L’orrore assoluto

 Un trasportoIl 3 gennaio del 2005 mi trovavo a Otranto, uno dei centri più belli del leccese, tutto case chiare, addossate l’una all’altra, e tra le case strette stradine in salita, in discesa, e muri che chiudono giardini. Una città stupenda, accomodata sul mare, dominata dal massiccio castello aragonese. All’interno della fortezza, ho visitato una mostra sulla tortura nel Medioevo, distribuita su quindici sale, dov’erano custoditi gli antichi strumenti di supplizio. Prima di cominciare, un cartello invitava a riflettere sui «secoli crudeli e bui» che, diceva,
 
 hanno accompagnato l’umanità sino ai giorni nostri prima che ci venissero riconosciuti quei diritti di uguaglianza che una legge naturale conferisce all’uomo al suo stesso apparire in questo Universo.
 
 Il cartello proseguiva:
 
 Questi diritti, riconquistati tra orrori e sofferenze e tuttavia ancor oggi spesso calpestati […] hanno ridato ad ognuno di noi quella dignità e quella libertà che dovrebbero generare una ragione lucida e consapevole, capace di scegliere il bene.
 
 
Nelle sale della mostra erano esposti gli strumenti di tortura ed era stato impressionante, per me, immaginare l’utilizzo che se n’era fatto. Alcuni cartelli descrivevano il loro funzionamento con stile preciso e distaccato, quasi che l’orrore raccontato fosse qualcosa di normale. Ricordo che, all’uscita, mio fratello aveva idealmente proposto di farci fare un giro a Bush: forse, di fronte all’orrore assoluto, persino il Presidente Usa avrebbe capito, finalmente. Questo mi aveva colpito, perché durante la visita anch’io avevo pensato qualcosa del genere.
 
Uomo e donnaInsomma, l’idea era questa: la testimonianza dell’orrore assoluto avrebbe potuto alzare il velo dalle azioni quotidiane, permettendo di scorgere assonanze impreviste tra l’opera degli uomini che vissero nei «secoli crudeli e bui» e quella dei moderni marines, inviati da Bush in Medio oriente a insegnare la democrazia. Ed è forse per questo che studiamo la storia, è questo il valore della Memoria, che non è semplice ricordo, ma qualcosa di attivo, di presente.
 Ho avuto la stessa sensazione durante le ultime vacanze di Natale, leggendo il libro
di Angelo d’Orsi sulla guerra di Spagna. L’ho vissuta più forte qualche giorno fa, mentre nella mia scuola allestivo (e accompagnavo gli alunni a vedere) una vecchia mostra sulla deportazione nei campi di sterminio, a cura dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati politici). L’esposizione, dal titolo Lager SS, ripercorreva l’età nazifascista, attraverso 40 semplici pannelli, composti di foto e piccoli testi, dalla fine della prima guerra mondiale, all’affermazione di Mussolini e Hitler in Italia e in Germania, fino alla creazione dei primi campi, alla promulgazione delle leggi razziali, alla guerra. Anche in questo caso mi ha colpito la semplicità del testo che, nonostante qualche breve commento, esponeva l’orrore in termini neutri, distaccati. Oltretutto, la mostra funzionava come un riassunto efficace di 30 anni di storia, concentrando in poche “pagine” ciò che normalmente i libri di testo disperdono in vari capitoli. Ne conseguiva un colpo d’occhio sconcertante, in grado di rendere con chiarezza la rapidità con cui le teorie fasciste e naziste si diffusero in Europa, veicolate (ma non sempre) dalle armi dei conquistatori. Il visitatore aveva la percezione precisa di come Hitler avesse previsto lo sterminino degli ebrei già prima di prendere il potere e di come il primo campo di concentramento fosse stato aperto appena pochi mesi dopo la nomina a Cancelliere di colui che ancora non si era nominato Führer.
 
Sottobicchiere tedescoAlcuni titoli: «30 gennaio 1933, Hitler al potere!». E subito dopo (il 22 marzo): «Presso Monaco è aperto Dachau, primo grande Lager nazista». Le leggi razziali non esistono ancora (saranno promulgate nel ’35), ma un sottobicchiere reca già la scritta: «Chi compra dagli ebrei è un traditore del popolo». Sempre del ’33 è la «battaglia culturale» di Goebbels, col rogo dei libri «di autori marxisti, ebrei e democratici». Il seguito della mostra presentava le tappe dell’abbrutimento umano: l’apertura di campi sempre nuovi, le prime conquiste tedesche, lo scoppio della seconda guerra mondiale… E via discorrendo, fino all’orrore più puro, agli esperimenti scientifici e medici sugli internati nei lager, bambini compresi, ai cadaveri utilizzati per fabbricare saponi, al resoconto di quanti marchi era possibile ricavare dal lavoro e dai corpi dei deportati. Una follia, se di follia si tratta, terribilmente lucida e razionale, spietatamente calcolatrice.
 Inutile dire che il desiderio di prendere per la giacca i “grandi del mondo” e mostrare loro «che questo è stato» si è fatto anche questa volta intenso. Di fronte all’orrore ci si domanda come sia potuto accadere, come abbiano potuto, allora, gli esseri umani dar luogo a qualcosa di così terribile. Di fronte all’orrore assoluto (quello che non si può giustificare con le esigenze di partito, con la scusa che altrimenti cade un governo – che poi, lo abbiamo visto, magari cade lo stesso) mi sono domandato cos’avrei fatto io, perché non è detto che sarei stato diverso dagli uomini e dai visi ritratti nelle foto della mostra. È forse necessario ipotizzare una patologia clinica per tentare di spiegare il comportamento della moglie di un comandante SS, che utilizzava la pelle dei prigionieri che avevano un tatuaggio per confezionare paralumi, ma non si può liquidare il problema della
responsabilità di migliaia e migliaia di esseri umani, complici dello sterminio, chiamando in causa una supposta infermità mentale. Da cosa dipendeva il comportamento delle SS nei lager? Da che cosa dipende il comportamento dei militari americani che si sono macchiati di torture in Iraq? Da cosa, ancora, la decisione politica d’istituzionalizzare la violazione dei diritti umani, ad Auschwitz come (sia pure con le dovute differenze) a Guantánamo o nella Striscia di Gaza, ridotta a un immenso campo di concentramento dai discendenti delle vittime della Shoah? Guardare negli occhi l’orrore, un orrore riconosciuto, sul quale gli storici hanno già apposto il loro sigillo, significa privarsi di tutte le giustificazioni di cui ammantiamo le cose del presente. E questo sarà forse un primo passo per vedere l’attuale sofferenza in una luce nuova.
 


 Excusatio non petita (disclaimer): Le foto di questo articolo sono tratte dalla mostra Lager SS, a cura dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati politici nei campi di sterminio nazisti). Trattandosi di fotografie di fotografie, non credo di aver violato la legge sul diritto d’autore. L’intento che mi sono proposto, inoltre, non dovrebbe risultare sgradito all’Aned, poiché ho voluto divulgare i contenuti della mostra, a fini del tutto acommerciali. Sono in ogni caso disposto a rimuovere da questa pagina i miei scatti. Per quanto riguarda la scelta delle immagini, ne ho selezionate quattro che trovo particolarmente pregnanti: un sottobicchiere, veicolo di propaganda antisemita; deportati chiusi nei carri bestiame; un uomo e una donna, sopravvissuti al lager.

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