Astensione: il Quirinale risponde

Devis Venturini è stato il primo sottoscrittore della mia lettera aperta al Presidente della Repubblica (con la quale chiedevo il responso del Garante della Costituzione circa l’eventuale illegittimità dell’invito all’astensione al referendum propositivo del 18 novembre). È stato anche il primo a ricevere una risposta scritta da parte del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica. Con il suo consenso, la pubblico qui sopra come immagine.

La risposta del Quirinale conferma in sostanza ciò che pensavamo: innanzitutto insiste sul valore costituzionale del voto, definito «comportamento qualificante», necessario e socialmente rilevante; in secondo luogo, e senza fare distinzioni tra il referendum e altri tipi di elezioni, ricorda che il voto «viene considerato un dovere» civico del cittadino (art. 48 Cost. it.), per quanto il suo adempimento sia «affidato più alla coscienza, appunto civica, degli elettori che alla obbligatorietà del relativo comportamento, non assistita da efficaci sanzioni giuridiche».

L’astensione è dunque registrata come possibilità, e tuttavia degradata a comportamento non «qualificante», in opposizione al carattere di «necessità» e «rilevanza sociale» del voto. In altre parole, può capitare che l’elettore scelga di non recarsi alle urne senza essere per questo colpito da sanzioni giuridiche, ma la sua scelta si contrappone all’obbligatorietà di ciò che si profila come «dovere civico». Un comportamento tollerato, dunque, non un «diritto» dei sistemi democratici, come pretendeva la propaganda antireferendaria dell’attuale maggioranza di governo (Union Valdôtaine, Stella Alpina, Fédération Autonomiste, Pdl).

Sulla legittimità di tale propaganda, la risposta del Segretariato Generale non si addentra, ed è un peccato, perché proprio questa era la richiesta centrale della lettera aperta. Ho dunque scritto nuovamente al Presidente, chiedendo un ulteriore responso e insistendo sull’eventuale illegittimità dell’invito al non voto da parte di forze politiche con responsabilità di governo, nonché sull’aria pesante che in questi giorni si respira in Valle d’Aosta. Vi terrò aggiornati/e.

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Astensione, controllo, dimissioni, una legge promulgata dai cittadini e la lettera al presidente Napolitano


Ci ho messo un po’
, ma ecco le novità sulla lettera aperta al presidente Napolitano, nella quale chiedevo al Garante della Costituzione di pronunciarsi sulla legittimità (o meno) dell’invito all’astensione nel caso di un referendum.

Il riferimento, per chi non abitasse in Valle d’Aosta, è al primo refrendum propositivo in Italia ad aver raggiunto il quorum, e trasformato in legge la proposta popolare sottoposta al giudizio degli elettori. Domenica 18 novembre, 47.143 cittadini valdostani hanno approvato, direi promulgato, con il loro Sì una legge regionale che vieta qualsiasi tipo di trattamento a caldo dei rifiuti e che ha bloccato la realizzazione di un pirogassificatore, già decisa dalla Regione.

Oggi la proposta è legge.

Temendo di vedere fermato il proprio progetto, le forze politiche della locale maggioranza di governo – Union Valdôtaine, Stella Alpina, Fédération Autonomiste e Pdlavevano invitato all’astensione con tanto di cartelloni vergognosi che recitavano «In democrazia non votare è un diritto» (cosa che non mancherò di rinfacciare loro alle prossime elezioni regionali).

La mia lettera al presidente Napolitano, pubblicata sul blog, è stata firmata, senza che i media ne parlassero, da oltre 200 persone in pochi giorni. A nome mio e di tutti l’ho inviata al Quirinale come raccomandata (pubblico a fianco la prova di consegna che ho ricevuto). Al momento attuale, il presidente non ha risposto. Naturalmente, non mi aspettavo e non mi aspetto una sua nota personale. Credo tuttavia che sarebbe scorretto se il segretariato della presidenza della repubblica non degnasse della minima attenzione la richiesta di 200 cittadini.

Masi obietterà – il referendum è già passato e, quel che più conta, ha conseguito il quorum. Io credo che questo non sia un motivo valido per non pretendere una risposta, innanzitutto perché non è stata la prima e non sarà l’ultima volta che qualcuno cerca di boicottare un refrendum invitando i cittadini «responsabili» ad “andare al mare”. In secondo luogo perché, dopo la vittoria dei Sì, il clima che si respira in Valle è avvelenato dal rancore e dalle accuse di chi è stato battuto e ora se la prende con chi contestava la legittimità dell’invito all’astensione, ad esempio quegli insegnanti che hanno messo in evidenza il carattere di «dovere civico» del voto.

È di oggi, 27 novembre, la notizia delle dimissioni dell’assessore regionale all’istruzione e alla cultura, Laurent Viérin, e della sovrintendente agli studi, Patrizia Bongiovanni, messi sotto accusa dai vertici dell’Union Valdôtaine e dal presidente della Regione, Augusto Rollandin, per non aver saputo «governare» la scuola, impedendo prese di posizione degli insegnanti durante la campagna referendaria. La polemica verte, in particolare, sulle lettere degli insegnanti ai giornali, ritenute vere e proprie ingerenze politiche.

Mi sono andato a riguardare le lettere incriminate e ho trovato quanto segue: le perplessità (legittime) dei docenti della scuola media di Variney in merito alla contraddizione tra le politiche di riduzione dei rifiuti portate avanti dall’amministrazione regionale e il progetto del pirogassificatore; l’appello al voto (non a votare Sì) degli insegnanti dello scientifico di Aosta; la splendida lettera di un’insegnante di storia, educazione civica e filosofia del liceo classico di Aosta, Daria Pulz, che – proprio in quanto insegante di educazione civica – lamenta l’effetto inibente dell’invito al non voto sul desiderio di partecipazione dei nuovi maggiorenni.

Queste sarebbero le ingerenze politiche di noi insegnanti, insieme magari all’aver appeso qualche volantino nelle bacheche delle sale inseganti e insieme, eventualmente, a quella lettera al Capo dello Stato di cui stiamo parlando in questo articolo, da me peraltro inviata come semplice cittadino. Abbiamo fatto ciò che era nostro diritto e nostro dovere. E sono contento di poter riportare, per una volta, a difesa della mia professione, le parole dell’assessore competente che, nel rassegnare le proprie dimissioni, ha difeso «l’autonomia della scuola» dalle ingerenze – queste sì – della politica.

Queste e altre cose intendo ricordare, scrivendo ancora al sito della presidenza della repubblica, perché proprio l’equivoco sul ruolo del non votoassimilato al No – è alla base delle accuse incrociate di questi giorni.

>>> La vignetta è di Ronnie Bonomelli.

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Ilva: la prevalenza del profitto


La vicenda dell’Ilva ha davvero dell’incredibile: lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa è finalmente posto sotto sequestro, dopo aver contribuito pesantemente alla morte e alla malattia di migliaia di persone, esseri umani, cittadine e cittadini che il comune di Taranto, la regione Puglia e la Repubblica italiana avevano il dovere di tutelare. Lavoro in cambio della rinuncia al diritto fondamentale, quello alla salute, alla vita. L’ennesima prova che non è ideologico, che è tristemente vero, parlare di sudditanza del diritto alle “esigenze” del capitale, di chi fa impresa senza il minimo ritegno nell’infrangere le regole della legge e della democrazia. È la scuola dei Riva, alla quale si formano i Marchionne.

Dopo decenni d’inquinamento selvaggio e miglia di morti in una delle tante guerre non dichiarate del capitale alla popolazione e alla sua stessa forza lavoro, l’intervento – tardivo – della magistratura impone il blocco della produzione. L’azienda potrebbe ripartire, deve “solo” rimediare ai danni fatti, in base a un principio aureo troppo spesso dimenticato: “Chi rompe paga”. La risposta del padrone (non sono io che sono antiquato, in che altro modo chiamarlo?) è semplice: se non posso fare come voglio, chiudo la baracca e me ne vado altrove. Lasciando senza lavoro 12mila tarantini,  che diventano 25mila addetti, contanto gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e l’indotto, che rischiano di chiudere a catena.

Ma la legge? Quale sarà la punizione per il reo che scappa dopo avere fatto il danno? La soluzione, a non essere ideologici, sarebbe semplice: la società andrebbe costretta a pagare lo stipendio intero, per un certo numero di anni, a tutti i tuoi operai, produca o non produca. Il tutto in attesa di una reale soluzione: una vera bonifica del territorio interamente a spese della proprietà e un accordo serio sul rispetto dei limiti delle emissioni consentite. O, in alternativa, il sequestro di tutte le proprietà dell’azienda da parte dello Stato e il carcere per chi ha tenuto un comportamento irresponsabile. Potrebbe poi lo stabilimento ripartire come struttura pubblica, in attesa di una riconversione dell’area basata sulla differenziazione delle attività economiche.

Certo, né questo governo né l’Europa accetterebbero simili soluzioni, il che la dice lunga sull’Europa, sul governo e soprattutto sull’ideologia del mercato che mette il profitto al di sopra del diritto, sia esso alla salute o al lavoro. Ma mi si dica se sono soluzioni quelle che si leggono sui giornali: un intervento del governo volto ad aggirare quanto disposto dalla magistratura, permettendo la ripresa di parte della produzione in deroga alla decisione dei giudici e magari una bonifica – vera o di facciata non so – a spese dello Stato, cioè dei contribuenti. Casomai il padrone dovesse indispettirsi.

>>> Quella nella foto non è l’Ilva, ma l’aostana Cogne Acciai Speciali. Domanda retorica: per rispettati o meno che siano i limiti di legge, farà bene un’acciaieria in città, proprio sul fondo di una valle alpina stretta e lunga?

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Un anno dopo, Monti e a capo – di Rossana Rossanda (da Sbilanciamoci.info)


Ripubblico
un’analisi di Rossana Rossanda, che condivido interamente, sul ruolo negativo del governo Monti.

Si dica ciò che si vuole, ma l’austerità non è la soluzione alla crisi, quanto piuttosto un aggravio del problema, perseguito deliberatamente per avere mano libera nell’impoverire le masse a vantaggio di pochi.

La riproduzione dell’articolo è autorizzata a condizione di citare la fonte originale: www.sbilanciamoci.info.

Un anno dopo, Monti e a capo
di Rossana Rossanda
23/11/2012

È giusto un anno che il parlamento italiano, auspice il presidente della repubblica, si è consegnato mani e piedi a un illustre “tecnico” e al governo da lui interamente scelto (se no non avrebbe accettato l’incarico) per smettere con le fanfaluche politiche e risanare i conti del nostro bilancio, primo fra tutti l’indebitamento. Si sa che la politica non è “oggettiva”, quando va bene risponde a una parte sociale, quando va male risponde a interessi privati, mentre la “tecnica” non guarda in faccia a nessuno, è neutra e, come il professor Monti ama ripetere, è assolutamente super partes.

Risultato? L’analisi di Pitagora, (L’anno perduto di Mario Monti”, Sbilanciamoci.info 20 novembre 2012) ha dimostrato nel modo che più chiaro non potrebbe essere, che il nostro debito è aumento, crescita, occupazione ed entrate pubbliche sono calati. (E non parliamo del contorno di corruzione che sembra incrostato nelle nostre istituzioni, non è per colpa specificamente di questo governo). I fautori delle somme e delle sottrazioni contabili possono soltanto dirci: «È vero. Niente di fatto. Ma se non avessimo applicato questa terapia da cavallo chissà dove saremmo finiti. E avremmo dovuto chiedere un prestito accettando di passare sotto il controllo della troika, cosa che il nostro premier, essendo uno della stessa famiglia, ha evitato». Dunque il debito è cresciuto ma politicamente a bocce ferme; l’equilibrio sociale fra chi ha e chi non ha non è stato toccato.

E invece no. L’essere Monti e il suo governo super partes, senza il fardello delle ideologie, ha preteso che alcune parti, che sarebbero state finora favorite, cioè i meno abbienti, abbiano pagato più delle altre, in soldi e diritti. Oggi siamo informati che il governo tecnico sta riuscendo ad abolire quel che nemmeno a Berlusconi era riuscito, Continua a leggere

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Mediaset, ritira la denuncia contro il giornalista Pablo Herreros – da Change.org


Vittoria! Mediaset ha ritirato la denuncia contro Pablo Herreros (a dimostrazione che la mobilitazione serve)!

Che cosa succede oggi a toccare il presunto diritto a perseguire il profitto in tutti quei modi che non sono espressamente proibiti dalla legge? Che ti becchi una denuncia con la quale chi hai costretto a chiudere una trasmissione televisiva facendo fuggire gli sponsor chiede 3,7 milioni di euro di danni per sé e 3 anni di carcere per te.

Il fatto avviene in Spagna, di mezzo c’è Telecinco, la rete iberica di Berlusconi. Perché la moda italiana non teme la crisi: in Europa esportiamo il bavaglio.

Copio e incollo questa petizione dal sito Change.org.

Mediaset, ritira la denuncia contro il giornalista Pablo Herreros – da Change.org

Nel novembre 2011 un programma della spagnola Telecinco (società del gruppo Mediaset) decide di pagare 10mila euro per intervistare la madre di uno degli imputati dell’assassinio di Marta Del Castillo, 17enne sivigliana uccisa da un ex fidanzato e un amico, e il cui corpo non è mai stato ritrovato.

All’opinione pubblica spagnola, molto sensibile su questo tema, non è affatto piaciuto che questa emittente abbia dato 10mila euro alla madre di uno degli assassini della giovane. Il blogger Pablo Herreros disgustato dalla trasmissione lanciò un appello su Change.org affinché gli inserzionisti del programma si ritirassero, per non essere confusi con un programma «che paga gli assassini per intervistarli». All’appello aderirono decine di migliaia di persone in poche ore tanto da convincere alcuni dei più grandi marchi presenti in Spagna, a ritirare i propri spot dal programma. Poche settimane dopo il programma, La Noria, venne definitamente chiuso.

L’emittente Telecinco, fondata da Silvio Berlusconi nel 1989, non è nuova a pesanti cadute di stile tanto da meritarsi l’appellattivo di “telebasura” (tv spazzatura). Mediaset, piuttosto che scusarsi con i propri telespettatori per l’ennesima figuraccia, questa settimana ha denunciato per «minacce e coercizione nei confronti degli inserzionisti» il blogger Pablo Herreros e chiede 3,7 milioni di euro e 3 anni di carcere.

E così quel virus tutto italiano del “bavaglio” e della cancellazione delle voci sgradite e fuori dal coro che qualcuno in Italia vorrebbe trasformare in legge dello Stato sta contagiando anche altri Paesi europei, tra cui, per l’appunto, la Spagna. E chi si permette di rivendicare il primato dell’etica e della deontologia professionale su quello del denaro e della speculazione sulle tragedie viene denunciato, intimidito, per costringerlo al silenzio.

Sono Stefano Corradino, direttore di Articolo21, un giornale on line che da oltre dieci anni si batte per un’informazione libera e autonoma, né sotto dittatura né sotto dettatura. Per questa ragione anche dall’Italia, Paese che conosce bene il padrone di Telecinco e le sue crociate contro la libertà di informazione, ho deciso di lanciare questa petizione a sostegno del blogger Herreros e del suo diritto alla critica e alla libertà di espressione chiedendo che i vertici di Mediaset ritirino subito la denuncia.

Se in Italia il servizio d’ordine mediatico di Berlusconi chiede che Sallusti non vada in carcere quantomeno per coerenza dovrebbe rifiutare la galera anche per il collega spagnolo.

Firma la petizione.

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Italia e Colombia, una relazione pericolosa – di Antonio Mazzeo


L’articolo che segue
è tratto dal blog di Antonio Mazzeo, a conferma – se mai ce ne fosse bisogno – che nel nostro Paese l’articolo 11 della Costituzione è morto.

A proposito. Qualche anno fa avevo lanciato una petizione online per restituire l’antico nome di Ministero della Guerra, sicuramente meno ipocrita, a quello della Difesa. Non aveva avuto un gran successo, ma comunque è ancora firmabile (mea culpa: siccome avevo utilizzato una piattaforma commerciale, firmando riceverete qualche e-mail promozionale, ma in fondo è sufficiente contrassegnarle come spam).

Italia e Colombia, una relazione pericolosa
di Antonio Mazzeo.

A partire dal prossimo anno i militari italiani verranno addestrati nella selva colombiana all’esecuzione di «operazioni speciali». Ad annunciarlo è stato il ministro della difesa della Colombia, Juan Carlos Pinzón, rientrato a Bogotà dopo un tour in Europa nel corso del quale – lo scorso 5 novembre – ha avuto modo d’incontrare a Roma il ministro-ammiraglio Giampaolo Di Paola. Secondo una nota diffusa dal nostro governo, i due ministri hanno discusso, in particolare, sullo «sviluppo delle relazioni nel settore della Difesa e della collaborazione industriale tra Italia e Colombia», anche in vista della firma di un accordo quadro di cooperazione fra le rispettive forze armate. Il ministro Pinzón ha rivelato che oltre alle esercitazioni nella selva dei corpi d’élite del paese partner, dal 2013 il personale militare colombiano sarà ospite delle scuole di guerra dello Stato maggiore italiano.

«Si tratta di una notizia di per sé inquietante, tanto più che il ministro colombiano, con l’avallo del governo, è seriamente intenzionato a portare avanti un’amnistia generalizzata per i crimini di lesa umanità perpetrati senza soluzione di continuità dalle forze armate», ha commentato l’Associazione Nuova Colombia ricordando come nel paese sudamericano è in atto da mezzo secolo un sanguinoso conflitto interno e che le forze militari e di sicurezza si sono macchiate di una lunga serie di crimini e violazioni dei diritti umani. «Pinzón – ha aggiunto l’associazione – afferma di voler offrire le conoscenze e l’esperienza della forza pubblica colombiana a paesi come l’Italia, omettendo di aggiungere che tali conoscenze spaziano dal campo della tortura, quotidianamente praticata nelle carceri colombiane, a quello della corruzione e delle esecuzioni extragiudiziarie…». Continua a leggere

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Orwell non ce l’avrebbe fatta

Rispondo alla «lettera firmata» (non mi è dato sapere da chi) sul tema del referendum contro il pirogassificatore pubblicata oggi, 23 novembre, sulla Stampa Valle d’Aosta.

Rispondo a titolo del tutto personale, come sostenitore della campagna referendaria e del Sì e anche come insegnante (categoria chiamata in causa dal misterioso autore), perché non ho potuto leggere la lettera – un coacervo di ignobili bugie – senza fremere d’indignazione per la mistificazione sistematica di quanto accaduto nelle scorse settimane durante il processo di partecipazione e impegno culminato nel voto di domenica.

Orwell, inventore della Neolingua, non sarebbe arrivato a tanto.

Ho inviato la mia risposta alla Stampa.

Apprendo dalla «lettera firmata» pubblicata sulla Stampa del 23 novembre che la campagna per il Sì al referendum è stata «violenta» e ha generato, in Valle, una «brutta atmosfera». Quali sono gli atti di violenza imputati ai referendari? L’avere impedito al cittadino, attraverso «slogan» falsi, di accedere a un’informazione corretta. L’avere utilizzato «immagini scioccanti». L’aver creato «allarmismo immotivato» nei confronti del pirogassificatore. Già, perché l’impianto era «obiettivamente non dannoso» (ce lo assicura il mittente anonimo!), e gli oncologi che hanno espresso pubblicamente la loro apprensione per la salute umana hanno violato la deontologia professionale, come del resto quegli insegnanti che, da educatori, hanno ribadito il dovere civico del voto (che è cosa diversa dal fare propaganda per il Sì). Naturalmente, tanta animosità nei confronti di una struttura i cui rischi sono stati ampiamente esposti da tecnici e scienziati, con i quali i fautori del progetto non hanno mai accettato il confronto, non può non essere sospetta. «Non voglio vedere certe persone nelle prossime liste elettorali», ordina infatti il misterioso autore, dando per scontata la futura candidatura di chi si è battuto per una gestione virtuosa dei rifiuti. Che l’obiettivo primario non fossero le elezioni del 2013, tuttavia, è stato dimostrato dopo la vittoria dallo stesso Comitato, quando i “violenti” hanno deciso di appesantire ulteriormente la «brutta atmosfera» post voto… tendendo la mano alla Regione, nel tentativo di istituire un tavolo tecnico che di fatto avrebbe sottratto il tema dei rifiuti alla propaganda elettorale per le regionali. Una volta tanto, su un obiettivo che ci riguarda tutti, si sarebbe potuto lavorare insieme, ma chi governa ha scelto un’altra strada, assumendosi così l’onere di dimostrare, entro la fine della legislatura, di sapersi attrezzare per realizzare il migliore smaltimento possibile dei rifiuti all’interno del nuovo scenario determinato dal voto dei valdostani.

Mario Badino
Aosta

>>> PS: Chi volesse leggere la lettera alla Stampa la può scaricare QUI in formato pdf.

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