Vittorio, ciao

«Vittorio ciao»,

come nella tua amata canzone partigiana, tu resistente dell’umanità ferita, vivo nei colori di Gaza, terra schiacciata da un embargo-prigione che chiude gli occhi e la speranza a bambini e adulti, a chi li aveva aperti – gli occhi – a contemplare l’ingiustizia.

Ho pianto quando ho saputo che non c’eri più, ma soprattutto non ci potevo credere. Perché di tanto dolore e sofferenza tu non eri solo il messaggero lontano, un volto, un microfono: tu eri vero, ti avevo incontrato, avevamo parlato insieme, davanti a una birra, e già prima ti avevo sentito, per mail, al telefono; mi hai portato all’orecchio l’eco di un’esplosione israeliana nel mezzo di una “tregua” benevolmente concessa ai palestinesi dall’«esercito più morale del mondo».

Tu eri vero, come è vero un amico, solo che stavi dall’altra parte del Mediterraneo, insieme ai tuoi compagni dell’International Solidarity Movement stavi accanto ai dimenticati del mondo, sulle ambulanze, nelle barche dei pescatori, nei campi coltivati lungo la linea di un confine arbitrario, sotto i colpi (di avvertimento?) dei cecchini.

Oggi ci manchi, più che mai, manca la tua voce, la tua cronaca puntuale da una terra ancora bersaglio di bombe e omicidi “mirati”. Mi manca il fatto di saperti lì, ma contemporaneamente qui, vicino a noi.

A tua sorella e a tua mamma, che non ho mai incontrato, a tutte le persone che hai conosciuto e la cui vita hai cambiato, e a quelle che a Gaza e in Palestina continuano a soffrire, un abbraccio forte in questo anniversario.

Che sopravviva, nei nostri cuori il tuo invito. «Restiamo Umani».

>>> Oggi, domenica 15 aprile, primo anniversario dell’uccisione di Vittorio Arrigoni, alle ore 20.30 sarà inaugurato, presso il circolo Arci Espace Populaire di Aosta, un muràl dedicato a Vik.

>>> L’immagine di questo articolo è di Carlos Latuff.

>>> La testimonianza di Vittorio è stata anche raccolta nel reading movie «Restiamo Umani». Info QUI.

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Intendo

Intendo scrivere, non appena avrò tempo, un testo in difesa del diritto di chiamare Israele una «minaccia alla pace mondiale», in solidarietà con il premio nobel tedesco Günter Grass, etichettato come antisemita per aver espresso la propria preoccupazione per l’arsenale nuceare segreto posseduto da Tel Aviv.

Intendo inviarlo a quegli stessi governanti israeliani che hanno dichiarato lo scrittore «persona non gradita» in Israele solo per aver enunciato verità lapalissiane, come il fatto che un arsenale nucleare clandestino nelle mani di un Paese in guerra perenne, sin da prima della sua fondazione (e che si prepara a bombardare l’Iran, come da decenni bombarda i territori palestinesi, non sempre con armi convenzionali), non è il miglior viatico per la pace in Medioriente e nel mondo.

Intendo scrivere questo testo per vedere se anch’io – un perfetto sconosciuto – sarò dichiarato «persona non gradita» dal governo di Tel Aviv, anche se non ho nulla contro la popolazione israeliana e anche se riconosco il diritto di Israele all’esistenza, sia pure a fianco di uno Stato palestinese la cui realizzazione proprio da Israele, di fatto, è impedita.

Intendo vedere se anch’io sarò tacciato di antisemitismo, pur non essendo antisemita, per il semplice fatto che me la prendo con la politica israeliana, orientata alla guerra perpetua, e invoco la dismissione dell’arsenale atomico di Tel Aviv.

Intendo vedere se sarò etichettato come amico del terrorismo iraniano, nonostante ritenga il terrorismo la forma di lotta più vigliacca e non nutra nessuna simpatia per il regime di Teheran.

Ma detesto l’ipocrisia di questo occidente del quale pure faccio parte, atteggiamento controproducente innanzitutto per quei diritti nei quali diciamo di credere, a partire dal rispetto della vita umana, e poi per quegli stessi “amici” dalla cui parte ci schieriamo, che di tutto hanno bisogno, tranne che di compari conniventi, disposti ad assecondarli mentre si cacciano in una strada senza uscita.

Gli amici non hanno paura di dire all’amico che sbaglia.

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I reati minimi di Umberto Bossi [di Alessandro Robecchi]

Ri-pubblico, con il consenso dell’autore, l’articolo di Alessandro Robecchi, I reati minimi di Umberto Bossi, pubblicato sul manifesto di domenica 8 aprile.

Leggi gli altri articoli sul blog dell’autore.

Voi siete qui – I reati minimi di Umberto Bossi
di Alessandro Robecchi.

Ecco, uno dovrebbe solidarizzare con il raggirato, certo. Ma è altrettanto certo che dipende da chi ti raggira. La Spectre, la Cia, il Mossad, tutta gente che ti frega facile. Ma se ti fai raggirare dal Trota e da Rosy Mauro, dico, ma come sei messo? Sul triste caso del Bossi Umberto prevale la pietas, l’umana comprensione, già aleggia il perdono. Siamo alla vecchia, cara, immortale commedia alla padana: «Cara non è come sembra, posso spiegarti tutto»… Pare una gara, tra i più illustri commentatori, a rendere l’onore delle armi al vecchio capo bolso fatto fesso da figli e famigli. Ma il vecchio capo bolso non era fino a pochi mesi fa addirittura ministro? E il suo partito di lauree comprate all’ingrosso, di diplomi fatti coi trasferelli, non esprimeva nientemeno che il ministro dell’Interno? E questa stirpe di macchinoni pagati con soldi pubblici, di gigolò mantenuti, di terrazzi ristrutturati, di Porsche a noleggio, di scuole padane a spese nostre, non era la stessa che – orgogliosamente – condannava a morte per annegamento centinaia di migranti disperati? Non era forse visibile a occhio nudo il progettino razzista e piccoloborghese del «padroni a casa nostra»? Comprare il diploma al figlio, la vacanza alla moglie, la laurea alla badante. E tutto dietro lo schermo un po’ scemetto del folkolore leghista con cui, ancora ieri, la grande stampa si trastullava. Ma sì, esagerazioni estetiche. Ma sì, frasi a effetto per militanti. «La violenza si è limitata alle fantasie orobiche sui trecentomila valligiani in armi», scriveva ieri il Corriere in prima pagina. Come dire: ‘sti leghisti han fatto un po’ di spettacolo, ma danni veri mai. E invece. E invece i respingimenti in mare sono cosa loro (e del socio Silvio). Il finto reato di immigrazione clandestina per cui migliaia di innocenti sono oggi nelle galere italiane, pure. Il calpestamento del diritto di asilo, anche. La vergogna per qualche milioncino fregato senza destrezza è oggi tutta padana. La vergogna per non aver fermato, a volte nemmeno visto, i crimini della meschina ideologia leghista, invece, è tutta italiana.

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Le cattive ragioni

Certa gente cade per i motivi sbagliati. La fine politica del dittatore cileno Pinochet è iniziata quando si è scoperto che il cosiddetto «padre della patria» si era appropriato di un sacco di soldi pubblici. Una fesseria, di fronte all’uccisione di migliaia di persone, all’arresto e alla tortura di altre migliaia, all’aver privato per anni un intero Paese della propria libertà. Ma c’è voluta quest’ultima accusa per convincere tanti nostalgici che l’amato dittatore era, in effetti, il cialtrone che era.

Allo stesso modo, è un’accusa di «distrazione di fondi» a favore della propria famiglia a mettere fine (?) al percorso politico di Bossi. Come nel caso del dittatore cileno, il pronunciamento di una corte potrebbe mettere fuori gioco un personaggio, a giudizio di chi scrive, assolutamente nocivo . Ma nessuna condanna potrà essere espressa in un’aula di tribunale circa le idee politiche – e l’azione di governo – di un partito che ha ottenuto i respingimenti in mare (e l’annegamento) di migliaia di disperati, gli accordi con Gheddafi, l’introduzione del reato di clandestinità, che riempie carceri e Cie di persone che non hanno fatto male a nessuno.

La fine di Bossi, dunque, non significa granché. Si tratta senz’altro di una buona notizia, ma non cambierà nulla perché le ragioni profonde che avrebbero dovuto scatenare l’indignazione e il sollevamento di un popolo contro l’ex leader e la sua accolita non c’entrano nulla. E infatti il popolo non si è sollevato e sotto sotto continua a pensare che sull’immigrazione abbiano ragione le camicie verdi. E non è detto che sia giunta la fine della Lega, perché il nemico, quando c’è un nemico, dev’essere deposto da un movimento resistenziale popolare, pena il perpetuarsi del potere – o della cattiva politica – da parte di qualche successore, ovvero la sopravvivenza del mostro sotto mutate spoglie.

Oggi l’Italia non si dimena più al ritmo del bunga bunga e certo non rimpiango i nani e le ballerine della corte di Arcore, ma la il governo Berlusconi non è caduto sotto la spinta delle manifestazioni di piazza, che pure ci sono state. La conseguenza è che oggi Monti è in grado di procedere sulla via – già berlusconiana – della demolizione delle garanzie, del welfare e dei diritti con maggior speditezza ed efficacia di quanto al vecchio premier fosse concesso sognare.

Oggi la maggioranza delle persone è “indignata” e si lamenta – a buon diritto – di ineguaglianze e ingiustizie, salvo poi sperare che Monti, il liberista «serio» (quello, cioè, che non balla il bunga bunga), faccia qualcosa per loro, quando dovrebbe essere ovvio che a palazzo Chigi siede quello che una volta sarebbe stato definito «nemico di classe» e che, come tale, è impegnato in un attacco radicale al sistema di garanzie ereditato dagli anni del secondo dopoguerra, senza alcun rispetto per lo statuto dei lavoratori né per la sostanza della costituzione, il che è come dire senza rispetto per i lavoratori e le lavoratrici, i cittadini e le cittadine italiane.

Anche Monti passerà e ci sarà Bersani, o qualunque altro uomo del sistema (e nulla cambierà se una volta tanto sarà scelta una donna). Ancora una volta a far cadere l’esecutivo sarà la mancanza del sostegno parlamentare o la scadenza della legislatura, non certo l’opposizione popolare contro riforme buone a sanare le piaghe del Paese come il sale sopra una ferita aperta.

Dove siamo alloraquesto il senso del mio sproloquio – dov’è la società civile, l’opinione pubblica, quella maggioranza di italiani che ha vinto i referendum di meno di un anno fa e adesso rischia di assistere impassibile al loro cancellamento pratico, con la svendita del Paese – beni comuni in testa – alle aziende? Perché accettiamo di farci governare da gente che chiede «più mercato», quando la maggioranza della popolazione ha saputo cogliere il carattere di follia insito nel delegare al «mercato» il potere di regolare e determinare la vita delle persone?

Piccolo manifesto politico estemporaneo – aderisca chi vuole:

A noi non basta non vedere Berlusconi a palazzo Chigi per affermare che qualcosa è cambiato.

Noi vogliamo cambiare rotta.

Noi pensiamo che Bossi se ne debba andare per le sue opere politiche e non solo per aver fregato un po’ di soldi. E lo disprezziamo di più per aver chiamato «ladroni» gli altri che per aver rubato lui.

Noi sappiamo che Monti è un nemico di classe e sappiamo che il conflitto di classe è vivo perché “chi ha” continua a praticarlo a spese di “chi non ha”.

Noi sappiamo che a volte è persino un problema, quando la gente cade per le cattive ragioni.

>>> Clicca sull’immagine per ingrandirla.

Il fumetto «I soldi del Trota» è opera di Ronnie Bonomelli. È liberamente riproducibile senza fini commerciali, citando il nome dell’autore, secondo quanto previsto dalla licenza Creative Commons 3.0.

Altre opere dell’autore QUI.

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Fiocco azzurro

È nato lunedì 2 aprile – e questo in parte spiega la lunga inattività del blog – si chiama Riccardo e tutti quanti, mamma sorella papà più nonni e altri affini, siamo contenti di averlo con noi.

Le foto, come già per la sorella, non le pubblico, almeno finché i bambini non saranno abbastanza grandi per darmi il loro permesso. Intanto potete immaginare un bimbo piccolino e bellissimo (complimenti per le capacità descrittive dell’autore del blog, che tra le altre cose insegna pure italiano).

A chi somiglia, naturalmente, non lo abbiamo ancora deciso.

P.S. Prossimamente il blog tornerà a occuparsi di lotta sociale, di politica e tutte le consuete amenità. Per il momento accontentiamoci di un poco di poesia…

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Al buon cuore dei padroni [di Alessandro Robecchi]

Ri-pubblico, con il consenso dell’autore, l’articolo di Alessandro Robecchi, Al buon cuore dei padroni, pubblicato sul manifesto di domenica 25 marzo. Sono in ritardo di una buona settimana, perciò – per farmi perdonare – invito tutt* a leggere gli articoli successivi sul blog dell’autore.

Il tema di questo articolo, l’aggressione all’articolo 18 e ai diritti di lavoratori e lavoratrici, in ogni caso, è ancora tristemente attuale.

Voi siete qui – Al buon cuore dei padroni
di Alessandro Robecchi.

Se vi piacciono i testacoda, se avete una passione per gli autogol e provate ammirazione per l’autolesionismo, le argomentazioni degli smantellatori dell’articolo 18 vi suoneranno divertenti. Impagabile il professor Monti: fare una legge e dire mentre la si fa «Vigileremo sugli abusi», significa sapere che ci saranno abusi. È come se il chirurgo che opera un paziente e dicesse al suo staff: «Mi raccomando, delicatezza, poi quando dite ai parenti che è morto». Il presidente della Repubblica, da primo sostenitore del governo Monti (più di certi ministri, a dar retta alle cronache), difende a spada tratta la riforma, e nel contempo dice che il problema non è l’articolo 18, ma «il crollo di determinate attività produttive». Che crollano perché le amministrazioni non pagano le imprese, perché i picciotti ti taglieggiano, perché i politici chiedono mazzette, perché le sentenze si aspettano per anni. Di leggi su queste cose non se ne vedono, e sull’articolo 18 invece sì. Saranno anche professori, ma non di logica. Ferruccio De Bortoli sul Corriere rimprovera (proprio a noi del manifesto, wow, siamo famosi!) «una ripetizione logora di schemi mentali del passato, il tentativo di creare un solco ideologico». E perché? Perché pensiamo, e scriviamo, che con una legge che rende facili i licenziamenti, gli imprenditori licenzieranno più facilmente. Siamo proprio scemi: pensiamo che con una legge che abolisce le strisce pedonali ci saranno più pedoni investiti. Ma come ci viene in mente! Ideologici, eh! Nel frattempo, il Corriere, che è poco ideologico, mette a pagina 53 la sentenza sugli operai Fiom della Fiat di Melfi, reintegrati dalla magistratura, che con la nuova legge sarebbero disoccupati “legali”. Insomma: cari imprenditori, vi facciamo una legge per licenziare, ma voi, mi raccomando, non usatela troppo. Ci appelliamo al vostro buon cuore. Parafrasando Jessica Rabbit, quello schianto di cartoon: «I padroni non sono cattivi, è che quelli del manifesto li disegnano così!».

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24 marzo, manifestazione No F-35 a Cameri (Novara)


Ricevo e volentieri rilancio, perché davvero è vergognoso che l’Italia continui a giocare alla guerra in barba all’articolo 11 della Costituzione e poi perché, se ci dicono che non abbiamo i soldi per il lavoro, la scuola, la sanità e le pensioni, allora non li dovremmo avere neppure per i cacciabombardieri.

E invece siamo sempre più integrati nelle guerre della Nato, sempre più importanti per i nostri alleati (in primis gli Usa), che hanno bisogno di una piattaforma nel Mediterraneo (addio, Belpaese: bella, per gli amanti del genere, è solo l’idea di vivere in una “piattaforma militare” – io aspirerei a qualcosa di meglio, ma non ho mai amato i giochi di guerra e la Playstation, dunque la colpa è mia), sempre meno “sovrani” nelle nostre decisioni (non solo economiche ma l’economia c’entra sempre, a quanto pare).

SABATO 24 MARZO 2012
MANIFESTAZIONE POPOLARE
contro la Fabbrica della Morte

Non vogliamo i cacciabombardieri F-35.

Non vogliamo grandi opere inutili nocive e costosissime.

Non vogliamo la militarizzazione dei nostri territori e delle nostre vite.

Noi civili siamo il 99 % della società.

CHIEDIAMO LA PRECEDENZA

Cameri (Novara), piazza Dante
Concentramento ore 14 > a partire dalle ore 11 Sit-in

Movimento No F-35

Per info e adesione: info[at]noeffe35.org > www.noeffe35.org.

>>> Clicca sulla locandina per ingrandirla, scaricala e diffondila.

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