Questo blog è al fianco del popolo palestinese, i cui diritti sono negati e calpestati da decenni dallo Stato di Israele. Si pensi alle risoluzioni dell’Onu per la soluzione dei “due Stati per due popoli”, ignorate dai governi di Tel Aviv; si pensi all’embargo unilaterale che colpisce e affama un milione e mezzo di persone rinchiuse nel carcere a cielo aperto della Striscia di Gaza.
Durante l’operazione militare Piombo Fuso, come durante tutti i raid successivi al cessate il fuoco e fino all’escalation militare degli ultimi giorni (prima e dopo l’attentato di Eilat), la popolazione civile non ha potuto neppure mettersi in salvo perché chiusa in gabbia, con i valichi al confine con il territorio israeliano e l’Egitto perennemente chiusi.
Si pensi poi alla Cisgiordania, dove i coloni israeliani – spesso ultrafondamentalisti religiosi – compiono violenze contro i palestinesi e le loro proprietà con la connivenza, se non la benedizione, dell’esercito; si pensi al muro che circonda le colonie e rende di fatto impossibile qualsiasi continuità territoriale ai territori palestinesi (e spesso trasforma in un’odissea il semplice tentativo di raggiungere un ospedale).
Si pensi ancora alla pratica degli “omicidi mirati”, condotti da Israele nei confronti dei propri nemici, ritenuti – a torto o a ragione – “terroristi”. Si pensi infine (ma ci sarebbe altro da aggiungere) alla violenza di un esercito ipertecnologico che si abbatte improvvisa dal cielo, talvolta con la scusa della prevenzione, talaltra con quella della ritorsione.
Ciò premesso, questo blog non è interessato a difendere la violenza palestinese, quando c’è. Non la giustifica, non la apprezza, la trova controproducente, ma ne riconosce la natura di “conseguenza”, di “risposta” a una situazione drammatica – quella vissuta dalla popolazione palestinese – generata senza possibilità di equivoco dalle politiche israeliane. Gli attentati in Israele sono responsabilità di chi li mette in atto – non potrebbe essere altrimenti – e tuttavia la linea seguita da Tel Aviv nei confronti dei palestinesi è il peggior modo possibile per prevenirli o, più in generale, per aprire alla pace.
La scorsa notte un night club di Tel Aviv è stato attaccato da un palestinese, ventenne, proveniente da Nablus, nella Cisgiordania. 7 persone sono state ferite, 5 delle quali agenti di polizia. Arrivato nei pressi del night, il giovane, secondo quanto riporta PeaceReporter, «ha ferito l’autista e lo ha buttato fuori dal taxi»; «si è poi imbattuto in un posto di blocco della polizia e si è scagliato contro con l’auto. È poi uscito dal taxi e ha attaccato con un coltello agenti e civili. A conclusione dello scontro, cinque poliziotti, un buttafuori del ritrovo notturno, un civile e lo stesso attentatore sono stati feriti; uno risulta essere in gravi condizioni».
PeaceReporter riferisce anche che «responsabili della sicurezza temono una nuova ondata di attacchi palestinesi in seguito alla forte tensione sul confine con la Striscia di Gaza e per il controverso piano del presidente palestinese Abu Mazen (Mahmud Abbas) che intende chiedere all’Assemblea Generale dell’ ONU, quando si riunirà il prossimo settembre, il riconoscimento di uno stato palestinese come stato non membro di questo foro». Un progetto che naturalmente suscita la contrarietà di Israele.
Se la mia condanna dell’episodio è scontata (e comunque la esprimo), esprimo anche la condanna per la miopia dei governi israeliani, per la ritorsione che – se non è già avvenuta mentre sto scrivendo – certo non si farà attendere, per la pervicacia nel non voler accettare i diritti degli altri, l’ostinazione a percorrere una via di violenza che genera violenza e altra violenza ancora, le spese della quale faranno tutti, gli israeliani come i palestinesi.
>>> La vignetta, estremamente significativa, è di Carlos Latuff. Una giacca azzurra americana domanda, con riferimento ai nativi americani: «Perché ci attaccano? Solo perché li uccidiamo e occupiamo la loro terra?»; nella vignetta successiva, un militare israeliano risponde: «Stavo per chiederti la stessa cosa».