Il fenomeno Sarkozy: sarebbe possibile in Italia?

 Il castello di Sarriod de la Tour22 giugno, ore 21. Raggiungo il castello di Sarriod de la Tour a Saint-Pierre (Aosta) per l’apertura della quarta edizione della rassegna Castelli di cultura. Stasera è ospite Cesare Martinetti, caporedattore cultura del quotidiano La Stampa, già responsabile degli esteri della testata torinese e corrispondente da Parigi. Titolo della conferenza: Il fenomeno Sarkozy: sarebbe possibile in Italia? La risposta è no, ovviamente, e viene data subito: i due sistemi sono troppo diversi. Ma il pretesto è buono per una lunga chiacchierata sulla Francia di oggi e sul nuovo Presidente. Il pubblico – una ventina di persone – è attento e competente, così gli interventi sono numerosi e la serata si trasforma in una sorta di dibattito. A quanto pare, tra i presenti c’è chi segue abitualmente il telegiornale sul canale francese; c’è chi conosce vita, morte e miracoli della politica d’Oltralpe; e c’è pure una bambina (secondo me deve ancora finire le elementari) che mi lascia di stucco: interviene due volte, facendo domande intelligenti e dimostrando di conoscere gli avvenimenti politici recenti. Per me che faccio l’insegnante, è una cosa incredibile. Martinetti non si scompone e risponde con tranquillità.
 
Quella che segue, nella parte estesa dell’articolo, è la “cronaca” del dibattito. Le posizioni espresse non sono le mie, ma quelle di Martinetti. Io non sempre sono d’accordo con lui. Tuttavia, mi sembra che ci sia parecchio materiale per la riflessione, tanto che mi propongo di recuperare alcuni punti e approfondirli in futuro.

 Il giornalista della Stampa comincia dalla vittoria elettorale del neopresidente, ricorda l’ammirazione italiana – di destra come di sinistra – per un politico giovane, nuovo, in grado di presentarsi come una rottura rispetto agli schemi fissi della politica. Sarebbe possibile in Italia? La risposta è negativa, per due ragioni principali. La prima, come si è accennato, è la diversità dei modelli istituzionali: in Francia vige un sistema presidenziale, che punta molto sulla personalità dei candidati. Al Presidente eletto dai cittadini spettano poteri enormi. Ciò detto, ci si chiede chi potrebbe essere il Sarkozy italiano. Da noi, alle scorse politiche si sono candidati due settantenni che si erano già scontrati dieci anni prima. I nostri cinquantenni, anche loro, sono sempre gli stessi: i Veltroni, i Fini, i Fassino
 
Cesare Martinetti (a sinistra)Sarkozy, invece, costituisce una novità reale. Eppure, anche lui è un politico di lungo corso, dal momento che il nuovo Presidente, in politica dall’età di vent’anni, ha seguito tutte le tappe del cursus honorum, secondo le regole previste dalla tradizione francese. Oltralpe, infatti, è cosa normale ricercare un radicamento forte a livello territoriale, locale, un rapporto di vicinanza (proximité) con gli elettori. Martinetti, in proposito, cita Mitterand, che consigliava ai suoi di crearsi un “feudo” in provincia. Quando Ségolène Royal gli chiese di fare politica, lui le rispose di presentarsi candidata: per fare politica, infatti, serve la legittimazione popolare. Sarkozy è stato sindaco della città di Neuilly-Sur-Seine, dove ha avuto modo di entrare in contatto con la realtà dell’amministrazione e con i cittadini. In Italia a molti politici di primo piano manca proprio questo: un rapporto forte, vitale, di scambio con il territorio. Il che, tra l’altro, contribuisce a spiegare (insinuo io) l’atteggiamento chiuso e ostinato di certi governanti nei confronti delle comunità locali, che si tratti di Vicenza, di Serre o della Val di Susa.
 
Per dare maggior risalto alla portata di questo concetto, mi permetto di anticipare la risposta di Martinetti a una domanda sulle dimissioni del ministro Alain Juppé, in pratica il numero due del nuovo esecutivo. In Francia, per tradizione, i ministri non sono parlamentari, per evitare che trincerino il loro operato dietro lo scudo dell’immunità (significativamente, la prima parola usata da Martinetti è “impunità”). Quest’anno, tuttavia, Sarozy ha imposto una nuova regola, chiedendo a tutti i ministri di candidarsi alle elezioni politiche, per ricevere l’imprimatur popolare, salvo dimettersi dall’Assemblée Nationale (il Parlamento francese) subito dopo il voto. Juppé non è stato eletto e ha dovuto farsi da parte. Una cosa impensabile in Italia, aggiungo io, dove c’è chi siede in Parlamento avendo raccolto solo una manciata di voti, grazie ai miracoli della nuova legge elettorale!
 
Il sistema presidenziale francese, abbiamo detto, si basa su un rapporto fisico, diretto, personale, tra l’elettorato e l’eletto. La Quinta Repubblica è nata alla fine degli anni ’50, quando è stato rifiutato il sistema proporzionale, considerato poco funzionale al fine di ottenere un governo efficiente. Il nuovo sistema, però, è caratterizzato da pochi contrappesi: l’Assemblée Nationale conta pochissimo, mentre il capo del governo non ha bisogno di chiedere la fiducia, perché direttamente designato dal Presidente, il quale a sua volta è legittimato dal voto popolare. Questo modello ha consentito a Sarkozy di sorprendere tutti, aprendo l’esecutivo “a sinistra”, cooptando, ad esempio Bernard Kouchner, fondatore di Medecins Sans Fronières, nome eccellente del socialismo transalpino. Con una serie di mosse originali, disorientanti, il nuovo Presidente si è proposto come campione del superamento dei vecchi schemi politici.
 
Sarkozy, soprattutto, ha voluto rompere con l’immagine di un Paese che cominciava a sentirsi in declino. A questo punto, Martinetti presenta un affresco della Francia contemporanea, tema sviluppato nel suo nuovo libro, L’autunno francese (che per correttezza confesso di non avere letto). L’autore passa in rassegna gli ultimi cinque anni della vita (non soltanto) politica d’Oltralpe, a partire dallo shock rappresentato dal ballottaggio tra Chirac e Le Pen alle presidenziali del 2002. È stato quello il momento in cui molti francesi si sono accorti che qualche cosa non stava funzionando (il 17% degli elettori aveva scelto l’estrema destra del Front National, sciupando di fatto il proprio voto, dal momento che Le Pen non aveva alcuna speranza di battere Chirac).
 
Successivamente, c’è stata la rivolta anarchica (nel senso di non organizzata) delle banlieues. Anche in questo caso, una rivolta senza sbocco, sintomatica della crisi dell’immaginario nazionale francese: a prendere fuoco, infatti, era il Paese dell’égalité, che faceva dell’integrazione uno dei suoi vanti principali. In Francia, quello dell’égalité è un vero e proprio mito, al punto che non è possibile scrivere l’origine di un cittadino nei documenti, per evitare qualsiasi discriminazione. Nella realtà, però, il discorso è molto teorico. La rivolta delle banlieues ha rivelato l’esistenza di ghetti intorno alle città. Non ghetti etnici (come Little Italy o Chinatown negli Stati uniti), ma miscele umane altamente esplosive. E alla fine la polveriera è saltata davvero, anche se in realtà le auto bruciate non sono un episodio clamoroso, ma una costante nelle notti delle banlieues più calde. La rivolta, insomma, è continua e, tutto sommato, silenziosa. La morte di due dei tre ragazzini che si erano nascosti in una cabina elettrica per sfuggire alla polizia è stata il pretesto per un’esplosione più violenta di altre. La polizia era quella di Sarkozy, Ministro dell’Interno. E certamente l’episodio è stato causato dall’atteggiamento di eccessiva durezza delle forze dell’ordine. Altrettanto rude è stata la repressione della rivolta da parte di Sarko, che allora ebbe a dire: “Ripuliremo le banlieues con la pompa” e giunse a definire “racaille” (feccia) gli abitanti delle periferie.
 
Infine, Martinetti propone come terzo elemento di crisi dell’identità francese la bocciatura al referendum della Costituzione europea da parte del 53-54% dei francesi. Un no pesante, per uno dei Paesi fondatori dell’Europa. La Costituzione europea approvata a Roma conteneva al suo interno, oltre ai principi fondamentali, una serie di regole per far funzionare l’Unione, oggi bloccata dalla necessità di mettersi d’accordo in 27 ogni volta che si deve prendere una decisione. Sarkozy, in proposito, ha assicurato che il referendum non sarà ripetuto, ma ha proposto un mini trattato che non dovrà contenere i principi, bensì le regole per il funzionamento dell’Ue. Per la prima volta, un esponente della destra francese ha accettato l’idea del superamento del diritto di veto da parte dei singoli Stati.
 Alla fine di questi cinque anni di “autunno” sono emersi alcuni personaggi rimasti fino allora in secondo piano, che si sono accreditati come figure centrali nel panorama politico francese. Tra di essi, naturalmente, Sarkozy.
 
Qualcuno, tra il pubblico, insinua come in Francia destra e sinistra siano capaci di tenere ai margini le “ali estreme”. Martinetti risponde che è vero, anche se precisa che la sinistra è molto più condizionata di quanto non sembri da un’ala radicale viva, ricca. È il sistema che è diverso: il condizionamento è solo culturale. Di fatto, le ali estreme rimangono al di fuori del sistema politico, non entrano all’Assemblée Nationale, non fanno cadere i governi. Anche Le Pen che, come si è detto, aveva il 13% dei voti, non era rappresentato in Parlamento. Le Pen era una specie di divertente personaggio della commedia politica francese, percepito come paradosso e anomalia del sistema. Nel 2002 giunse al ballottaggio con Chirac, ma non poté far eleggere un solo deputato all’Assemblée Nationale.


 LE PROSSIME DATE DELLA RASSEGNA CASTELLI DI CULTURA (Presso il Castello di Sarriod de la Tour, Saint-Pierre, Aosta): 7 luglio, Lorenzo LICALZI, Io no; 13 luglio, Fabio LEVI, Il viaggiatore leggero. La biografia di Alexander Langer; 17 agosto, Alberto MARCHESELLI, Crimine, immigrazione e sicurezza dei cittadini; 24 agosto, Claudio PIERSANTI, Scrittura: chiacchierata su cinema e romanzi.

Tutte le conferenze si terranno alle ore 21.00. Per informazioni, cliccare qui.

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2 risposte a Il fenomeno Sarkozy: sarebbe possibile in Italia?

  1. antonio scrive:

    Rispondo alla domanda:NO.

  2. Mario scrive:

    Se la domanda è: sarebbe possibile un Sarkozy in Italia, sono d’accordo con te. Per ora, la risposta è no. Però mi sembra di vedere tanti furbetti che lo desiderebbero moltissimo… E mi spaventa il fatto di vedere tanta gente cui non importa il che cosa fare, ma semplicemente il farlo, con larghe maggioranze e attenzione esclusiva per la forza dell’esecutivo…

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