Ilva: la prevalenza del profitto


La vicenda dell’Ilva ha davvero dell’incredibile: lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa è finalmente posto sotto sequestro, dopo aver contribuito pesantemente alla morte e alla malattia di migliaia di persone, esseri umani, cittadine e cittadini che il comune di Taranto, la regione Puglia e la Repubblica italiana avevano il dovere di tutelare. Lavoro in cambio della rinuncia al diritto fondamentale, quello alla salute, alla vita. L’ennesima prova che non è ideologico, che è tristemente vero, parlare di sudditanza del diritto alle “esigenze” del capitale, di chi fa impresa senza il minimo ritegno nell’infrangere le regole della legge e della democrazia. È la scuola dei Riva, alla quale si formano i Marchionne.

Dopo decenni d’inquinamento selvaggio e miglia di morti in una delle tante guerre non dichiarate del capitale alla popolazione e alla sua stessa forza lavoro, l’intervento – tardivo – della magistratura impone il blocco della produzione. L’azienda potrebbe ripartire, deve “solo” rimediare ai danni fatti, in base a un principio aureo troppo spesso dimenticato: “Chi rompe paga”. La risposta del padrone (non sono io che sono antiquato, in che altro modo chiamarlo?) è semplice: se non posso fare come voglio, chiudo la baracca e me ne vado altrove. Lasciando senza lavoro 12mila tarantini,  che diventano 25mila addetti, contanto gli stabilimenti di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e l’indotto, che rischiano di chiudere a catena.

Ma la legge? Quale sarà la punizione per il reo che scappa dopo avere fatto il danno? La soluzione, a non essere ideologici, sarebbe semplice: la società andrebbe costretta a pagare lo stipendio intero, per un certo numero di anni, a tutti i tuoi operai, produca o non produca. Il tutto in attesa di una reale soluzione: una vera bonifica del territorio interamente a spese della proprietà e un accordo serio sul rispetto dei limiti delle emissioni consentite. O, in alternativa, il sequestro di tutte le proprietà dell’azienda da parte dello Stato e il carcere per chi ha tenuto un comportamento irresponsabile. Potrebbe poi lo stabilimento ripartire come struttura pubblica, in attesa di una riconversione dell’area basata sulla differenziazione delle attività economiche.

Certo, né questo governo né l’Europa accetterebbero simili soluzioni, il che la dice lunga sull’Europa, sul governo e soprattutto sull’ideologia del mercato che mette il profitto al di sopra del diritto, sia esso alla salute o al lavoro. Ma mi si dica se sono soluzioni quelle che si leggono sui giornali: un intervento del governo volto ad aggirare quanto disposto dalla magistratura, permettendo la ripresa di parte della produzione in deroga alla decisione dei giudici e magari una bonifica – vera o di facciata non so – a spese dello Stato, cioè dei contribuenti. Casomai il padrone dovesse indispettirsi.

>>> Quella nella foto non è l’Ilva, ma l’aostana Cogne Acciai Speciali. Domanda retorica: per rispettati o meno che siano i limiti di legge, farà bene un’acciaieria in città, proprio sul fondo di una valle alpina stretta e lunga?

Questa voce è stata pubblicata in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura) e contrassegnata con , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.