Servire il cittadino

Fino a domenica sarò impegnatissimo con i preparativi per la Marcia, che quest’anno – fuori allenamento come sono – rischio per la prima volta di non finire, e alla quale invito ancora una volta tutte e tutti.

Ciò detto vorrei, almeno frettolosamente, affrontare un paio di argomenti che mi stanno a cuore e che meriterebbero una trattazione più lunga.

Della questione Tav, e degli scontri in Val di Susa, ho detto e tornerò a dire. Aggiungo che la democratica polizia di Stato, che secondo alcuni «si è difesa, certo: non doveva?», anche questa volta – a dieci anni esatti dal G8 di Genova – è accusata di non aver rispettato i più elementari diritti umani (e in fin dei conti anche i semplici regolamenti di polizia). Si parla di feriti pestati mentre erano stesi in barella, oppure non portati subito all’ospedale mentre erano bisognosi di cure, di gas lacrimogeni vietati e lanciati ad altezza uomo, di un ragazzo colpito con una barra di ferro (questo, “ministro” Maroni, è tentato omicidio), di un altro ragazzo umiliato gettandogli addosso un bicchiere di urina

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Non è un treno, è un golpe. Ma non da oggi.

Inizio con l’ammettere le mie colpe: io in Val di Susa non c’ero.

Lo dico innanzitutto per scusarmi, perché avrei voluto e dovuto essere presente (e lo penso a maggior ragione ora che gli scontri hanno dato il pretesto ai media e al Palazzo per gettare fango sul movimento No Tav).

Lo dico anche per avvertire che ciò che scriverò non nasce da una testimonianza diretta, ma da semplici ragionamenti sulla vicenda.

A partire, ad esempio, da un articolo comparso sulla Stampa di lunedì 4 luglio, firmato da Michele Brambilla e intitolato «La differenza fra un treno e un golpe», che cito perché mi sembra esemplare di una maniera di distorcere la realtà che è ormai “sentire comune” per gran parte della popolazione.

Nel commentare i fatti della Val di Susa, Brambilla distingue tra «la manifestazione del mattino e quella del pomeriggio» – pacifica la prima, «con famigliole in corteo», violenta la seconda, «con i famigerati black bloc in azione» – proponendosi però di andare oltre la «considerazione scontata e banale» di una «differenza netta» tra «comitati No Tav» e «professionisti della violenza»: il suo intento, in realtà, è mettere sotto accusa «i toni, le dichiarazioni, i discorsi che purtroppo abbiamo sentito anche dai manifestanti non violenti».

Brambilla punta il dito contro chi parla «di militarizzazione della valle, di violenza di Stato, di polizia assassina» (per non dire dell’enfasi posta da Beppe Grillo sui manifestanti come «eroi» di una «guerra civile» contro la «dittatura» del regime – e possiamo tranquillamente non dirlo, dal momento che Grillo non è assolutamente né l’ispiratore, né la guida del movimento No Tav).

Ma di che cosa stiamo parlando?, si domanda Brambilla. E si risponde: qui non è in atto un golpe, ci si limita – mirabile riassunto della situazione – a scavare «delle gallerie per far passare un treno». E quindi: «Dove sono le prove di dittatura?». E poi la solita solfa per cui la decisione di fare la Tav non è attribuibile al presente governo, ma viene «da governi precedenti e di diverso colore» e dall’Europa, e dunque: «Che c’entra Berlusconi?» – come se una cosa fosse giusta o sbagliata non per se stessa, ma a seconda di chi la propone.

Il punto è che Brambilla non ha tutti i torti. Semplicemente gli sfugge la prospettiva. La «dittatura», infatti, quella contro la quale i comitati e i movimenti combattono pacificamente (e altri attori usano la violenza, talvolta, si badi, in perfetta buona fede), è solo incidentalmente quella incarnata dall’esecutivo attualmente in carica.

Il «regime», che non è un’esclusiva della destra (la polizia in Val di Susa per far partire i lavori l’ha chiamata Fassino e sgombrare un presidio con la forza è militarizzare una valle) è quel sistema che impone le scelte, decise sempre altrove, al di sopra delle teste dei cittadini, vale a dire delle persone che abitano i territori interessati, sia che si tratti di fare una ferrovia, sia che si pianifichi una base militare oppure le nuove forme dell’approvvigionamento energetico. Il «regime», in definitiva, è costituito dai poteri forti, dal connubio tra politica, lobby e criminalità organizzata che impone le «opere» e i metodi della loro realizzazione, inseguendo forme di “pensiero unico” capaci di trasformare chi non è d’accordo in bastiancontrari egoisti, incentrati sul proprio orticello.

Se da un lato è vero che «un’opera ormai decisa e deliberata non può essere messa in discussione all’infinito [non può esserlo sempre, correggerei, ma talvolta è doveroso]», come ha detto l’ex sindaco di Torino Chiamparino, citato nell’articolo in quanto “non berlusconiano”, è altrettanto vero che occorre chiedersi chi ha deciso e deliberato l’opera e nel nome di chi lo ha fatto. Perché molto spesso l’unico ammanto di democrazia di certe scelte consiste nel fatto che a votarle non è stato l’ingegner Tizio o l’avvocato Caio, ma sono stati l’onorevole Tizio e il senatore Caio, cioè due signori che – cattiva legge elettorale a parte – sono stati eletti dal popolo e, in quanto tali, sono suoi rappresentanti. Ciò che naturalmente esime detti Caio e Tizio dal chiedersi quale sia la volontà popolare di fronte a certe scelte, per arrivare al paradosso di decisioni prese contro il popolo nel nome del popolo.

In questo senso, caro signor Brambilla, la vicenda Tav non ha a che fare con un treno, ma propriamente con il concetto di democrazia. Solo che il golpe non sono (solo) i poliziotti che lanciano lacrimogeni ad altezza uomo (ma la polizia si è «difesa, certo: non doveva?»), anche se il livello di democraticità delle forze dell’ordine italiane sarebbe da sottoporre a un attento esame; il golpe è quando «le forme e i limiti» pensati dalla Costituzione per l’esercizio della sovranità popolare sono prevaricati non dal popolo, ma da chi è convinto che il mandato elettorale corrisponda a una delega in bianco.

Ma, «prima di dare il via all’opera, ci sono stati centinaia di incontri con i sindaci, variazioni del tracciato e via dicendo. Insomma, non si può dire che non si siano ascoltate anche le ragioni di chi era [era?] contrario». È dunque sufficiente, per essere democratici, spacciare per confronto il fatto di aver incontrato i cittadini, salvo poi rimanere della propria idea o accettare di apporre piccole modifiche che non ne cambiano in nulla la natura? È ascoltare le ragioni di chi è contrario istituire tavoli di confronto, osservatori, partendo dal principio che tanto poi quanto deciso si farà comunque? Lo Stato ha il diritto di provare a convincere la popolazione della bontà di un’opera, ma se non ci riesce ha il dovere di prendere in considerazione altre alternative, senza calpestare i diritti della popolazione, a cominciare da quello di partecipare alle scelte che riguardano la propria vita e il proprio territorio.

Rimane il fatto che da domenica media e politica hanno buon gioco a etichettare il movimento No Tav come violento, estremista, pericoloso e magari anche antidemocratico. È il consueto gioco orwelliano di modificare il linguaggio a seconda dei propri scopi, per cui fare la guerra (in Afghanistan, in Libia) è lecito se la si chiama pace, devastare un territorio è encomiabile se si parla di creare infrastrutture necessarie al nobile scopo di non restare “indietro” (ma indietro in cosa?) rispetto agli altri Paesi. Per questo a criticare la violenza dobbiamo più di ogni altro essere noi che abbiamo a cuore il proseguimento della lotta e che vogliamo evitare, come e quanto la Tav, la militarizzazione della valle.

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Qualche giorno via

Per qualche giorno non potrò aggiornare il blog.

Invito a seguire come procedono le cose in Val di Susa e naturalmente la Freedom Flotilla che nei prossimi giorni tenterà di raggiungere Gaza. Si sono già verificati i primi boicottaggi (del genere eliche segate da sub). Cose che capitano, quando si ha a che fare con «l’unica democrazia del Medioriente».

Ricordo a tutt@ il 10 luglio l’ottava Marcia Granparadiso estate.

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Domenica 3 luglio manifestazione nazionale No Tav

Da YouTube.

Per domenica 3 luglio è stata indetta la manifestazione nazionale No Tav a Chiomonte, in Val di Susa.

Di seguito, l’audio della Ballata di Roberto, che gli Iubal Kollettivo Musicale hanno dedicato alla lotta contro la Tav. Invito tutti e tutte ad ascoltarla e a diffonderla (è pubblicata con licenza Creative Commons, per cui la diffusione non a fini di lucro, citando gli autori, è libera).

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Totem Girl: Stampa. Attacca. Propaga – contro la pubblicità sessista

«I manifesti pubblicitari sono ovunque, è impossibile evitarli: non si possono spegnere come con la televisione, né ci si può tappare gli occhi. La maggior parte delle affissioni hanno come soggetto principale i corpi femminili, spesso rappresentati in modo volgare o sotto forma di donne-bambine ammiccanti. La “chirurgia digitale”, poi, completa l’opera: inventa corpi e forme che in natura non esistono plasmando i nostri gusti su quei canoni estetici». È da queste considerazioni che nasce il blog Totem Girl, scopo del quale è «censire questi corpi totem», secondo le parole dell’autrice, cui è possibile inviare le proprie foto ritraenti le pubblicità sessiste di cui sono tappezzate le città [indirizzo e-mail: lara.zivago[at]gmail.com].

Da qualche settimana, Totem Girl ha lanciato la campagna «Stampa. Attacca. Propaga»: un’operazione di guerriglia artistica che invita a scaricare dal blog adesivi come quelli riprodotti in questo articolo, ritagliarli e attaccarli sui manifesti pubblicitari sessisti, «per rendere visibile a tutti quali sono le conseguenze derivanti dalla continua esposizione di corpi femminili stereotipati e sessualizzati».

Nell’aderire alla campagna, invito tutte e tutti a fare altrettanto, incominciando con il visitare la pagina che la presenta.

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La Grande Opera – dal Comitato No Tav Torino

Prendo foto e commento dal sito del Comitato No Tav Torino. «È iniziata», si legge, «una nuova fase di resistenza» che ci riguarda tutt@.

QUI l’impressionante cronaca degli avvenimenti di ieri, 27 giugno: leggendola con i vari aggiornamenti sembra di assistere a una giornata di guerra, con le forze dell’ordine (sic) intente a seminare disordine e violenza. A chi deve servire un’opera, se non ai cittadini? E quando i cittadini non la vogliono?

Qui sotto l’audio della bella Ballata di Roberto, che gli Iubal Kollettivo Musicale, un gruppo delle mie parti, hanno dedicato alla lotta contro la Tav. Invito tutti e tutte ad ascoltarla e a diffonderla (è pubblicata con licenza Creative Commons, per cui la diffusione non a fini di lucro, citando gli autori, è libera).

La Grande Opera
di Comitato No Tav Torino

Sono queste le Grandi Opere che hanno in mente: distruggere, aggredire, violentare. L’illegalità è la loro bandiera, l’impunità è la loro speranza. Parlavano di progetto da realizzare «con il consenso della popolazione»: ecco cosa avevano in mente.

Con lo sgombero del presidio della Maddalena è iniziata il 27 giugno 2011 una nuova fase di RESISTENZA per fermare la distruzione, per denunciare l’aggressione e la violenza, per fermare l’illegalità. È una lotta di resistenza che riguarda tutti, non solo i valsusini, è una battaglia di civiltà in difesa della democrazia.

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Stato di polizia

Qualche giorno fa pubblicavo l’appello per la democrazia e il rispetto della legalità in Val di Susa del Comitato No Tav Torino. Il pericolo era che il governo decidesse di sgombrare con la forza l’area dei lavori, per far partire i cantieri della Tav. Cosa che puntualmente è avvenuta, grazie allo zelo di Fassino, neosindaco di Torino, che ha richiesto al ministro Maroni l’intervento delle forze dell’ordine, perché «la Torino-Lione è un’opera strategica».

Pubblico, in calce all’articolo, la cronaca della giornata di oggi (lunedì 27) così come appare sul sito del Comitato No Tav Torino. Qui mi limito a due considerazioni.

1. Se l’Italia fosse una democrazia (corre proprio il mese prossimo il primo decennale dei fatti di Genova) le parti politiche sarebbero in grado di intavolare un dialogo con le popolazioni direttamente interessate dalla costruzione di un’opera, anziché far calare sopra le loro teste decisioni prese altrove, non importa se razionali o sconsiderate. «Ma il dialogo c’è stato», dicono alcuni. «Anzi, lo Stato ha aspettato troppo». È il pensiero del ministro Matteoli: «Lo Stato non può arrendersi». E invece s’è arreso; s’è arreso alla logica della violenza come agli interessi delle lobby, che hanno deciso che l’alta velocità «s’ha da fare» per il fine, riconosciuto da più parti come legittimo, di lucrarci un po’ sopra. Per non arrendersi a chi, quotidianamente, calpesta la Costituzione, lo Stato dovrebbe essere capace di fare dietro front, di tutelare l’interesse della cittadinanza. In caso di contrasto la politica cerchi di convincere la popolazione (accettando, magari, di modificare i propri progetti secondo le istanze che vengono dal territorio); se ci riesce, bene; se non ci riesce, accantoni il progetto. Per buono o cattivo che sia.

2. Quella esposta qui sopra è la differenza che separa una democrazia da una tecnocrazia, perché, anche a supporre la buona fede di tutti (ah ah!), non è possibile che una decisione che scende dall’alto sia vincolante per chi dovrà poi farci i conti nel proprio quotidiano per tutto il resto della vita. In solidarietà al popolo No Tav, oggi si sono tenute manifestazioni in tutta Italia. Mentre il ministro leghista Maroni inviava i suoi poliziotti a caricare i cittadini della Val di Susa (nel silenzio assoluto di quella Lega di lotta così radicata nei territori del nord, così disposta a tutelare gli interessi dei propri cittadini…), in piazza Plebiscito a Napoli si teneva un presidio solidale con i No Tav. Nonostante le tonnellate di rifiuti che ancora in questi giorni (e a queste temperature) ingombrano le strade partenopee, i cittadini napoletani hanno trovato la forza di occuparsi dei problemi degli altri, a sottolineare che le lotte popolari contro un sistema inumano (il potere del grande capitale che si serve di mezzi leciti e illeciti – non importa se le forze dell’ordine o la camorra – per prosperare) sono tutte collegate fra loro. E proprio la situazione drammatica del capoluogo campano – e il boicottaggio sistematico dell’opera della nuova amministrazione – costituisce la seconda istantanea di quest’Italia del giugno 2011: Stato di polizia e stato d’emergenza, è questo tutto ciò che hanno da offrire Berlusconi e colleghi (tra i colleghi, e non uso volutamente la parola «compagni», arruolo naturalmente il sindaco Fassino). Rifiuti mai raccolti, città terremotate mai ricostruite, investimenti dirottati sulle «grandi opere» che, quand’anche fossero utili, costituirebbero al limite “punte d’eccellenza” in un insieme-Paese allo sfascio.

Non lasciamo solo chi lotta!

L’AZIONE MILITARE PER INSTALLARE IL PRIMO CANTIERE DEL TAV IN VALLE DI SUSA
dal sito del Comitato No Tav Torino.

Non hanno uno straccio di motivazione di merito per quest’opera: solo slogan di un fantomatico sviluppo.
Non hanno risorse da investire nella realizzazione: vogliono solo mettere le mani sui contributi Ue.
Non hanno remore a procedere usando anche dati fasulli e procedure illegittime.
Non hanno un briciolo di autorevolezza, non avendo più un’etica su cui fondarla.
E allora ricorrono all’autoritarismo, al monopolio della violenza autorizzata e vigliacca: manganelli in mano a uomini che non hanno piena coscienza del contendere e di cui non è dato conoscere l’identità (Venaus 2005 insegna).

Ci picchiano per una questione di democrazia formale: manganelli benedetti dalle lobby europee conniventi, dai ministri e dai parlamentari, dai presidenti regionale e provinciale, dal sindaco di Torino, dalla partitocrazia tutta, dai corrotti e corruttori, dai concussi e concussori, dalla Confindustria e dai maggiori sindacati, dai faccendieri, dai mafiosi in doppio petto e dai loro manovali, dai cittadini disinformati dai media di questo regime.

Un regime che sembra tanto il risultato del “piano di rinascita democratica” del venerabile della P2, ora forse esercitato dalla più attuale P4 che pare essere il vero centro di comando in Italia.

CRONACA DEGLI AVVENIMENTI

Dal 23 giugno si è osservata la dislocazione di numerosi piccoli contingenti di polizia e carabinieri in alcuni alberghi della periferia di Torino e dei comuni della cintura; alcuni raggiungono Bardonecchia, in alta valle, evidentemente per poter poi circondare Chiomonte sia da est, sia ovest. Durante la domenica 26 si registra l’afflusso in valle di molti altri mezzi e uomini, sempre a piccoli contingenti e per vie diverse.

LUNEDÌ 27 GIUGNO
ORE 04 – Viene chiusa l’autostrada A32 del Frejus e macchine della Polstrada bloccano le due statali, S24 ed S25. La Valle di Susa è completamente chiusa al traffico e militarizzata.

ORE 04,45 – Dal Presidio della Maddalena di Chiomonte viene lanciato il fuoco d’artificio che segnala l’attacco; partono i messaggi di allarme generale via sms e internet.

ORE 05,30 – Pare che sulle due statali si possa transitare: CHI PUÒ SALGA IN VALLE!
Entrambe le carreggiate dell’autostrada sono utilizzate per avvicinare i mezzi degli agenti al viadotto Clarea, da cui intendono aprire un varco per scendere nei terreni sottostanti.

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