Danimarca: Opposizione nonviolenta al nazismo.

 

 Negli ultimi tempi, complice la ricorrenza della Giornata della Memoria, ho pubblicato diversi articoli sulla Shoah e, più in generale, sulla deportazione e lo sterminio di milioni di donne e di uomini all’interno dei lager nazisti. Li elenco di seguito, così da renderli più facilmente consultabili.
 

 Collettivamente Memoria
 Il Treno della Memoria

 La Giornata della Memoria La parola libertà. Vite da donne: "44145 Anna"
 L’orrore assoluto
 
 
Questo che segue è un altro articolo sullo stesso tema, ma affronta il periodo nazista in una prospettiva diversa: quella della resistenza nonviolenta della popolazione danese contro l’occupazione tedesca. Anche quest’incontro si è svolto all’espace populaire di Aosta, nell’ambito della rassegna Collettivamente Memoria: è stato proiettato il video A Force More Powerful (Una forza più potente), di Steve York, presentato da Angela Dogliotti Marasso del Centro Studi Sereno Regis di Torino.

 
 «Il caso danese è uno di quelli meno noti», esordisce Dogliotti Marasso, «anche se si comincia a conoscerlo». Il 9 aprile 1940 l’esercito tedesco invade la Danimarca.
Il governo danese sceglie una «politica di cooperazione» allo scopo di meglio proteggere i cittadini e mantenere una certa autonomia. La popolazione adotta la tattica della resistenza civile nonviolenta, mentre il governo cerca di mantenere un equilibrio. Se il 25 novembre 1941 il premier danese Scavenius firma il Patto Anticomintern con i tedeschi, il ’41 è l’anno delle ribellioni antitedesche: crescono sabotaggi e scioperi, al punto che la Germania imporrà un ultimatum al governo, chiedendogli (fra l’altro) di schierare a fianco della Wehrmacht truppe danesi. Scavenius risponde dimettendosi e la Danimarca passa sotto il controllo diretto dell’invasore. Nel settembre 1943 nasce il Consiglio della Libertà, organismo di coordinamento delle azioni di resistenza, che funzionerà come una sorta di «governo parallelo». Il 1° ottobre del ’43 la resistenza civile danese impedisce la retata degli ebrei nascondendoli e aiutandoli a raggiungere la Svezia: 475 di loro saranno catturati dai tedeschi, ma altri 7220 riusciranno a fuggire. Il 25 giugno 1944 viene imposto il coprifuoco: i danesi rispondono organizzando la campagna «andare a casa presto», ossia uscire prima dal lavoro, con la scusa di badare ai propri orti, dal momento che a causa del coprifuoco non possono farlo dopo. Continuano gli scioperi e altre forme di resistenza civile, finché i tedeschi sono costretti a trattare. Nel luglio del ’44 vengono introdotti i due minuti di silenzio a mezzogiorno: alle 12 in punto tutta la Danimarca si ferma, per due minuti, in assoluto silenzio. Continua la diffusione della stampa clandestina. Le ferrovie sono bloccate per impedire il trasporto di prigionieri danesi in Germania. Nuovi scioperi seguono l’arresto di 10 mila poliziotti danesi. Il 1° maggio del ’45 la guerra finisce e la Danimarca è libera.
 «La resistenza civile in Danimarca ha coinvolto ampi strati della popolazione», dice Dogliotti Marasso, «ed è stata possibile grazie alla forte coesione sociale della società danese». Ricordarla, studiarla è oggi molto importante. Secondo Jacques Sémelin, ricercatore del Centre d’Etudes et de Recherches internationales francese, membro del Movimento di alternativa nonviolenta e studioso della resistenza civile europea, infatti,
la memoria umana è selettiva: se viviamo la difesa unicamente in termini militari, il nostro futuro non potrà essere diverso. Per costruire un domani diverso dobbiamo cercare nel nostro passato episodi alternativi. Oggi prevale la visione per cui la violenza è l’unica reazione possibile, o la più efficace, ai conflitti. Ogni potere, però, regge sul consenso (anche soltanto passivo) di molti. È allora possibile lottare contro un potere ingiusto svuotandolo dall’interno. È questo il compito della nonviolenza, che non rifiuta il conflitto, ma cerca di umanizzarlo. Dogliotti Marasso ricorda alcune tappe fondamentali della lotta nonviolenta: oltre al caso danese, la liberazione gandhiana dell’India, l’azione di Solidarnosc in Polonia contro il totalitarismo sovietico, la lotta dell’African National Congress nel Sudafrica dell’Apartheid, il ritorno alla democrazia in Cile, il movimento per i diritti civili e la lotta dei neri americani negli Usa. Tutti momenti fondamentali, che hanno dimostrato il potere della resistenza civile nonviolenta.
 
 Una riflessione personale. Osservando le immagini della Danimarca occupata dai nazisti, non mi è sembrato di avere a che fare con le truppe di Hitler:
i cittadini danesi, da ciò che si vede nel filmato, sono trattati quasi con rispetto dai soldati della Wehrmacht. Gli scioperi non sono  repressi nel sangue e lo stesso si può dire per i sabotaggi. I tedeschi cercano in ogni modo di venire a patti con la popolazione, che continua a sfidare gli invasori con tranquilla determinatezza. Mi domando: sono questi gli effetti della strategia nonviolenta? Certo, conterà qualcosa la decisione del governo di non aprire il fuoco sul nemico: la Danimarca non fu bombardata e credo che il semplice fatto di avere per cornice delle proprie faccende quotidiane palazzi interi e non macerie predisponga l’animo a un maggior grado di civiltà, come se la guerra fosse una cosa lontana. In secondo luogo, naturalmente, non aver utilizzato la violenza ha evitato le rappresaglie dei nazisti.
 Ma forse queste riflessioni lasciano il tempo che trovano. Più interessante mi pare rilevare
la grande coesione della popolazione, che ha reso molto difficile agire contro singole categorie di persone. Per poter esprimere un parere sensato dovrei conoscere meglio l’esperienza danese, eppure credo di poter concludere dicendo che all’insolito comportamento degli abitanti del luogo è corrisposto un comportamento non meno insolito (e rispetto al solito meno incivile) da parte delle forze d’occupazione tedesche. Mi sembra dunque che la resistenza civile nonviolenta abbia mostrato sul campo la propria efficacia.
 


 Finisco trascrivendo il decalogo del buon danese, un volantino prodotto da Arne Sejr, uno studente di 17 anni, e distribuito nelle buche delle lettere delle abitazioni private durante l’occupazione nazista.
 
 1.    Non andare a lavorare in Germania o in Norvegia;
 2.    Lavorare male per i tedeschi;
 3.    Rallentare il lavoro per i tedeschi;
 4.    Distruggere macchine e strumenti importanti;
 5.    Distruggere tutto ciò che può essere di beneficio per i tedeschi;
 6.    Ritardare tutti i trasporti;
 7.    Boicottare film e giornali tedeschi e italiani;
 8.    Non acquistare nei negozi tedeschi;
 9.    Minacciare i traditori in ciò che sta loro a cuore;
 10.  Proteggere coloro a cui i tedeschi danno la caccia.

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