In realtà il titolo di questo articolo dovrebbe essere «Manifesto in costruzione per una de-militarizzazione degli spazi civili e della società».
Si tratta di una proposta, ancora in gran parte da meditare, che propongo a chiunque sia interessato/a a contrastare il livello crescente di militarizzazione delle nostre città e della società italiana (e, più in generale, occidentale).
La nostra Costituzione prevede, all’articolo 11, che l’unico uso legale dell’esercito sia quello difensivo. I nostri soldati si trovano tuttavia presenti (e combattenti) in teatri di guerra troppo lontani dall’Italia perché lo statuto delle loro missioni possa essere davvero considerato tale.
Dalle pagine di questo blog ho proposto e riproposto (finora con scarso successo) l’iniziativa «Ripristiniamo il Ministero della Guerra», volta a restituire il vero nome alle cose, contro l’ipocrisia delle «guerre umanitarie».
Giovedì 4 novembre ho partecipato come moderatore a una serata antimilitarista durante la quale si è proposto, fra l’altro, di agire assieme (tra nonviolenti e antimilitaristi in senso più lato) per costruire un movimento permanente contro un tipo di guerra immaginato anch’esso come «permanente» (almeno da Bush in poi).
Il senso (o l’obiettivo) di questo movimento, siccome non pare probabile l’ipotesi di riuscire a convincere Stati e aziende a mettere in secondo piano gli interessi economici e strategici di fronte alla volontà dell’opinione pubblica, potrebbe essere più credibilmente quello di “rosicchiare spazi di pace“, allontanare la presenza militare dai luoghi civili, fare in modo che il mondo militare si senta sempre più isolato dal resto della società.
Abbiamo tutti letto dei corsi di cultura militare previsti per la scuola pubblica lombarda da un protocollo d’intesa tra i ministri Gelmini e La Russa. Abbiamo tutti presenti le dichiarazioni del ministro della guerra sul fatto che all’Italia dovrebbe essere concesso di bombardare in Afghanistan. Abbiamo tutti fatto caso al fatto che la festa della Repubblica, come quella dell’Unità nazionale sono celebrate con parate e altre iniziative militari. Abbiamo notato le conseguenze della guerra sul nostro Paese in termini di lutti (e certo i media italiani non danno abbastanza spazio ai lutti altrui, quelli delle popolazioni che in teoria andiamo ad aiutare). Forse tutti quanti, a meno di non essere troppo giovani per aver notato la differenza, ci siamo accorti dell’aumentare della presenza militare in città, tra blindati «Lince» che si esercitano a pattugliare il territorio, con tanto di mitra in torretta, ed elicotteri militari che sorvolano gli spazi abitati.
Ancora molto si potrebbe dire sulla cultura delle armi e della violenza in generale, tra i programmi televisivi, i visdeogiochi e persino la retorica dei 5 minuti di silenzio a scuola. Occorre ancora citare la militarizzazione esplicita del territorio con la costruzione di nuove basi militari, italiane come anche Usa e Nato, quelle da cui si alzano in volo i bombardieri diretti in Afghanistan o in Iraq.
Appare urgente agire per recuperare gli spazi di pace alla città e al vivere civile. Manifestare in maniera nonviolenta la propria opposizione alla militarizzazione in atto, anche semplicemente ponendo (in maniera organizzata) domande alle autorità civili e ai comandi militari per sapere in base a quali accordi gli spazi civili possono essere violati. O anche semplicemente mettendosi davanti ai blindati o presidiando gli ingressi delle caserme con la bandiera della pace.
La mia è una proposta – lo dicevo sopra – tutta da meditare. Questo vorrebbe essere (attraverso i commenti e le e-mail) uno spazio di scambio di idee e di confronto. Internet naturalmente non basta e conto già oggi di scrivere alle associazioni e personalità che sul territorio possono essere interessate a questo tipo di percorso.
Io abito ad Aosta. Invito tutte e tutti a fare la stessa cosa nelle proprie città, nell’intento di rilanciare, il più possibile, quel movimento per la pace che all’indomani dello scoppio della guerra in Iraq era definito «la seconda potenza mondiale».
Ultimo “stimolo”: le foto di questo articolo le ho scattate oggi ad Aosta con il cellulare. I blindati raffigurati fanno parte di una colonna di sei mezzi (se ho contato giusto; in realtà ero occupato ad armeggiare col telefonino) e stavano transitando su strade urbane piuttosto centrali, se si considera che quello sullo sfondo è l’Istituto San Giuseppe (un collegio e una scuola tenuta dalle suore più una garderie comunale, vale a dire una specie di asilo nido a orario flessibile); qualche metro più in là ci sono la sede dell’Università della Valle d’Aosta e quella del Liceo classico; tutto intorno ci sono condomini di abitazione; a neanche 200 metri di distanza c’è l’Ospedale regionale «Umberto Parini»; l’area pedonale del centro disterà al massimo 400 metri.
è una coincidenza che gli scatti siano stati fatti davanti al S. Giuseppe!?!? 🙂
Mah, abito vicino…