Servire il cittadino

Fino a domenica sarò impegnatissimo con i preparativi per la Marcia, che quest’anno – fuori allenamento come sono – rischio per la prima volta di non finire, e alla quale invito ancora una volta tutte e tutti.

Ciò detto vorrei, almeno frettolosamente, affrontare un paio di argomenti che mi stanno a cuore e che meriterebbero una trattazione più lunga.

Della questione Tav, e degli scontri in Val di Susa, ho detto e tornerò a dire. Aggiungo che la democratica polizia di Stato, che secondo alcuni «si è difesa, certo: non doveva?», anche questa volta – a dieci anni esatti dal G8 di Genova – è accusata di non aver rispettato i più elementari diritti umani (e in fin dei conti anche i semplici regolamenti di polizia). Si parla di feriti pestati mentre erano stesi in barella, oppure non portati subito all’ospedale mentre erano bisognosi di cure, di gas lacrimogeni vietati e lanciati ad altezza uomo, di un ragazzo colpito con una barra di ferro (questo, “ministro” Maroni, è tentato omicidio), di un altro ragazzo umiliato gettandogli addosso un bicchiere di urina

Prometto di tornare sull’argomento non appena avrò un po’ di tempo e non vorrei sembrare qualunquista, ma non posso non rilevare che in questo Paese è sempre più urgente un’inchiesta sullo stato delle forze dell’ordine, quelle che abbiamo visto ostentare, a Bolzaneto nel luglio del 2001 e in Val di Susa dieci anni dopo, la stessa inclinazione per la violenza e per il disprezzo della dignità umana di di chi viene etichettato, ideologicamente, come “nemico”. Se non fai parte della cerchia dei “rispettabili” sei carne da macello, anche se sei innocente, o se sei colpevole ma non puoi più nuocere perché ti hanno già preso e “disarmato”. L’accanimento su un essere umano inerme, però, va sempre condannato: quando a farne le spese è un innocente, si chiama tortura, se è colpevole, si parla di vendetta, un sentimento che non dovrebbe connotare i professionisti della pubblica sicurezza. Non in uno Stato democratico.

Oltretutto. Si è parlato tanto (di nuovo, che coincidenza, tanto per festeggiare il decennale di Genova 2001!) dei famigerati “black bloc” e naturalmente i professionisti della violenza, qua e là, esistono. Io stesso non condivido certi metodi, ma non si può tacere che a volte perfino la violenza non è fine a se stessa. Con il che intendo due cose: che una battaglia può essere giusta anche se il metodo è sbagliato (mentre per tanti media e benpensanti gli scontri di domenica hanno delegittimato la stessa lotta dei No Tav, come se nel merito della questione dall’altro giorno a oggi fosse cambiato qualcosa); che, a furia di negare alla popolazione il diritto di partecipare alle scelte, gli animi si scaldano: fra quelli che hanno partecipato agli scontri non c’erano solo “legionari stranieri” venuti apposta da ogni angolo d’Europa, come hanno sostenuto alcuni; c’erano anche tanti ragazzi stufi di una violenza più grande, quella esercitata dallo Stato, subita giorno dopo giorno. E se certi comportamenti sono sbagliati, lo riconosco, è interesse di chi crede in forme diverse di partecipazione e di lotta fare tutto il possibile per tenere aperti tali canali pacifici, perché è un fatto che, a furia di subire, quella della violenza appare facilmente l’unica via percorribile.

A questo punto avrei voluto parlare della Freedom Flotilla, bloccata in Grecia perché gli Stati occidentali hanno deciso di compiacere Israele e non far partire le navi pacifiste per Gaza, esercitando le “opportune” pressioni sull’indebitatissimo governo di Atene (è stata fermata anche la francese Dignité, l’unica imbarcazione che era riuscita a salpare); avrei poi voluto parlare dell’ennesima restrizione del concetto di democrazia in Italia, con il pessimo accordo firmato dalla Cgil con Confindustria, Cisl e Uil, che vede il sindacato di Susanna Camusso ricucire lo strappo con quelli che fino a ieri erano i sindacati «complici» (di Marchionne come del governo), accettando in sostanza rappresentanze scelte dai vertici delle organizzazioni sindacali anziché dai lavoratori, la possibilità di indire “tregue” sul diritto di sciopero e di derogare più o meno sempre ai contratti nazionali di lavoro. In realtà, gli iscritti alla Cgil hanno tempo fino all’inizio di settembre per votare e pronunciarsi su questo accordo che, di fatto, svuota di significato non poche conquiste dei lavoratori, frutto di decenni di lotte e fatica. In compenso, in una foto sul giornale la Marcegaglia era raggiante.

Di tutto questo avrei voluto parlare, ma non ho il tempo ora. Torno a occuparmi della Granparadiso estate e, nuovamente, prometto di non lasciar cadere questi temi.

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