NO BOY LOVE DAY E CENSURA (APPROFONDIMENTO)


 Qualche tempo fa ho pubblicato un articolo in cui lanciavo la petizione promossa da Epolis per censurare un sito web inneggiante alla pedofilia. Ho ricevuto un commento, a firma antonia, che mi ha fatto riflettere sul valore censorio dell’iniziativa. Ci ho pensato un po’ su e ho deciso di affrontare nuovamente la questione. Quello che segue, nella parte estesa dell’articolo, è un commento di Massimo Mantellini, tratto dalla testata giornalistica on line Punto Informatico, linkatomi dalla mia "commentatrice". Ho chiesto all’autore il permesso di pubblicarlo, e in appendice ho inserito le risposte ad alcune domande che gli ho fatto a scopo di precisazione.
 Le due vignette satiriche sulla censura sono opera del disegnatore Giuseppe Scalarini.

 


 

 Punto Informatico

 massimo mantellini


Contrappunti/ La pedofilia. E il masochismo italiano

Commenti di
massimo mantellini
lunedì 18 giugno 2007

 Roma – Mia figlia Francesca ha 4 anni. Ieri, mentre pensavo all’eventualità di dedicare il Contrappunti odierno alle ultime notizie sulla lotta alla pedofilia in rete mi è venuto in mente di estrarre il cellulare e scattarle la foto qui sotto. Dateci una occhiata: mi serve come premessa (e come difesa) a quanto sto per scrivere.
 
Francesca  Nei giorni scorsi Epolis, giornale gratuito distribuito in molte città italiane, ha organizzato una imponente raccolte di firme per censurare un sito web tedesco nel quale si inneggia al partito dei pedofili. Non ne scriverò qui il nome (che del resto tutti conoscono) per le ragioni che capirete fra poco. L’appello accorato è stato firmato da moltissimi cittadini italiani, capeggiati da noti politici quali Walter Veltroni e Sergio Cofferati, Giancarlo Galan e Roberto Formigoni (come si vede una vera campagna bipartisan), ministri come Paolo Gentiloni e Giuseppe Fioroni, autorevoli storici come Franco Cardini, scrittori per adolescenti inquieti come Federico Moccia.
 
 50.000 italiani, da Renzo Ulivieri a Marina Salomon, da Enzo La Russa a Fiorello Cortiana, da Marcello Veneziani a Giulietto Chiesa, passando per Rosy Bindi ed Antonio Di Pietro, hanno chiesto a gran voce che il sito dei pedofili olandesi fosse allontanato dallo sguardo degli abitanti della penisola al grido di "Fermiamo gli orchi".
 
 Ed il Ministro Gentiloni infine, nella giornata di venerdì, annunciava alle agenzie l’avvenuto miracolo: il sito dell’orgoglio pedofilo era stato finalmente oscurato, utilizzando la tecnica della blacklist dei DNS già messa in pratica in passato per i siti web di scommesse e per i siti web stranieri a contenuto pedopornografico.
 
 Ora, mi spiace per i 50.000 italiani che ci hanno creduto, mi spiace per il Ministro Gentiloni che continua a misconoscere la natura della rete Internet, ma tutta la vicenda si presta ad essere interpretata in maniera assai differente da quella suggerita da Epolis, entusiasta della rapidità con cui il Ministro delle Comunicazioni ha risposto al proprio appello. 

 1) Il sito web in questione (non ne faremo il nome) con ogni probabilità (non lo abbiamo visitato in effetti, abbiamo solo letto le descrizioni del suo contenuto) non conteneva alcuna immagine a contenuto pedopornografico e nel caso in cui violasse leggi dello Stato Italiano tale ipotetico crimine, l’apologia della pedofilia, dovrebbe essere probabilmente considerato nella selva spinosa dei reati di opinione. Eppure in questo paese (nel quale per esempio abbondano siti web a contenuto neofascista) non esiste per esempio il reato di apologia del cannibalismo: chiunque di voi domani avesse la bella idea di aprire una pagina su Internet nella quale narra le meraviglie della "suocera in stufato" non correrebbe alcun rischio legale. Almeno fino al giorno in cui una corposa legione di politici e personalità note non decidesse che tutto questo è una vergogna. Se le cose stanno in questi termini il Ministro delle Comunicazioni ha censurato in modo arbitrario alla visione degli italiani (o almeno ha tentato di farlo) un sito web assai riprovevole da un punto di vista dei contenuti e delle opinioni contenute, ma non più illegale di tanti altri. E perfettamente legale in tutti gli altri paesi europei.
 
 2) Il passaparola è l’anima della rete. Internet vive di questo e in questi giorni i soggetti che hanno stimolato i cittadini italiani a dire NO al sito web olandese del partito dei pedofili (non ne scriveremo il nome) possono essere divisi in due tipi. Quelli come Don Fortunato di Noto o il Moige che, lottando contro la pedofilia in rete, con iniziative del genere fanno utile propaganda a se stessi e tutti gli altri che, spesso senza averne cognizione, hanno suonato la grancassa ad un sito web che, se non fosse stato per la campagna di Epolis e l’attivismo del Ministro Gentiloni e dei suoi colleghi (Il Ministro Bindi ha scritto una lettera al Ministro Amato ed al Ministro Mastella al proposito), nessuno avrebbe visitato per una semplice ragione: non se ne sarebbe saputo nulla e il sito in questione sarebbe rimasto perso accanto a milioni di altre pagine web idiote.
 
 3) Ovviamente le misure prese dal Ministro, come sempre avviene in questi casi, sono risultate salde come un budino al cioccolato. Il sito web (non vi diremo come si chiama), nonostante i provvedimenti presi di concerto con gli ISP, continua ad essere tranquillamente visitabile dall’Italia (o direttamente o attraverso alcuni banali espedienti tecnici) cosi come da tutti gli altri paesi europei (nei quali nessuno si sogna di creare un inutile can-can mediatico istituzionale come quello al quale abbiamo assistito da noi in questi giorni e dove infatti l’intera grave vicenda è passata del tutto sotto silenzio) ed il risultato finale di tutto questo sproporzionato impegno moraleggiante è complessivamente negativo e potrebbe essere così riassunto; 50mila italiani hanno fatto da testimonial pubblicitari ad un sito web olandese nel quale si fa l’apologia della pedofilia.
 Ma le cose sono anche peggio di così. Questa storia ci insegna come non esista oggi in Italia una comprensione minima delle dinamiche di libertà che riguardano la rete. Racconta di come in questo paese si sia tutti sui blocchi di partenza in attesa di proclamare la prossima "fatwa" contro il Salman Rushdie di turno. Rushdie è l’esempio perfetto della tragica variabilità di opinione nel mondo: la regina d’Inghilterra giusto in questi giorni lo ha nominato "sir", gli islamici integralisti per anni hanno tentato di ucciderlo per il contenuto espresso in un suo libro di vent’anni fa.
 
 Tornando a noi, l’ipotesi iniziale, quella di monitorare tutta la rete bannando di volta in volta ogni sito che si ritenga inadatto alle nostre menti è talmente sciocca ed impraticabile da non poter essere nemmeno considerata. Eppure questo è ciò che il Ministro delle Comunicazioni, evidentemente assai malconsigliato (o in alternativa interessato più ai ritorni mediatici delle sue scelte che non a tutto il resto) sta facendo. Fatti salvi i reati commessi sul territorio nazionale, il resto di questa attività di protezione ed ecumenica pretesa di controllo delle comunicazioni del pianeta che unisce la lotta contro la pedofilia e il punto di vista molti italiani che chiedono a gran voce la chiusura di questo o quel sito web, temo debba essere archiviata senza troppi scrupoli alla voce "censura di Stato".
 
 Ma assai prima di tutto questo, il risultato evidente è quello di mostrare a se stessi e al mondo quanto poco si sia capito Internet, quanto poco si sia capaci di trasferire al singolo individuo la responsabilità etica di scegliere cosa sia e cosa non sia adatto per sé e per i propri figli, e questo proprio nel momento in cui esiste uno strumento che apre potenzialità enormi fino a ieri inimmaginabili. Quanto poco si sia, in definitiva, in grado di navigare in autonomia fra le miserie umane e le loro molteplici manifestazioni. A ciò si aggiunge, da parte dello Stato, un deficit di fiducia nella autonomia dei propri sudditi (se così li vogliamo chiamare) sul quale i sudditi sembrano non avere troppo da obiettare.
 
 Poco importa se gli agitatori di simili spettri siano sacerdoti antipedofilia, politici ultracattolici e riformisti o intellettuali che si fanno stampare le mail dalla segretaria: il risultato finale di simili teatrini è quello di rendere noto a tutti quanto poco i primi dieci anni di Internet abbiano inciso nelle nostre vite, quanto poco abbiano saputo aprire nuovi spiragli di comprensione e differenti percorsi di conoscenza, agitando invece timori e mostri nei confronti dei quali una antica abitudine ci consiglia di demandare ad altri decisioni che dovrebbero invece essere nostre.
 
 C’è un prezzo da pagare per migliorare la qualità delle nostre vite, un prezzo di responsabilità individuale e di curiosità, ed in questo paese continuiamo a scegliere di non pagarlo.
 
 Nello stesso tempo la Santa Inquisizione degli illetterati digitali ammorba l’Italia e promette prossimi ulteriori sfracelli. Occorre farsene una ragione e capire che, da queste parti, una rete Internet nella quale ognuno sceglie per sé è una pia illusione. Ed una rete Internet nella quale non sia possibile scegliere ognuno per sé è un po’ come dire nessuna rete Internet.

Massimo Mantellini
Manteblog

Tutti gli editoriali di M.M. sono disponibili a questo indirizzo.


 DOMANDA: Quale atteggiamento dovrebbero tenere le istuituzioni di fronte a siti web che incitino a infrangere la legge? Qual è il discrimine tra tutela del cittadino e censura?

 MANTELLINI: Il governo italiano ha giurisdizione sui reati commessi da noi (server che risiedono sul territorio nazionale) non è il cane pastore della rete Internet. La tutela morale dei cittadini non può essere demandata al governo, per mille ragioni. Una cosa sono i reati, un’altra le convinzioni personali.

 
 D: Perché l’oscuramento del sito in questione è classificabile come “censura di Stato”? È discriminante il fatto che “con ogni probabilità […] non conteneva alcuna immagine a contenuto pedopornografico”? In caso contrario l’intervento del censore sarebbe stato legittimo (anche se tecnicamente impossibile)?
 
 M: Secondo me un sito pedopornografico (non è questo il caso) può e deve essere spento (e i suoi gestori perseguiti) dalle leggi degli Stati in cui risiede o attraverso accordi internazionali (ce ne sono molti già in atto). Impedirne semplicemente la visione attraverso espedienti tecnici consente 1) di non perseguire il reato; 2) di estendere la tutela a oscuramenti molto meno nobili (il caso dei siti web di scommesse che non pagano la tassa ai monopoli è un esempio eclatante di questo). Il sito dell’orgoglio pedofilo va semplicemente ignorato.
 
 D: Ci si chiede spesso se non ci vogliano regole per permettere una fruizione "sicura" della rete da parte del minore, anche se forse questo desiderio equivale a una pia illusione. Il trasferimento "al singolo individuo" della "responsabilità etica di scegliere cosa sia e cosa non sia adatto per sé e per i propri figli" sembra positivo, ma si può fare senza un insieme di regole condivise? Non servirebbe una sorta di "contratto sociale" applicato alla società virtuale di internet?
 
 M: Le regole condivise non possono secondo me essere regole "etiche" per la ragione banale che di etica non ne esiste una sola. Se ho figli sono io a dovermi preoccupare che i miei figli non finiscano su rotten.com (per fare un esempio) non (come ha fatto il codacons qualche anno fa) chiedendo che il sito web in questione venisse chiuso da un giudice di Roma. È contemporanemente molto comodo e molto stupido. Si lasciano i minori da soli in rete e poi si inneggia alla chiusura dei siti web.
 
 D: Chi sono gli “illetterati digitali” di cui parla nell’articolo?
 
 M: Il problema è quello di pensare alla rete come a uno strumento di libertà individuale. Il fatto è che molti di quelli che decidono i comportamenti da usare in rete non hanno mai percepito questo aspetto di crescita individuale che la rete rende possibile. La differenza fra illetterati e non è tutta lì.

 

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