Io sono un professionista dell’odio e della menzogna


In seguito
ai fatti di Firenze e, più semplicemente, all’apertura di una sede dell’associazione neofascista CasaPound ad Aosta, il Tavolo antifascista valdostanocostituito da Arci, Legambiente, Federazione della Sinistra e Associazione Loris Fortuna e del quale, per quanto vale, sento di far parte anch’io – ha organizzato per oggi, 16 dicembre, al quartiere Cogne un momento d’informazione antifascista, per sensibilizzare gli abitanti circa l’identità politica dei soggetti con cui dovranno convivere, i quali proprio lì hanno inaugurato il loro nuovo circolo «Santa Pirateria». L’iniziativa è poi stata rinviata, manco farlo apposta, a causa della prima nevicata eccezionale dell’anno, ma si svolgerà quanto prima.

Al comunicato stampa del Tavolo antifascista, che esprime «viva preoccupazione per l’apertura ad Aosta di una sede di CasaPound nel quartiere Cogne, dove la presenza di migranti che già ora servono da comodo parafulmine ai malumori e alle difficoltà imposte dalla crisi e dalla pessima politica che la sgoverna rischia di creare situazioni di tensione», risponde per CasaPound l’ineffabile Igor Bosonin, responsabile valdostano dell’associazione, che si premura di etichettare tutti noi come «professionisti dell’odio e della menzogna».

Perché scriviamo che «è dalle viscere del neofascismo, delle varie CasaPound, Milizie, eccetera, che origina la strage dei senegalesi a Firenze». E all’elenco, per buona misura, aggiungiamo la Lega.

Perché condanniamo «il mancato contrasto all’apologia di fascismo che è e resta un reato e alle teorie razziste di partiti come la Lega Nord».

Perché ci ricordiamo di sottolineare «il fatto che l’assassino neofascista Casseri scriveva e diffondeva idee revisioniste e negazioniste, in diverse occasioni ospitate sui siti ufficiali di Casapound».

«Le idee dei neofascisti di Casapound», con buona pace di Bosonin e di quelli che la pensano come lui, sono effettivamente «un virus che, inoculato in propizi terreni di coltura e di incultura, può infettare gravemente e mortalmente la nostra ora fragile democrazia. Una democrazia nata dalla Resistenza e normata dalla Costituzione per la quale un caro prezzo è stato pagato dalle generazioni che ci hanno preceduto».

Quelle generazioni cui proprio CasaPound, con le sue dediche sui muri al «Partigiano infame», manca gravemente di rispetto. Ma Bosonin, che probabilmente non ricorda quelle scritte, rivendica oggi la serietà dei neofascisti, che rifiutano di essere trascinati «nella lotta tra opposti estremismi» e sono impegnati a «promuovere la giustizia sociale».

«Sono i professionisti dell’odio e della menzogna», dice di noi Bosonin. «Vogliono impedirci di promuovere la giustizia sociale. Noi facciamo politica per garantire un futuro all’Italia, loro sono invece gli utili idioti che vogliono trascinarci nella lotta tra opposti estremismi. Contrapposizione deleteria che lasciamo al passato e a chi non ha più nulla da dire o da proporre». E ancora: «il nostro circolo Santa Pirateria diverrà un centro culturale attivissimo, aperto a tutti coloro che vogliono confrontarsi anche nella diversità di opinione». Perché, naturalmente, «la libertà di opinione viene minacciata da gruppi di emarginati sociali precipitati nel dimenticatoio della politica, ovvero quelle sigle che vogliono a ogni costo fermare le attività sociali promosse dalla nostra associazione».

Eppure, noi «professionisti dell’odio» non abbiamo coltelli né spranghe. Noi «professionisti dell’odio» non odiamo nessuno. Con i fascisti non ricerchiamo il dialogo perché, dopo la Resistenza, consideriamo chiusi per sempre i conti con una parte politica che, attraverso i mille orrori perpetrati, è uscita sconfitta dal giudizio della storia. Noi non le riconosciamo la dignità necessaria per confrontarci pubblicamente. Neppure nella diversità di opinioni. Perché sappiamo che cos’è stato il fascismo e non siamo stati noi a recuperarne il nome. Sappiamo anche che non ha senso parlare di storia con chi della storia ha un’idea revisionista: se mancano le premesse non c’è possibilità di confronto.

Io, come «professionista dell’odio e della menzogna», posso dire solo questo: non alzerò mai un dito per aggredirvi fisicamente, ma cercherò in ogni modo di contrastare le vostre bugie: perché Mussolini è stato tutto tranne un brav’uomo. Perché il fascismo non è stato una dittatura all’acqua di rose. E i treni, anche a quel tempo, arrivavano in ritardo.

Ma chiaramente il bugiardo sono io, anzi: sono un bugiardo «professionista».

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Lo schifo che provo per gli amici dei fascisti


Tu sei fascista
e io non so che farci, non posso cambiarti la testa. Non ha neppure senso che parliamo insieme: a che servirebbe? Non lo dico per arroganza: semplicemente so che non abbiamo una base comune, un punto di contatto, mancano le premesse per il dialogo. Tu mitizzi un passato disgustoso, prendi per buona la propaganda di un regime finito quasi 70 anni fa, chiami libertà la schiavitù di un popolo. Quello fascista fu anzitutto un regime ipocritacome tutti i regimi – già a partire dal suo atto costitutivo, la pagliacciata della marcia su Roma, con Mussolini che se ne restò a casa perché era il primo a non credere che la sua “rivoluzione” sarebbe riuscita, salvo poi precipitarsi a Roma e rivendicare il successo del “suo” colpo di Stato, quando il re decise in base a un calcolo errato di lasciar fare; il fascismo fu violento, dalle proprie origini squadriste alle “campagne” di Spagna, di Etiopia, di Libia e Albania, fino alla follia della seconda guerra mondiale, quando il cosiddetto «duce» (la guida, pensa tu) pugnalò alle spalle la Francia perché credeva finita la guerra; il fascismo fu razzista, in potenza già prima delle inumane leggi antiebraiche del 1938 e dell’alleanza con Hitler, perché  sin dall’inizio si crogiolò con ideali di «superiorità» del popolo italiano, un’impostazione nazionalista capace di giustificare lo scontro con gli altri, con il diverso da sé, nel nome del destino che il fato aveva scritto per Roma.

Questo fu il fascismo. Chi nega questo ha visto un altro film: di che potremmo parlare? E se qualcuno riconosce queste cose e le giustifica, sono io che non intendo sprecare il mio tempo a discutere con lui.

Come dicevo all’inizio, tu sei fascista e io non so che farci: non ti posso cambiare la testa.

Il problema, però, è che ci sono tanti, tantissimi che non sono fascisti, ma che non sono neppure antifascisti. Il problema è che sta entrando nell’uso l’abitudine di definire violenti gli antifascisti, quando il nostro sistema immunitario nazionale dovrebbe avere avuto il tempo di immunizzarsi contro le antiche minacce. Il problema è che quasi 70 anni dopo la fine del regime bisogna ancora spiegare alla gente perché il fascismo è stato ed è cattivo e cercare di convincerla che la storia non è quella che piace ai revisionisti di destra.

Il problema è che realtà che si definiscono, più o meno apertamente a seconda della convenienza, «fasciste» trovano agganci e protezioni in certi politici e amministratori di destra, segno che in Italia una vera destra liberale non è mai nata e che da quella parte gli animi sono ancora troppo spesso prigionieri di certe nostalgie.

Pensa piuttosto a ciò che hanno fatto i comunisti!, dirà qualcuno.

Ma in Italia non c’è stato il regime comunista e sono ormai decenni che la sinistra italiana ha preso le distanze tanto da figure come Stalin, quanto dagli aspetti dittatoriali e totalitari delle esperienze concrete di Stato socialista. No, io penso a realtà come CasaPound, ai sedicenti «fascisti del terzo millennio», alle scritte ingiuriose comparse sui muri della mia città, Aosta – «Partigiano infame», ad esempio – e mi sento ribollire il sangue. E penso a quegli assessori comunali, a quei parlamentari, a quei rappresentanti dei cittadini, che non nomino, disposti a concedere spazio e ascolto ai militanti dell’estrema destra, senza alcuna idea di quella pregiudiziale antifascista che dovrebbe essere la normalità democratica di questa nostra Repubblica fondata, nelle intenzioni, sull’antifascismo, oltreché sul dio denaro e sul potere delle banche.

Con i fascisti nessun dialogo è possibile, ma voi non la pensate così, cari amministratori pubblici che vi sgolate per chiamare i boia di Salò «ragazzi» che hanno fatto una scelta coraggiosa; voi che equiparate le foibe allo sterminio nazista, quasi che l’appartenere al campo della destra vi trasformasse in tanti soldatini dalla crapa pelata intenti a gridare «Heil!». Voi che fate tifo da stadio, che avete scelto la destra e destra sia, e non importa fino a che punto, non importa che cosa implichi o significhi.

Non c’è bisogno che uno squilibrato a Firenze uccida e ferisca esseri umani per capire che c’è qualcosa che non va nel clima d’intolleranza per l’«altro», nella contrapposizione tra «noi» e «loro», nello scontro di civiltà, nel rifiuto dell’integrazione, nel dileggio degli immigrati. Gianluca Casseri «non era un militante della nostra associazione», afferma una nota di CasaPound, ma un «simpatizzante» al quale, com’è ovvio, non era stata chiesta «la patente di sanità mentale». Ma CasaPound non dice che questo «simpatizzante» (uno qualunque, «come altre centinaia di persone in Toscana, e altre migliaia in tutta Italia»), scriveva sul sito dell’associazione, anzi, nel cosiddetto «ideodromo»: dopo gli omicidi, i suoi testi sono scomparsi, chissà perché, ma ne è rimasta traccia su archive.org.

Dopo gli omicidi (omicidi, è chiaro di che cosa stiamo parlando?) ci sono stati, come non era illogico aspettarsi, alcuni «momenti di tensione». A Roma il corteo «pacifico» di solidarietà con le vittime, tenuto dalla comunità senegalese, è stato “infiltrato” dai famigerati «black bloc»: i militanti dei «centri sociali» hanno cercato di raggiungere la sede centrale di CasaPound. Lo dice il Messaggero in questo articolo, nel quale a essere presentati come “cattivi” sono tutto sommato soltanto «i giovani di estrema sinistra», che – per fortuna! – «non si sono mai avvicinati realmente all’edificio» e sono stati dispersi dalle forze dell’ordine (niente lacrimogeni: «è bastata un’azione di alleggerimento»). C’è poi giusto lo spazio per una dichiarazione anti centri sociali di Andrea Antonini, vicepresidente di CasaPound Italia, l’unico al quale sia stato dato il diritto di parlare, e l’articolo si conclude con la rinnovata contrapposizione tra il corteo dei senegalesi, assolutamente pacifico, e «i militanti in tenuta da black bloc», finalmente dileguatisi.

Sbaglierò, ma mi viene in mente l’atteggiamento dei giornali durante il biennio rosso, quando le aggressioni fasciste ai danni dei socialisti erano riportate come scontri tra le due formazioni e la vittima era equiparata all’aggressore. Non ho mai apprezzato la giustizia “fai da te”, ma mi sembra che il linguaggio di certi media sia la dimostrazione migliore del tentativo – al momento vincente – di sdoganare come normale la rinascita di movimenti apertamente fascisti. Intanto, naturalmente, CasaPound minaccia azioni legali contro chi cercherà di mettere in relazione l’omicida di Firenze e l’associazione. Perché ce l’abbiamo tutti con loro.

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Referendum contro il pir(L)ogassificatore: ultimi giorni per firmare!

Valle d’Aosta, referendum propositivo contro il progettato pirogassificatore che dovrebbe farsi carico dello smaltimento dei rifiuti di… 130 mila persone(!) – a tanto ammonta infatti l’intera popolazione della regione più piccola d’Italia.

Sul perché sono contrario all’impianto e sul referendum propositivo – istituto assente nel resto d’Italia, con l’eccezione, oltre alla Valle d’Aosta, della provincia autonoma di Bolzano – ho già detto qualcosa altrove. Mi limito qui a un semplice rimando al documento scritto da alcuni medici valdostani per mettere in guardia la popolazione circa le possibili conseguenze del pirogassificatore sulla salute della popolazione.

Le firme necessarie per indire il referendum sono state raggiunte, perciò la fase della raccolta terminerà, in anticipo rispetto al previsto, questo venerdì (16 dicembre). Lo annuncia in un comunicato stampa Vallevirtuosa, l’associazione promotrice del referendum, invita «i cittadini che ancora non lo avessero fatto a recarsi in questi ultimi giorni presso il proprio Comune per firmare e sostenere l’iniziativa referendaria».

Rifiutare scelte sbagliate nella gestione dei rifiuti non significa essere «quelli del no», ma scegliere di pensare con la propria testa e accettare di prendere in considerazione alternative. Ottenere di potersi esprimere, a favore o contro il pirogassificatore, significa rifiutare il principio, sempre più praticato, che il mandato elettorale corrisponda a una delega in bianco, che permette di prendere le decisioni sulla testa dei cittadini.

Contro il diritto dei cittadini di esprimere liberamente il proprio volere, guarda caso, lo scorso novembre è stato fatto ricorso al Tar della Valle d’Aosta; a presentarlo è stata Asso-Consum Onlus, un’associazione con base a Roma, fino ad ora sconosciuta fra le vette più alte d’Europa.

Non lasciamoci scippare il referendum, dunque (e vediamo di raggiungere il quorum, vergogna italiana volta ad annullare la forza degli strumenti di democrazia diretta previsti dal nostro ordinamento)!

Oggi, intanto, 14 dicembre, si terrà l’udienza per un altro ricorso al Tar, quello presentato dal «raggruppamento temporaneo» delle imprese escluse dal bando di gara per la costruzione del pirogassificatore.

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Appropriazione debita


Tempo non ne ho
, perciò lo dico in fretta in fretta.

Sto pensando di dar vita a un blog parallelo a questo (e meno male che non aveva tempo!), intitolato «Appropriazione debita». Un luogo in cui postare materiale resistente (per lo più artistico: testi, musica, video) autoprodotto, da offrire alla libera fruizione.

Un progetto che potrebbe diventare un serbatoio di musica, parole e immagini.

Un progetto che potrebbe diventare un insieme di gruppi musicali (o, per meglio dire: ogni gruppo potrebbe aderire alla filosofia del progetto e “fregiarsi” del sottotitolo «Appropriazione debita», usufruendo dei pezzi già in repertorio – ovvero sul sito – e mettendo i propri a disposizione degli altri).

Un progetto che potrebbe diventare teatro, cinema e chi più ne ha più ne metta, o magari soltanto un archivio online, da usare come si vuole.

L’importante, al solito, è condividere le finalità dell’iniziativa, partecipare, citare i nomi degli autori, non avere finalità commerciali… La licenza di riferimento potrebbe essere quella Creative Commons 3.0.

Mi sembra che l’iniziativa si spieghi da sola. Aggiungo che, nell’epoca dell’obbligo del pareggio di bilancio, della privatizzazione dei beni, delle banche al governo è opportuno cercare altri canali, non vincolati al concetto della transazione in denaro.

Utopia o meno, un mondo diverso si costruisce dal basso.

Ditemi che cosa pensate del progetto [e-mail: levostremissive(at)autistici.org]. Intanto vi lascio un primo testo, quello di una canzone mia – probabilmente non è finita, nel senso che è ancora un po’ corta – nella quale immagino di essere stato convertito al neoliberismo dalle lacrime di Elsa Fornero. Quando sarà musicata (naturalmente tutt@ possono provarci!), pubblicherò il/i file audio.

Il titolo ancora manca.

Battezzato / nel mio nuovo credo
(ci credo) / dalle lacrime d’Elsa Fornero
mi converto e proclamo che è vero
Io credo

Credo nel Mercato, Padre Onnipotente
Credo nel suo figlio Goldman Sucks
Lo spirito del rating aleggi sulle scelte
Di chi amministra la società

Tu prendi le forbici e taglia:
modella a tuo gusto la Spagna, l’Italia
la Grecia, la Francia e Germania
scalate azionarie e pali-cuccagna

Credo / Credo nella Banca Mondiale
che è al di sopra del bene e del male
alla borsa che scende e che sale
Io credo

>>> Nell’immagine, il Muro di Lennon a Praga.

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Bandito da Roma per due anni attivista di Greenpeace


Non è proprio possibile
. Non è costituzionale. Non possono farlo.

Salvatore Barbera, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, è stato bandito da Roma per aver apposto striscioni sui cambiamenti climatici e l’alluvione di Genova in piazza Colonna, ieri, 6 dicembre 2011. Foglio di via obbligatorio e divieto di ritorno per due anni.

È questo il nuovo clima favorito dal governo “tecnico” dei professori? La decisione del questore di Roma è gravissima e non può essere avallata dal silenzio di chi ancora si ostina a voler vivere in un Paese nel quale l’espressione pacifica delle proprie idee sia libera.

Immaginate il polverone che, giustamente, sarebbe stato sollevato dalla dai media se questo tipo di misura fosse stata presa in Iran o in Cina? Per aver manifestato, pacificamente, il proprio pensiero, Salvatore Barbera non godrà, per i prossimi 730 giorni della piena libertà di movimento sul territorio del suo stesso Paese.

Per approfondimenti, rimando al sito di Greenpeace, dal quale ho tratto l’immagine di questo articolo.

Come nelle precedenti occasioni, l’auspicio è che il Tar annulli il provvedimento della questura. È già successo dopo azioni di protesta condotte a Brindisi nel 2007 e sempre a Roma, nel maggio di quest’anno.

Il ministro dell’interno è già stato avvertito a mezzo interrogazione parlamentare.

Sulla vicenda pubblico di seguito il comunicato stampa di Rifondazione Comunista – Federazione della Sinistra.

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E non ci dovevamo indignare?


L’indignazione
, lo abbiamo detto, non basta. Occorre un progetto. Però indignarsi è qualcosa. Riusciva più facile con Berlusconi al timone. Ci feriva la vista, lui con i nani e le ballerine. Ora è in pieno atto la farsa, pilotata dal Quirinale (può darsi in buona fede), da Berlino, Parigi, Washington e Bruxelles (certo con fede meno buona), dalle agenzie di rating e gli altri poteri forti (la buona fede qui non c’entra per niente), la farsa – dicevo – dell’unità nazionale (in fondo è ancora il centocinquantenario), per evitare il fallimento del Paese.

E per impedire che fallisca il Paesemai come oggi un termine astratto, fatto di numeri inventati dalle borse – si fanno fallire le persone in carne e ossa, si colpiscono le classi che hanno già pagato, pur di non toccare neppure un poco quelle privilegiate.

Il problema più grave, comunque, non è l’esborso, come non è la Chiesa che non paga l’Ici e neppure la mancata introduzione della patrimoniale. Evidentemente non sono nemmeno i costi, vergognosi, di una politica che non funziona (anche se poi quando Mario Monti dice di voler rinunciare al proprio stipendio mi sento preso per i fondelli esattamente come davanti alle lacrime della Fornero – «Se me lo potessi permettere le comprerei un pacchetto di kleenex» le risponde amaro un pensionato in una vignetta di Vauro). Il problema di fondo è come si usano i soldi.

Il problema di fondo è che è passata l’idea, a destra, a sinistra e in ogni luogo, che lo stato sociale è un peso, che la via da percorrere è una sola, che a decidere della vita delle persone possono essere entità astratte – e cui nessuno ha delegato la propria sovranità – come i mercati, che privato è meglio che pubblico (sui giornali, almeno, e nei salotti televisivi, perché nelle cabine elettorali, a giugno, 27 milioni di italiani avevano detto chiaramente di pensare il contrario), che ciò che non produce reddito – o Pil – è inutile. Il problema di fondo è che continuano a proporci l’adagio tatcheriano secondo il quale, semplicemente, «Non c’è alternativa» (T.I.N.A. nell’acronimo inglese, dall’espressione «There Is No Alternative»).

A questo attacco, che potrebbe rivelarsi mortale, alla democrazia e ai diritti, allo stesso carattere umano del vivere comune, possiamo resistere continuando a indignarci, a patto di impegnarci, nel contempo, in una battaglia culturale capace di smascherare la truffa e mostrare le alternative, (ri)scoprendo molteplici forme di associazione e di sovranità popolare e dimostrando di considerare davvero irrinunciabili certi diritti. L’acronimo T.I.N.A. dovrà lasciare il campo a T.A.M.A («There Are Many Alternatives», ci sono un sacco di alternative – il futuro non è scritto a Wall Street).

Sfoderiamo la nostra creatività, qualche volta ciò che luccica è per davvero oro: impegnamoci nella proposta di reti popolari di sostegno e aiuto, gruppi di studio, case popolari sopontanee, movimenti per la difesa del territorio e delle conquiste civili e del lavoro; troviamoci a leggere la costituzione; riappropriamoci delle piazze – spazio pubblico per eccellenza, prima dell’avvento del centro commerciale – sedendoci per terra, da soli e in gruppo, con una chitarra, con un libro, con una bottiglia (non intendo incendiaria, è meglio precisarlo).

E mettiamo al lavoro la nostra creatività e fantasia per produrre musica, immagini, testi, senza licenza, diritti d’autore, liberi di circolare, senza scambio di denaro. Facciamo arte per sopravvivere, arte per prenderli per il culo, arte per il gusto dell’arte. Le immagini di questo post sono del mio amico Ronnie Bonomelli che si è messo lì, un giorno, e ha fatto un po’ di satira sul nuovo governo “tecnico”. Poi ha preso la chitarra e ha composto «La canzone di Monti Mario». Chiunque può cantarla, chiunque può inventarsi un testo.

Teniamo alta la testa, non facciamo mancare la nostra voce!

>>> Clicca sulle immagini per ingrandirle. Vignette e canzone sono pubblicate con licenza Creative Commons 3.0.

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Decreto Salva Italia

Dal momento che l’unica buona novità con Monti al posto di Tremonti è di tipo stilistico (te la metto in quel posto, ma lo faccio senza tanta cagnara e, vuoi mettere?, senza portarmi appresso la corte dei miracoli, i nani e le ballerine…) l’idea del Presidente del Consiglio di battezzare «Salva Italia» il decreto del governo mi dispiace due volte: la prima, naturalmente, per i contenuti (tartassiamo i soliti, sul “paghi di più chi ha di più” si era solo scherzato, se siete pensionati – o speravate nella pensione – sono fatti vostri), la seconda per il linguaggio.

Decreto «Salva Italia»: grande titolo da giornale sensazionalista, umile come il “World Show” di Checco Zalone, volgare come i precedenti decreti dei precedenti governi. Forse perché, se manca la sostanza, non sempre lo stile riesce a sopperire.

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