Strane cose accadono in Italia – 3


Secondo la legge italiana c’è una categoria di persone che non ha bisogno di commettere reati per essere prelevata dalle forze dell’ordine e chiusa in un centro penitenziario, perché è la sua stessa presenza, giudicata “irregolare”, a costituire un reato. Si tratta naturalmente, come tutti sanno, dei cittadini stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno. Ma avete mai provato a immedesimarvi nei panni di questa gente? Vi trovate costretti a partire per la Germania, gli Usa o magari la Cina e, siccome non avete modo di regolarizzare la vostra presenza, dall’oggi al domani siete al di fuori della legge, senza aver mai rubato, usato violenza, ucciso. Cazzo, ma io sono italiano! Sì, però siete in Germania, negli Usa o in Cina e agli autoctoni non interessa se siete discendenti di Giulio Cesare in persona; più facilmente penseranno alla pizza, alla mafia, a Berlusconi (e forse persino al mandolino). Trovate lavoro, ma in nero, non avete diritti e – se cercate di rivendicarli – chiunque può denunciarvi come illegale. La denuncia, secondo le belle pensate di qualche mente leghista (che immagino non siano un’esclusiva “padana”), potrebbe venire anche dal medico che vi cura, così, se vi ammalate, ci pensate due volte prima di andare all’ospedale (il che non è bene per voi e, nel caso di malattie contagiose, neppure per gli altri, non importa quanto autoctoni). Poi, dopo una settimana come cinque anni di stenti, di dignità calpestata, di rospi inghiottiti, basta una retata e vi trovate rinchiusi in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie), nel quale possono tenervi fino a 18 mesi prima di rispedirvi in patria – ovvero alla situazione dalla quale eravate scappati, fame o guerra non importa.

Questa è la situazione in Italia (secondo alcuni uno Stato democratico) per migliaia e migliaia di esseri umani che hanno la grave colpa di non avere un bollo o una firma sul passaporto. Persone che rischiano di finire – o sono finite – nei Cie senza aver fatto nulla di illegale, una vergogna con la quale conviviamo senza indignarci o reagire, come facevano i cittadini tedeschi o polacchi che abitavano nei pressi di un Lager. Certo, se abbiamo un’idea di com’erano i Lager nazisti, con le uccisioni indiscriminate, le selezioni, il lavoro forzato, gli esperimenti “scientifici” condotti su cavie umane che potevano essere sacrificate senza problemi, le camere a gas e l’uscita finale dal campo attraverso il camino di un forno crematorio, il paragone può sembrare una forzatura. L’analogia sta nel fatto che entrambi i sistemi concentrazionari sono rivolti a persone “innocenti” (e, incidentalmente, a persone che non lo sono), designate in base a un criterio che se oggi non è perfettamente razziale ricorda da vicino la discriminazione legata al sangue, perché è risaputo che la parte di umanità che soffre la fame non è quella bianca e occidentale. L’analogia sta nel fatto che l’ingresso ai Cie è vietato tanto alla stampa quanto alle associazioni e, ciò nonostante, le notizie che raggiungono l’esterno raccontano una storia di sovraffollamento, abusi, violenze sessuali e uso intensivo dei tranquillanti per “tenere buoni” i migranti.

Quello della foto è il Cie di Restinco, in provincia di Brindisi. Trovandomi da queste parti non ho resistito alla tentazione di dargli un’occhiata. Mentre mi avvicinavo, fantasticavo su che cos’avrei fatto se mai mi fossi imbattuto in un fuggiasco evaso dal Cie. L’avrei aiutato contro la legge, facendolo salire in macchina, portandolo almeno fino a Brindisi, mettendogli in mano 50 euro, come la mia coscienza mi imporrebbe, oppure avrei avuto paura delle conseguenze e mi sarei arreso alla “necessità” di farmi i fatti miei, di rispettare una legge sbagliata, di badare alla mia incolumità (non si sa mai come ragiona un uomo che è stato trattato come un animale)? Non conosco la risposta, immagino che certe cose si scoprano solo alla prova dei fatti, ma credo che sia compito di tutti sollevarsi contro l’assurdità di un sistema che mette una persona in una gabbia soltanto perché ha un cognome e una religione diversi da quelli di qui.

Nel Cie di Restinco domenica scorsa un tentativo di fuga si è verificato davvero, con i 45 “ospiti” della struttura hanno sfondato il cancello che li separava dal Cara (Centro di accoglienza richiedenti asilo) per poi tentare la fuga. Sul posto sono intervenuti gli agenti di polizia e solo in sei sono riusciti a scappare, mentre 20 sono stati bloccati quando erano ancora nel Cara e con gli altri è stata avviata una trattativa che è andata avanti sino alle 20.30, con gli immigrati che hanno accettato di rientrare. «Non si sono registrano feriti e neanche danni alla struttura», scrive il Quotidiano di Puglia.

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