Prendiamo a calci la vecchia zia degli autori dei Riot

La proposta del titolo è fasulla, non l’ha avanzata nessuno. Sarebbe del resto scandaloso che una democrazia praticasse la vendetta, a maggior ragione se a farne le spese fosse non chi ha commesso reati, ma qualche suo consanguineo.

Non è fasulla però la petizione online che chiede di togliere i benefici del welfare agli autori dei riot (vendetta) e neppure fasulla è la dichiarazione del primo ministro inglese, David Cameron, che si è detto favorevole a togliere le case di edilizia popolare ai responsabili  degli atti di teppismo e saccheggio (vendetta, di nuovo) e alle loro famiglie (estensione della vendetta a persone estranee ai fatti).

Perché non andare oltre, allora, se le regole della demorazia non interessano neppure a chi è tenuto a custodirle? Perché non immaginare pubbliche percosse per le persone coinvolte nei rioto magari la gogna – ed estendere simpaticamente il tutto alle famiglie? Perché non prendere a calci le zie degli autori? Perché non estrarre a sorte i colpevoli, già che ci siamo, scegliendoli magari tra tutti i cittadini che non superano una determinata soglia di reddito, o che votano per il partito avversario?

I disordini che hanno scosso la Gran Bretagna per giorni non erano la rivoluzione e non sono stati sorretti da veri ideali. Per ideale, al limite, saccheggi le sedi di quelle aziende che ritieni corresponsabili di un modello economico ingiusto, non ti accanisci contro i negozi di quartiere allo scopo di mettere in tasca il possibile. Ma i disordini scoppiati in Gran Bretagna hanno un significato, nascono da un disagio che non giustifica, ma che dev’essere capito, pena il ripetersi prossimo venturo degli stessi atti e – soprattutto – la non risoluzione dei problemi che rendono centinaia di migliaia di persone marginali e infelici.

A che serve uno Stato, se abdica al ruolo di garante dei diritti dei cittadini?

Il rischio è che – dopo gli scontri – ci si limiti a placare l’opinione pubblica punendo i “colpevoli”. E che tutto finisca lì. Capire, curare interessa qualcuno?

Che gli arresti non basteranno a risolvere la situazione lo ha detto una voce inaspettata, quella di Bill Bratton, ex capo della polizia di New York, che era stato invitato in Gran Bretagna come consigliere speciale: «Puoi arrestare i più violenti, recidivi», ha dichiarato, «ma poi bisogna trovare altri modi di affrontare la cosa e non è un problema di polizia, è una questione sociale».

Non intervenire per curare il disagio sociale è il modo migliore per procurare nuovi problemi alla società. 24 anni fa l’attuale primo ministro, David Cameron, allora membro dell’oxfordiano Bullington Club, partecipò a una notte brava durante la quale, insieme ad altri figli di papà, sfasciò una vetrina. Il tutto fu messo a tacere proprio grazie a papà, nel senso che a pagare i danni pensarono i genitori dei vandali. 24 anni dopo, Cameron è primo ministro e tuona contro i teppisti. Se si fosse intervenuti prima, almeno questo lo si sarebbe potuto evitare.

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E i topi fingono di abbandonare la nave [di Alessandro Robecchi]

Ripubblico, con il permesso dell’autore, l’articolo E i topi fingono di abbandonare la nave, di Alessandro Robecchi, comparso sul manifesto del 14 agosto 2011.

Voi siete qui – E i topi fingono di abbandonare la nave
di Alessandro Robecchi

Abilmente travestiti da Gianni e Pinotto, i due più pericolosi rapinatori del paese hanno messo a segno il loro colpo migliore. Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, quelli che hanno aumentato di 250 miliardi il debito pubblico in tre anni (chapeau!), hanno compiuto il più grande furto della loro epoca. Sacconi faceva il palo, e anche per questo è strano che non li abbiano presi. Vittime della rapina: ceti medi e bassi penalizzati dal taglio dei servizi e dell’assistenza (che i rapinatori astutamente chiamano tagli ai costi della politica), e quella parte minoritaria di ceti medi e medio-alti che paga le tasse. Beneficiari della rapina, le categorie protette dal governo Berlusconi: i super-ricchi che vivono di rendite e gli evasori fiscali. Mentre si valutano gli effetti della rapina, i rapinatori si mostrano dispiaciuti. È un vecchio trucco: il povero Silvio si duole di aver derubato gente per bene e aiutato i soliti delinquenti a cavarsela ancora una volta, è contrito di aver messo le mani nelle tasche degli italiani, invece che, come tradizione e vanto, sul culo delle italiane. Si registrano, in più, alcuni testacoda assai divertenti. Quello del vicedirettore di Libero, per esempio, un certo Bechis che annuncia: «mi autosospendo da elettore del centrodestra». Uh, che ridere! Sarà lo stesso Bechis che in decine di occasioni abbiamo visto in tivù strologare sul genio di Silvio? Non sarà un po’ comodo autosospendersi adesso? Dove ha vissuto negli ultimi anni, su Saturno? Resti lì, Bechis, andiamo, un po’ di dignità! Sorprendente anche un certo Feltri Vittorio, che sbraita e strepita sulla manovra iniqua, e che avrebbe preferito, bontà sua, una patrimoniale e una riforma delle pensioni. Niente male per uno che è andato in pensione a 53 anni (nel ’97) e che negli ultimi decenni è stato il primo tifoso del padrone di Arcore, e da lui sontuosamente stipendiato. È proprio vero: quello dei topi che fingono di abbandonare la nave è uno spettacolo unico, straordinario, impagabile. Peccato davvero che invece ce lo facciano pagare. E carissimo, anche.

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Nu giurn’a ferragostu

Nu giurn’a ferragostu… allu centru. Un giorno a ferragosto in centro.

Iniziativa strana, come quelle che piacciono a me, rivolta a chiunque la sappia apprezzare e abbia la possibilità di fare un salto a Brindisi (partenza alle ore 12 davanti al Teatro Verdi). Si tratta di una lenta corsetta di venti minuti (o leggera pedalata in bici) per le vie del centro storico cittadino, sulle orme del libro Nu giurn’a ferragostu di Pierpaolo Petrosillo, che è anche l’organizzatore della corsa.

Nel libro, un racconto in dialetto brindisino, Petrosillo presenta la sua città «attraverso le visioni e i pensieri di un “personaggio immaginario”, il quale, il giorno di ferragosto, memore di ciò che accade nelle nostre spiagge, decide di rimanere in città e correre per il “centro storico” deserto, scoprendone una foggia diversa». Dalla narrazione alla realtà il passo è breve: «materializzando con grande emozione una bizzarra idea di un affezionato lettore e amico», si legge nel comunicato, il 15 agosto dell’anno scorso «quattru streusi» [posso tradurre svitati?] hanno “rotto le righe”, «accompagnati da favorevoli nuvole ombreggianti fino alla fine del percorso».

«Ovviamente», si legge, «un’idea per pochi pazzi»; un’idea alla quale francamente non ho modo di resistere, non dopo 8 anni di Marcia Granparadiso estate

Alla partenza sono previste foto e video di gruppo che finiranno sul canale YouTube di Petrosillo. All’arrivo bevande fresche per tutti. «Ognuno fa da cicerone per quello che sa».

La speranza è quella di essere più dell’anno scorso (i quattro della foto). «Ogni tanto, una piccola pazzia non guasta».

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Il decreto del governo visto dalla Valle d’Aosta

Ricevo e pubblico volentieri un comunicato stampa di Rifondazione comunista – Federazione della Sinistra Valle d’Aosta, che interpreta il decreto governativo dei 45,5 miliardi con uno sguardo agli effetti che produrrà sulla regione più piccola d’Italia.

Da notareper i lettori che abitano in altre regioni – che l’illuminata amministrazione valdostana, incarnata da decenni dal partito autonomista dell’Union Valdôtaine – ha recentemente svoltato a destra, lasciando l’alleanza con il Pd-senza-elle per quella col Pd-con-la-elle in seguito all’idealistica motivazione che, con il federalismo alle porte, è meglio essere alleati di chi comanda a Roma.

Viva l’autonomismo/Vive l’autonomie!

Comunicato stampa sul decreto del Governo e sui suoi effetti sui valdostani
di Rifondazione comunista – Federazione della Sinistra Valle d’Aosta.

Aosta, 13 agosto 2011

La manovra uscita ieri dalle stanze del Consiglio dei Ministri testimonia la grave incapacità di capire le origini della crisi economico-finanziaria ed evidenzia la volontà di approfittare del momento di difficoltà per andare a intervenire pesantemente nei diritti dei lavoratori, cosa che avrà le sue pesanti ripercussioni anche per i rapporti tra le parti sociali in Valle d’Aosta.

Si propone una serie di misure (dall’incentivazione delle privatizzazioni e liberalizzazioni) che anticipa di fatto la riforma dell’art. 41 della Costituzione (in spregio all’ultimo referendum che ha ribadito la contrarietà degli italiani alla privatizzazione dei beni pubblici) e si approfitta per inserire la cosiddetta “legge Fiat”, con cui si cerca di rendere innocua ogni possibilità di conflitto sindacale e di dare un ulteriore gravissimo colpo ai contratti nazionali in favore di quelli aziendali o territoriali, facendo così perdere ulteriore potere contrattuale ai lavoratori e ai sindacati.

Colpirà le valdostane anche il provvedimento con cui si intende anticipare al 2016 l’innalzamento a 65 anni dell’età pensionabile per le donne impiegate nel settore privato.

È infine da ricordare che ciò si aggiunge ai deleteri interventi nella sanità e nel settore dell’assistenza sociale, nella quale molte onlus hanno dovuto ridimensionare organici e ridurre le ore di servizio a favore degli utenti.

È inoltre tutta da verificare l’affermazione di Rollandin [il presidente della regione Valle d’Aosta, ndr] secondo la quale la Valle d’Aosta non sarà colpita dai tagli che colpiranno gli enti locali. Chiediamo che a riguardo sia fatta immediata chiarezza.

Che ciò avvenga o meno anche i cittadini valdostani saranno notevolmente penalizzati dalla manovra, il cui carattere è classista e socialmente violento. Il paradosso è che tutto ciò possa avvenire ancora una volta con il voto favorevole del senatore unionista Fosson, il cui assenso a tale decreto confermerebbe la completa subalternità della cultura unionista alla politica di destra berlusconiana. Una politica che non riconosce il problema della crisi nelle iniquità di un capitalismo finanziario che premia i grandi patrimoni, le multinazionali, le speculazioni e le banche.

Tutto ciò mentre non viene fatto nulla per incrementare le risorse della lotta alla mafia e vengono presi provvedimenti minimi e insufficienti contro l’evasione fiscale.

Ribadiamo che per uscire dalla crisi occorre ripensare radicalmente il rapporto con il sistema finanziario globalizzato e con un’Unione Europea che ci impone gravi restrizioni alla nostra sovranità economica. Auspichiamo quindi che il deputato Nicco voti contro tale manovra nella futura seduta parlamentare, e partecipi alla nostra azione di stimolare un confronto nell’opinione pubblica e tra le forze politiche alternative al berlusconismo sulle cause e i possibili rimedi alla crisi attuale del capitalismo.

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Utilità sociale e articolo 41

L’articolo 41 della Costituzione italiana è sotto attacco, ne ho già parlato QUI. Alla libertà dell’«iniziativa economica privata» si vogliono togliere i vincoli sociali, quelli espressi nel secondo comma dell’articolo, che impone che tale iniziativa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Sul manifesto del 13 agosto, il magistrato Domenico Gallo esamina il significato dell’attacco in corso e parla apertamente di «demolizione della Costituzione italiana» come obiettivo del governo (che, in effetti, ci ha già provato qualche volta).

«Cosa si vuole?», domanda Gallo. «Che vengano cancellate le norme finalizzate a contrastare la formazione di monopoli? O alcune di quelle finalizzate alla tutela del lavoro o dei consumatori? O che si possa intraprendere qualsiasi attività economica, anche se pericolosa, senza alcuna autorizzazione preventiva?».

«L’attacco politico all’art. 41 della Costituzione», è la conclusione, prefigura «un inaccettabile imbarbarimento dei rapporti economico-sociali, e svela un progetto politico che punta a demolire l’edificio dei diritti dell’uomo il cui destino non può essere separato dal contesto economico sociale nel quale si svolge la vita di ciascuno».

Un’ottima notizia, nell’Italia di Sergio Marchionne.

>>> Leggi anche Sotto attacco l’articolo 41 della Costituzione.

>>> Leggi l’articolo di Domenico Gallo La Costituzione economica, l’ultimo nemico di Berlusconi.

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45,5 miliardi!

Ah, se la vita fosse un fumetto di Walt Disney!

Silvio Berlusconi sarebbe un uomo (o un papero) ricchissimo ma, in fin dei conti, con un cuore d’oro. Di fronte alla necessità di trovare 45,5 miliardi di euro

45,5 MILIARDI!!!

per evitare il fallimento prossimo venturo del Paese, si riunirebbe con gli amici del Club dei Miliardari e tutti insieme, mostrando grande senso di «responsabilità» (così sono definiti certi atteggiamenti, nella lontana Paperopoli), metterebbero mano al portafogli, azzerando in un attimo il debito dello Stato, e senza neppure aspettare il 2013.

Che bello immaginare il premier che convince Marcegaglia e gli altri (forse persino Marchionne) a partecipare alla colletta: «Mi consentano… È un esborso, lo so, ma non c’è nessuna alternativa!»

«Il mio cuore gronda sangue all’idea di cacciare i soldi», direbbe in televisione la sera il presidente del consiglio, «ma la crisi è mondiale: era logico che anche Arcore facesse la sua parte».

«Con il denaro risparmiato, i cittadini potranno cominciare a mettere a posto i conti di casa, perché in fin dei conti non c’è solo il bilancio dello Stato».

«Certo, se noi ultraricchi avessimo dovuto spendere di tasca nostra l’intera cifra, ci saremmo ridotti sul lastrico. Quello che mancava lo abbiamo risparmiato con tre ideuzze così facili che sono venute in mente perfino a Duecollìne [il ministro dell’economia paperopolese, ndr]».

«Punto primo: il ritiro dei nostri contingenti militari da tutte le missioni internazionali e lo stop all’acquisto di 131 cacciabombardieri di nuova generazione, che del resto la nostra Costituzione ci vieterebbe di utilizzare».

«Punto secondo: la sottoposizione a regolare imposta degli edifici di proprietà della Chiesa cattolica, finora – non si capisce perché – esentata dal pagamento delle tasse, e la cessazione del finanziamento pubblico delle strutture private, a cominciare da scuole e ospedali».

«Punto terzo: la soppressione dei ponti… a partire da quello sullo Stretto e delle altre “grandi opere” inutili, tanto invise alle comunità».

«È possibile che quelle adottate dal governo siano misure eccessive», avrebbe concluso il premier, «ma i cittadini le vogliono».

La storia finirebbe con Berluscon de’ Berlusconi portato in trionfo per le strade e gli speculatori cattivi, in un angolo, intenti a mangiarsi il cappello.

>>> Nell’immagine, una banconota da 50 euro.

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Sotto attacco l’articolo 41 della Costituzione

Vogliono cambiare, con la scusa della crisi, l’articolo 41 della Costituzione italiana.

Che cosa dice l’articolo 41?

Che «l’iniziativa economica privata è libera», certo.

Ma l’articolo aggiunge che tale “iniziativa” «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»; e, infine, che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Vogliono cambiare l’articolo 41.

«L’iniziativa economica privata» rimarrà «libera». Cadrà tutto il resto. Ma se dovesse cadere il resto, che cosa rimarrebbe?

Che «l’iniziativa economica privata» potrà «svolgersi in contrasto con l’utilità sociale», potrà «recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana», non dovrà «essere indirizzata e coordinata» dalla legge «a fini sociali».

Altrimenti perché cancellarlo?

In altre parole, sarà “libero” tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, con buona pace dell’«utilità sociale» (siamo imprese, mica enti benefici!), della «sicurezza» (mai sentito parlare di incidenti sul lavoro? io ricordo Tremonti che dichiarava che la legge sulla sicurezza sul lavoro è troppo onerosa per le imprese), della «libertà» e «dignità umana».

Per non parlare dell’idea – così romantica – che «l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali».

Fini sociali? Siamo forse una Repubblica fondata sul lavoro (art. 1)?? È scritto forse da qualche parte che ognuno deve «svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4)?? Ma non facciamo ridere i polli!

PS: E noi? Come ci attrezziamo a resistere?

>>> Leggi anche Utilità sociale e articolo 41.

>>> Leggi l’articolo di Domenico Gallo La Costituzione economica, l’ultimo nemico di Berlusconi.

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