La disumana caccia all’ambulante

 
 
La mia lettera alla provincia e al comune di Venezia, nella quale esprimo indignazione per la "caccia all’ambulante" in corso
nel capoluogo veneto e nelle spiagge della città, che ha richiesto la
mobilitazione di esercito e polizia provinciale,
è stata pubblicata come «denuncia del giorno» sul sito del Gazzettino di Venezia. Il giornale – mi fa piacere – ha anche aggiunto al titolo l’espressione: «disumana caccia all’ambulante».
 
Ho
già letto parecchi commenti. Alcuni mi sono di conforto, come quelli ricevuti sul blog dopo la lettera aperta a Umberto Bossi (lo so, troppe lettere!), altri, devo dire, sono di tutt’altro tenore. Una precisazione: io non pretendo di aver ragione su tutto. Neppure dico che, di fronte a
problemi riguardanti il «decoro» o un’illegalità a bassa intensità, si
debba per forza lasciar correre. Del resto, l’Italia è il Paese nel quale le
leggi normali non si applicano (e sto cominciando a pensare che sia
solo una scusa per poterne varare di speciali).
 
Però non si può non denunciare l’accanimento contro gli "ultimi",
in generale gli stranieri, magari anche impegnati in attività illecite, ma
poco o per nulla pericolose per il cittadino. Si tratta non solo di un accanimento inumano, ma anche di un atteggiamento controproducente,
in grado di spingere tanti venditori abusivi e più semplicemente gli
"irregolari" (che una legge assurda ha trasformato in colpevoli di
«clandestinità») a scendere sempre più in basso, fino a trasformarsi in
criminali veri.
 I soldi pubblici, questo dicevo, dovrebbero essere spesi per l’integrazione. Dove è successo, i risultati si sono visti. Ma usare la mano dura paga di più – e subito – in termini di visibilità.
 Quanto detto sopra è già una risposta a carlo.michieli,
che in un commento («siamo noi veneziani che non vogliamo più i vu
cumprà a casa nostra») m’invita – se sono «così gentile» – a «ospitare
un paio di questi signori, magari trovandogli anche un lavoro». E non è
questo che dovrebbe fare  un’amministrazione pubblica
efficiente, cercare di garantire a tutti – italiani e non – una casa e
un lavoro? Naturalmente non mi sogno di minimizzare il problema, ma
sono convinto che la strada da percorrere sia quella, non le pistole.
 A carlo.michieli risponde con «tristezza» gloria,
emigrata in Germania, cui certe affermazioni ricordano «un partito qua
in germania proibito (npd) per le loro idee estremiste e razziste…
cosa propagandavano loro? esattamente quello che dice il signor
michieli… fuori dalla Germania tutti quelli che non sono tedeschi,
date in mano la germania ai tedeschi etc».
 uno qualunque ricorda
quando eravamo "noi" a emigrare e (anche) a delinquere;
alex gli risponde chiedendo i
«dati» secondo cui «i veneti sarebbero stati in cospicua parte abusivi,
criminali e clandestini in percentuale pari al 10%». In tal caso, «non
avrò mai più a che dire sulla presenza straniera clandestina in Veneto»
(razza superiore?).
 francesco commenta: «ormai direi che noi veneti abbiamo
raggiunto il fondo […] una ordinanza del genere è pura follia…
siamo capaci di rovinare l’immagine di una città come venezia con
niente… […]
non
è questo il modo di risolvere le cose… sopratutto sotto gli occhi dei
turisti… inizio a capire perchè ormai la gente non viene più da noi a
passar le ferie ma preferisce il sud italia… non sono modi di fare
questi… manco fossimo in guerra… che cercassero di trovare una
adeguata sistemazione piuttosto». Gli risponde l’ineffabile signor
Michieli: «nel mondo ci sono 6 miliardi di persone, speriamo vengano a
Venezia solo quelle che finalmente sanno di non trovare più vu cumprà,
è a quella fascia di turismo che noi dobbiamo mirare» Crudele? Ma no:
«per gli altri c’è sempre l’italia».
 Anche al ritiene che, siccome la penso in un certo modo, devo impegnarmi a ospitare «almeno 10 di questi», mentre claudio48
pone l’accento sul fatto che oltre ai diritti ci sono i «DOVERI» (e chi
lo mette in dubbio? forse quelli che fabbricano clandestini a tutto spiano con apposite
leggi e, togliendo ogni diritto, non posson più pretendere il rispetto
dei doveri?).
 angelo, infine (che si firma come
«egiziano in Italia»), esprime così il suo dissenso: «eh no…!! Doverci
sorbire queste lettere sul "Gazzettino"… no; ordine, decoro, regole…
sono principi basilari di una civile convivenza versus l’italica
anarchia figlia di un cattolicesimo impregnato di comunismo. Qualcuno
non verrà più a Venezia? Meglio… la città non ha bisogno di siffatta
gente».
 Concludo con una frase di gloria: «sono una emigrante da 40 anni
all’estero e sono davvero spaventata di come vi state svillupando in
italia». Sarà la maggior sensibilità di chi vive su di sé la condizione di migrante? O più
semplicemente la signora Gloria è scampata agli ultimi decenni di
lavaggio del cervello della televisione italiana?
 PS: Tra i commenti che ho dimenticato di citare, voglio ricordare ancora quello di Marco F., che chiama in causa i problemi «VERI» della città:«Ma la Pres. Zaccariotto non aveva detto che una priorità era Porto Marghera? L’altro giorno c’è stata l’ennesima fuga di materiale dalla Vinyls, ditta in dismissione da tempo e la signora Zaccariotto schiera tutta la polizia provinciale contro i vu cumprà? La chimica ha distrutto la laguna, la città e la salute degli abitanti. Nonostante questo procediamo con la "caccia alle streghe" contro gli ambulanti difendiamo le griffe di abbigliamento (che sfruttano esseri umani, altrove, solo per il loro profitto lasciano le briciole a Venezia), senza occuparci dei problemi VERI della città. Preferisco avere una borsa falsa e respirare aria pulita!».

Questa voce è stata pubblicata in General. Contrassegna il permalink.

6 risposte a La disumana caccia all’ambulante

  1. TenderBranson scrive:

    mario, secondo me il difficile sarà QUEL GIORNO non andare a prendere uno per uno quelli che oggi applaudono e dire loro “che ti avevo detto?”.
    Ma lo faremo.
    Nel frattempo: resistere, resistere, resistere. Tu dici di non sapere se hai ragione? Te lo dico io: hai ragione su tutto. E’ null’altro che un progetto politico: mettere i più poveri gli uni contro gli altri per garantirsi la libertà di fare il cazzo che gli pare.

  2. Mario scrive:

    Hai ragione. Ma è proprio triste!

  3. federico scrive:

    Venezia sempre più Disneyland e sempre meno città.
    E’ almeno dagli anni ’80 che si segue questa politica: da quando si è passati dal concetto di “sicurezza”, che ha (dovrebbe avere) confini ben precisi e definiti dalla legge, a quello di “decoro” della città.
    Venezia è una città sicura, una sorta di paradiso, però se sostituiamo man mano il concetto con quello, completamente arbitrario, di decoro avremo questo risultato: l’interesse economico a sfruttare turisticamente Venezia si traduce nella richiesta di trasformarla in un centro commerciale a cielo aperto. Come i centri commerciali hanno la possibilità di “scegliere” chi può accedervi, ossia chi è interessato a e capace di acquistare, così la città diventa non il luogo di tutti ma il luogo di alcuni, quelli che appunto sono capaci di pagare per godere della merce-città (Venezia, in questo caso). E la “milizia privata” dei venditori è legittimata e incoraggiata a cacciare il diverso, il deviante (da cosa, poi?) e chiunque non rientri nella categoria dell’acquirente o infastidisca (è poi vero?) gli utilizzatori della città.

    Nota personale: ho vissuto per tre anni e mezzo a Venezia; al primo impatto mi sono innamorato della vita della città e, col tempo, avevo iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto, finiti gli studi, tentare l’impresa (impossibile) di stabilirmi lì. Ma ultimamente sono sempre più convinto che il mio futuro sarà lontano da una città che ha preso una discesa a tutta velocità e che mi sembra impossibile da fermare.

  4. Mario scrive:

    Concordo pienamente con quanto dici. Venezia non è l’unico caso di città che cercano di trasformare in centro commerciale o parco dei divertimenti, ma è sicuramente il caso più eclatante. Politiche municipali o provinciali a parte, mi viene in mente un’idea azzardata. E’ il flusso stesso dei turisti che rende difficile, al cittadino veneziano, vivere la dimensione urbana della propria città, ma gli svantaggi (per i residenti) di questo continuo assalto sono compensati dall’apporto economico che ne deriva, un’enorme fonte di ricchezza per la città, che però non vale a cancellare d’un tratto la tensione e lo stress dovuti al fatto di vivere in una città dove spesso non si può neanche camminare a causa della folla. Nasce da qui il sentimento di rifiuto per quelle persone che non solo “ingombrano” Venezia, ma non vi portano neppure i loro soldi? Naturalmente la butto lì; in più si tratta di una spiegazione azzardata di un meccanismo psicologico. Si potrebbe anche dire, alla Fiera delle Banalità, che la ricchezza rende egoisti. Forse, se il cittadino veneziano (non parlo di tutti i cittadini naturalmente, ma di quelli a cui va bene un certo modello) si sforzassero di non utilizzare la loro città come una trappola per polli da spennare, forse se tentassero (ma sta già avvenendo, da parte di tanti; ultimamente Venezia mi sembra molto viva da questo punto di vista) di recuperare la dimensione propriamente urbana di calli e campielli, contestando la visione della città-parco dei divertimenti, forse, dicevo, certi atteggiamenti tenderebbero a venir meno. Il decoro di una città, in ogni caso, non è altro se non aggravato dalla caccia, spietata, agli “ultimi”.

  5. federico scrive:

    Credo ci sia da fare un discorso a lato, ma che è strettamente legato a quel che stiamo dicendo. Semplificando al massimo (per comodità) si possono vedere due tendenze: una legata a quell’umanità e quella cultura, che secondo me sono proprie dei veneziani, che fa di una grossa fetta degli abitanti degli ospiti generosi e capaci, come giustamente sottolinei, di tener viva la città, nonostante tutto. Insomma, di resistere.

    [il reale problema dell’abitare a Venezia è, semmai, il non poterselo permettere, dovuto anche all’assenza di politiche adeguate tese a offrire la possibilità di vivere e lavorare in città]

    Dall’altro lato c’è un atteggiamento e un sentire puramente dettato dall’ideologia. Spiego perché. La giunta, comunale o provinciale (ma mi interessa sottolineare soprattutto il comportamento della giunta storicamente “rossa” di Venezia), non trae sostanzialmente alcun vantaggio (in termini elettorali) dal portare avanti politiche di esclusione ed espulsione, né c’è un reale vantaggio economico per quelle categorie che esigono la città ordinata e pulita. In parole povere, le politiche di destra non spostano che di pochissimo la bilancia elettorale [semmai spostano nel complesso l’azione di quella parte politica che si chiama sinistra verso destra] e allo stesso tempo è solo il “clima generale”, e non una necessità reale, a dettare l’esigenza di essere sempre un passo avanti agli altri quando si tratta di colpire gli “ultimi”.
    E’, questo, prodotto e via di trasmissione di un sentire comune non dettato da reali problemi né da interesse economico ma solo, appunto, insinuato e reso concreto dall’ideologia della sicurezza, che ormai non è più solo il cavallo di Troia della destra ma è diventato un problema riconosciuto come reale dalla maggioranza della popolazione.
    Temo, per questo, che non sia sufficiente “smascherare” l’inutilità e la dannosità di questo tipo di politiche, perché non è l’effetto reale che hanno ad avere importanza ma è solo il fatto che sono ritenute normali e doverose a legittimarle (pena l’accusa di “buonismo” se ci si azzarda a contrapporvi politiche di inclusione).

  6. Mario scrive:

    D’accordissimo. Anche sul piano nazionale è così. Coi lavavetri ha iniziato la giunta di “sinistra” (ah ah) di Firenze. A Padova è il sindaco di “sinistra” (ah ah ah) che ha fatto il famoso muro. A Torino… Però, se smascherare l’inutilità e dannosità di queste politiche non è sufficiente, credo sia comunque doveroso. Bisogna lavorare su immaginari altrettanto forti rispetto a quelli costruiti dalla Lega; come, non lo so, ma direi di ancorarli alla realtà!

I commenti sono chiusi.