendita dei voti da giorni sulla bocca di tutti, all’eterno sopravvivere dei potenti, impermeabili agli scandali e molto più «eguali» degli altri cittadini davanti alla legge.

Ben altra è l’esasperazione di chi è sceso in strada. Moltissimi pacificamente, oltretutto (ed è bene ricordarlo perché non esiteranno a equiparare gli studenti, i precari o la Fiom ai violenti, così come sempre hanno fatto). Si tratta dell’esasperazione sacrosanta di chi sa che il proprio futuro è messo sotto ipoteca da quei pochi che non si fanno scrupolo a decidere per tutti gli altri.

Quelli che permettono la devastazione ambientale di intere comunità decidendo al di sopra della testa della gente.

Quelli che impongono con la forza i rifiuti a Terzigno e i prefabbricati all’Aquila.

Che antepongono le merci e gli utili agli esseri umani.

Che espongono i loro beni di lusso nelle vetrine di via del Corso oggi sfondate mentre la forbice tra ricchi e poveri si divarica sempre più.

Non credo abbia senso disquisire della liceità di quella violenza che in fondo tutti condanniamo. Ma scoppierà sempre finché ci sarà qualcuno con le spalle al muro, senza più scorgere altre vie. Per giusto o sbagliato che sia, questo tipo di violenza non può far altro che aumentare man mano che le ingiustizie sociali, la consapevolezza dell’impunità dei potenti, la mancanza di prospettive si fanno più opprimenti.

C’è chi si accorge della violenza soltanto quando si trova davanti agli scontri di piazza tra giovani intabarrati di nero e poliziotti in tenuta antisommossa. Ma la violenza è un dato quotidiano in un sistema statale che rinuncia a erogare servizi (la scuola, la sanità) per regalarli ai privati, che non vuol difendere i beni comuni (l’ambiente, l’acqua, e anche l’energia, perché il sole e il vento così come, nuovamente, l’acqua sono di tutti), che abbandona il lavoro alla precarizzazione e ai diktat dei padroni (rinunciare ai diritti in cambio di lavoro: Marchionne insegna).

Ciò detto, ci sono anche quelli che amano picchiare, ma una città blindata non è il massimo per placare gli animi. Soprattutto se fra i manifestanti si decide di infiltrare qualche provocatore. Non ho avuto il tempo di controllare, però mi ha colpito questo commento, letto nel sito del manifesto:

Siamo dopotutto in Italia, il Paese di Bolzaneto, quello in cui l’ex Presidente Cossiga, ex Garante della Costituzione, esortava il capo della polizia a infiltrare agenti provocatori fra gli studenti in lotta contro il ministro Gelmini, al fine di creare incidenti e indurre un clima favorevole a una repressione violenta. Aggiungeva di aver seguito tale tattica, ai suoi tempi, quand’era ministro dell’Interno.

>>> Nel video, tratto da Repubblica RadioTv, il racconto di Arianna Ciccone (Valigia Blu).

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