Leggo sul sito dell’ansa che in Siria una bambina di 8 anni è stata fatta saltare, in un attentato, con una carica esplosiva in vita.
Mi accorgo, dolorosamente, che «in vita» ha due significati.
Fatta saltare. In vita.
Leggo sul sito dell’ansa che in Siria una bambina di 8 anni è stata fatta saltare, in un attentato, con una carica esplosiva in vita.
Mi accorgo, dolorosamente, che «in vita» ha due significati.
Fatta saltare. In vita.
Non sto andando da nessuna parte, a meno che non stiate pensando alle vacanze di Natale.
Io sto pensando al viaggio che sogno, «fare l’Italia a piedi», come ho scritto da qualche altra parte, anche se poi mi arrendo alla prosa delle solite giornate, e chissà se se ne farà mai qualcosa.
Ma realtà o sogno, sarebbe bellissimo percorrere l’Italia a piedi, nel senso della latitudine, dalla Sicilia alle Alpi, e poi, longitudinalmente, dalla Liguria al Friuli.
Bisognerebbe trovare:
E poi mi viene in mente Paolo Rumiz, che a piedi ha fatto la via Appia, da Roma a Brindisi, e ha raccontato il viaggio nel bel libro «Appia».
E mi vengono in mente i cani, che spesso mi fanno paura. E le macchine lanciate a sfiorarti, se appena sbagli il percorso.
E diventa facile smarrire la voglia di andare.
Un mondo simpaticamente fondato sul profitto delle imprese, delle banche, dei fondi di investimento chiede di cambiare la Costituzione – le regole del gioco – a un popolo (o a un insieme di individui) sempre più convinto che non ci sia problema nel fatto che lo Stato rinunci alle proprie prerogative nel regolare e nell’organizzare, come se per il cittadino potesse essere positivo affidare i servizi di base, dalla sanità all’istruzione, a mani mercenarie, istituti privati, aziende.
Assurdo che vogliate il nostro benestare
per la finanziarizzazione della vita,
assurdo che vogliate questa vita
fatta di passeggiate in centri commerciali.
La riforma costituzionale, ci dicono, dovrebbe rendere più moderno il Paese, consentendo al governo di decidere più in fretta.
Il problema, a me sembra, è il modello di riferimento, di questo esecutivo, come di qualunque governo dei decenni passati e – temo proprio – di quelli a venire. Di liberismo si muore: morire più in fretta è un vantaggio? Io scelgo di difendere la natura parlamentare della nostra Repubblica, la possibilità di prendersi il tempo necessario a riflettere, il non voler decidere da soli, calando dall’alto del proprio scranno decisioni con cui faranno i conti i cittadini.
Chiedere alle vetrine la stagione, il tempo,
vegliare l’anno al caldo artificiale, al freddo
delle bocche di condizionamento,
tenere fuori il vento, la luce naturale.
Il 4 dicembre voterò NO (#1).
Perché, direte, questa? Qual è il significato? E perché no, del resto?
Quale significato?
«Vorresti accompagnarmi per il bagno?»
Mi piacerebbe, ma lo stagno inghiotte.
Conosco gente morta dentro al fango
per essersi tuffata da incosciente,
come se le avvertenze dei cartelli
non fossero evidenti.
Ma tu che ci vai a fare?
Non temi che lo stagno ti risucchi
e ti costringa a vivere di sotto,
insieme ai rospi, ammesso che quei rospi
che sento gracidare siano sotto?
E forse non c’è vita sotto il fango.
[Mario Badino, 17 novembre 2016]
Succede di leggere di 239 persone disperse dopo il naufragio di un barcone al largo delle coste libiche (3 novembre) e di faticare a trovare la notizia nei siti di “informazione”.
Succede che l’ordine delle notizie importanti sia dettato da altre considerazioni, tipo l’incidenza di un convegno sulla tenuta del governo o sul voto del 4 dicembre.
Succede che ci stiamo abituando al naufragio, tanto dei «migranti» (immigrati, stranieri, rifugiati… loro, insomma: gli altri da noi) quanto di quei valori che avevano fatto dell’occidente un bel posto in cui vivere.
Per ragioni personali, chi scrive si muove sulla diagonale d’Italia sud-est/nord-ovest, tra la Puglia e la Valle d’Aosta. Questo sabato, 5 novembre, il giornale di notizie online MesagneSera ha pubblicato una breve di tre (tre!) righe nella quale si annuncia il possibile arrivo di migranti a Mesagne (Brindisi).
Secondo il sito, che però usa il condizionale, «ne dovrebbero arrivare 37». Titolo dell’articolo: «Migranti in arrivo, cresce la tensione», quasi che per le vie della città fossero in preparazione le barricate, come a Goro e Gorino. E immediatamente su Facebook, sotto il link all’articolo, spunta un commento in cui proprio le barricate si invocano, «come hanno fatto in diversi paesi in Italia».
In Valle d’Aosta, invece, la mattina di domenica 6 è arrivata una trentina di richiedenti asilo proveniente dall’Iraq. Il sito di informazione AostaSera, in un articolo assolutamente equilibrato, rileva come per la prima volta (la prima per la Valle) il gruppo sia «composto anche da nuclei famigliari, includendo quindi donne e bambini».
Anche in questo caso la notizia viene accolta su Facebook da commenti di tenore opposto, con messaggi di benvenuto, ma anche di insofferenza, egoismo, rifiuto. E anche in questo caso si punta il dito con chi non viene per lavorare, ma per rubare o vivere a spese dello Stato, e si guarda con favore alle barricate della provincia di Ferrara.
Insomma, da un lato il battere ossessivo su loro che non lavorano e restano tutto il giorno senza far niente, a differenza degli italiani che sono emigrati ed emigrano per lavorare, ignorando probabilmente che è la legge italiana a impedire ai richiedenti asilo di svolgere attività lavorative per i primi sei mesi di permanenza, in attesa che la richiesta sia esaminata.
Dall’altro lato, l’assoluta incapacità da parte di persone che si sentono più fragili e impoverite rispetto a qualche anno fa di individuare i veri responsabili della situazione, fino a proporre le barricate per fermare, nel nome della nazionalità, gente ancora più disgraziata e bisognosa di loro. Il tutto senza smettere di credere alle ricette miracolose dei soliti noti, quelli, per intenderci, che hanno causato la crisi economica, tutte le ultime guerre, l’Isis e chi più ne ha più ne metta.
Di fronte a un sistema che non garantisce felicità, pace e benessere agli abitanti del pianeta, né quelli dei Paesi ricchi, né tantomeno quelli dei Paesi poveri, invece di invocare il filo spinato e i muri dovremmo provare a immaginare un nuovo modello economico e sociale. E poi applicarlo, in barba all’economia ufficiale che mette gli esseri umani gli uni contro gli altri, nel nome del profitto.