Le cattive ragioni

Certa gente cade per i motivi sbagliati. La fine politica del dittatore cileno Pinochet è iniziata quando si è scoperto che il cosiddetto «padre della patria» si era appropriato di un sacco di soldi pubblici. Una fesseria, di fronte all’uccisione di migliaia di persone, all’arresto e alla tortura di altre migliaia, all’aver privato per anni un intero Paese della propria libertà. Ma c’è voluta quest’ultima accusa per convincere tanti nostalgici che l’amato dittatore era, in effetti, il cialtrone che era.

Allo stesso modo, è un’accusa di «distrazione di fondi» a favore della propria famiglia a mettere fine (?) al percorso politico di Bossi. Come nel caso del dittatore cileno, il pronunciamento di una corte potrebbe mettere fuori gioco un personaggio, a giudizio di chi scrive, assolutamente nocivo . Ma nessuna condanna potrà essere espressa in un’aula di tribunale circa le idee politiche – e l’azione di governo – di un partito che ha ottenuto i respingimenti in mare (e l’annegamento) di migliaia di disperati, gli accordi con Gheddafi, l’introduzione del reato di clandestinità, che riempie carceri e Cie di persone che non hanno fatto male a nessuno.

La fine di Bossi, dunque, non significa granché. Si tratta senz’altro di una buona notizia, ma non cambierà nulla perché le ragioni profonde che avrebbero dovuto scatenare l’indignazione e il sollevamento di un popolo contro l’ex leader e la sua accolita non c’entrano nulla. E infatti il popolo non si è sollevato e sotto sotto continua a pensare che sull’immigrazione abbiano ragione le camicie verdi. E non è detto che sia giunta la fine della Lega, perché il nemico, quando c’è un nemico, dev’essere deposto da un movimento resistenziale popolare, pena il perpetuarsi del potere – o della cattiva politica – da parte di qualche successore, ovvero la sopravvivenza del mostro sotto mutate spoglie.

Oggi l’Italia non si dimena più al ritmo del bunga bunga e certo non rimpiango i nani e le ballerine della corte di Arcore, ma la il governo Berlusconi non è caduto sotto la spinta delle manifestazioni di piazza, che pure ci sono state. La conseguenza è che oggi Monti è in grado di procedere sulla via – già berlusconiana – della demolizione delle garanzie, del welfare e dei diritti con maggior speditezza ed efficacia di quanto al vecchio premier fosse concesso sognare.

Oggi la maggioranza delle persone è “indignata” e si lamenta – a buon diritto – di ineguaglianze e ingiustizie, salvo poi sperare che Monti, il liberista «serio» (quello, cioè, che non balla il bunga bunga), faccia qualcosa per loro, quando dovrebbe essere ovvio che a palazzo Chigi siede quello che una volta sarebbe stato definito «nemico di classe» e che, come tale, è impegnato in un attacco radicale al sistema di garanzie ereditato dagli anni del secondo dopoguerra, senza alcun rispetto per lo statuto dei lavoratori né per la sostanza della costituzione, il che è come dire senza rispetto per i lavoratori e le lavoratrici, i cittadini e le cittadine italiane.

Anche Monti passerà e ci sarà Bersani, o qualunque altro uomo del sistema (e nulla cambierà se una volta tanto sarà scelta una donna). Ancora una volta a far cadere l’esecutivo sarà la mancanza del sostegno parlamentare o la scadenza della legislatura, non certo l’opposizione popolare contro riforme buone a sanare le piaghe del Paese come il sale sopra una ferita aperta.

Dove siamo alloraquesto il senso del mio sproloquio – dov’è la società civile, l’opinione pubblica, quella maggioranza di italiani che ha vinto i referendum di meno di un anno fa e adesso rischia di assistere impassibile al loro cancellamento pratico, con la svendita del Paese – beni comuni in testa – alle aziende? Perché accettiamo di farci governare da gente che chiede «più mercato», quando la maggioranza della popolazione ha saputo cogliere il carattere di follia insito nel delegare al «mercato» il potere di regolare e determinare la vita delle persone?

Piccolo manifesto politico estemporaneo – aderisca chi vuole:

A noi non basta non vedere Berlusconi a palazzo Chigi per affermare che qualcosa è cambiato.

Noi vogliamo cambiare rotta.

Noi pensiamo che Bossi se ne debba andare per le sue opere politiche e non solo per aver fregato un po’ di soldi. E lo disprezziamo di più per aver chiamato «ladroni» gli altri che per aver rubato lui.

Noi sappiamo che Monti è un nemico di classe e sappiamo che il conflitto di classe è vivo perché “chi ha” continua a praticarlo a spese di “chi non ha”.

Noi sappiamo che a volte è persino un problema, quando la gente cade per le cattive ragioni.

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Il fumetto «I soldi del Trota» è opera di Ronnie Bonomelli. È liberamente riproducibile senza fini commerciali, citando il nome dell’autore, secondo quanto previsto dalla licenza Creative Commons 3.0.

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