L’Italia che cambia

 Porto Selvaggio (Lecce)
 
 Qualche giorno di riposo (mare, mare, mare, al limite dell’ustione) e tanto materiale arretrato da citare, almeno di sfuggita. Nessun rallentamento estivo, innanzitutto, e nonostante il caldo, nell’opera di trasformazione del Paese portata avanti da Silvio Berlusconi, all’insegna della demolizione della Costituzione e dello Stato sociale, della deregolamentazione (e liberalizzazione) spinta nei vari ambiti del vivere economico e civile. Mutazioni che rischiano di pesare e durare nel tempo, condizionando il futuro (non solo) prossimo del Paese; mutazioni di cui si renderà conto – in queste pagine – nello spazio «L’Italia di B. – Il Paese nel Sacco», di prossima apertura.
 
 Restando in Italia, il Belpaese che «ripudia la guerra» (art. 11 Cost. it.), vale la pena di mettere in evidenza l’aumento dei fondi per le missioni militari, inserito in una finanziaria che prevede «tagli» per quasi tutto il resto, dagli assegni sociali per gli immigrati all’istruzione, all’editoria, alla cooperazione e persino ai ministeri. Come anche risulta opportuno citare la decisione del Consiglio di Stato che, lo scorso 29 luglio, ha annullato la sospensiva dei lavori per la costruzione della base Usa al Dal Molin di Vicenza, decretata circa un mese prima dal Tar del Veneto.
Certo, il consenso presentato dall’allora governo Prodi all’amministrazione americana «risulta espresso soltanto oralmente e appare estraneo ad ogni regola inerente all’attività amministrativa» (così il Tar), ma il Consiglio di Stato ha stabilito l’insindacabilità «a livello giurisdizionale» del potere politico, il tutto in base a un Regio Decreto del 1924 (!), mai abolito, strumento utilissimo per imporre l’interesse di pochi su quello di tutti. «Sempre più secretate» sono del resto «le decisioni in materia di energia, termovalorizzatori, siti nucleari e militari, anche se esse riguardano la vita e il futuro di migliaia e più di cittadini», come rilevano i Comitati Riuniti Rifiuti Zero di Treviso e Venezia in un intervento sul manifesto del 6 agosto. Continua a leggere

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Vite precarie. Per sempre

 
Strada san Vito, Mesagne

 

 
1) Antefatto: la «città fantasma»

 
 Domenica pomeriggio, Mesagne, Puglia. Giornata di sole, fa caldo. Esco lo stesso (lo so, sono un po’ scemo) a fare due passi verso le quattro del pomeriggio. Percorro la via di San Vito lungo un marciapiede infuocato, raggiungo il passaggio a livello e proseguo per la stazione lungo i binari. Dalla piazza della stazione (meno animata da quando non c’è più la biglietteria) seguo la via che porta alla Villa, il parco comunale. Tra la temperatura e il fatto che è domenica, in questo dopopranzo Mesagne è una città fantasma. Il silenzio è totale: restano in silenzio anche gli uccelli sugli alberi. Non mi perdo d’animo e continuo, passo dopo passo. Le uniche persone che incontro sono sedute davanti alle case, a piccoli gruppi, laddove il marciapiede è in ombra. Il resto della cittadinanza dev’essere al mare. O in campagna.
 
 2) Cambiare l’Italia
 
 Domenica sera. Con un certo ritardo (quello di chi rifiuta di farsi indottrinare dal telegiornale) apprendo dell’esistenza di un emendamento alla manovra finanziaria che apre la porta alla precarietà a vita. In Italia lo statuto dei lavoratori permette la stipula di contratti a tempo determinato soltanto ove esistano ragioni organizzative e produttive che rendono necessario un limite temporale. Continua a leggere

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Beati gli ultimi?

 
 
 
Premetto.
In cerca d’immagini per commentare questo post, ho trovato un manifesto
di Forza nuova decisamente vergognoso. Lo pubblico come testimonianza
del livello raggiunto, ovviamente non lo condivido. Lo ritengo,
innanzitutto, falso: la maggioranza degli stupri avviene in famiglia. Gli stupri in strada non riguardano in maniera particolare i rom. Gli italiani non sono brava gente (e lo dimostrano continuamente). Forse non usare questa immagine sarebbe stato più corretto, ma non si può non raccontare il tipo di propaganda (e di disinformazione) che si permette un partito oggi legale.
 
 Stamattina mi sono tuffato nelle acque trasparenti dello Ionio, dove
ho sguazzato beato e giocato a pallone. All’improvviso, mentre me ne sto a mollo, ecco un elicottero e per un istante m’immagino
altrove, in qualche Paese meno fortunato. Se l’elicottero volasse per
altri motivi, per fare la guerra, magari, e provvedesse a mitragliare,
o a bombardare la spiaggia, non avrei scampo col mare che mi arriva al
collo. A volte mi capita di pensare che per noi abitatori d’Occidente
certe situazioni sarebbero un trauma paralizzante: si veda lo shock
post 11 settembre e l’isteria della reazione americana. Esistono Paesi
in cui quelle condizioni sono normali
(se mai è possibile abituarsi a
un velivolo che compare in cielo e ti scatena addosso la morte, o anche
solo a un treno o a una lettera che partono regolarmente, ma non sai se
giungeranno a destinazione). Non trovo così strano che le vittime di
queste situazioni vogliano andarsene, che debbano scappare lontano,
magari proprio in quei Paesi ricchi che spesso sono i primi
responsabili della loro insicurezza. Di qui – e dalla fame – la
necessità dell’emigrazione, trauma che si aggiunge a trauma e non
scanzonata conquista dell’Eldorado da parte di parassiti della società.
E siccome buona parte del mondo affonda nella miseria, non c’è da
mangiare e neanche da bere per tutti e le guerre continuano a
falcidiare i Paesi più poveri ecco che nel corso del 2007 sono sbarcati
in Italia, pensate un po’… 20.455 immigrati! 20 mila persone, tutto lì.
Ecco i numeri della grande invasione, quella per la quale giusto ieri
il governo Berlusconi ha proclamato lo stato d’emergenza su tutto il
territorio nazionale
. In Valle d’Aosta la polizia è appostata sulle
rive della Dora Baltea, dietro i cespugli, per prevenire gli sbarchi.
Soldati sommozzatori inviati da La Russa perlustrano i canali di
Venezia per impedire ai clandestini di attaccarsi alla chiglia delle
gondole. [NB: Poiché viviamo in epoca di disinformazione e di denunce
facili, tengo a precisare di aver inventato gli esempi relativi alla
Valle d’Aosta e a Venezia; lo stato di emergenza su tutto il territorio
nazionale, invece, è stato purtroppo dichiarato davvero, NdA
]. Il nuovo
provvedimento voluto da Maroni avrebbe lo scopo di permettere una
migliore gestione dei flussi di clandestini che arrivano sulle nostre
coste. Erano 12.419 nei primi sei mesi del 2007, sono stati 11.949 nel
primo semestre di quest’anno
. Hai visto l’emergenza! Continua a leggere

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NOTE PER LA RESISTENZA (2)

 Villa Cavaliere, Mesagne
 
 L’altro ieri, giovedì, nel parco di Villa Cavaliere di Mesagne, concerto dei BOOMdaBASH, gruppo reggae locale oggi in piena ascesa, reduce da un album che ha venduto 1500 copie in una settimana e da un concerto con gli Africa Unite; ospite sul palco, Treble, ex Sud Sound System, che tra l’altro duetta in una traccia del cd. Se si esclude la cinquantina di volte in cui i vari componenti hanno tenuto a gridare il nome della loro città (polemizzo, evidentemente, solo per il gusto di polemizzare), è stato uno spettacolo molto bello, cantato in un misto continuo d’inglese e dialetto, con grande partecipazione da parte del pubblico e trasporto per una band che non si è certo risparmiata. Non sono mancati i contenuti sociali, per ciò che la mia scarsa padronanza della lingua mi ha consentito d’intuire, con accenni alla Sacra Corona, alla mafia in genere e altre situazioni d’ingiustizia. Piccolo esempio: «Adesso c’abbiamo un governo che ci chiama terroni», ha gridato uno dei cantanti sul palco, presentando la canzone Mare, «però poi al mare vengono tutti quaggiù». Faccio il gioco delle associazioni mentali e penso a Umberto Bossi che mostra il dito medio durante l’inno di Mameli. L’inno è brutto, per carità; io poi non riesco a tollerare l’idea stessa di nazionalismo. Non per questo mi sento di apprezzare l’arroganza di chi incita più o meno apertamente al separatismo nel nome del privilegio di una parte, naturalmente la propria, quella ricca, quella che spesso i soldi li ha fatti sulla pelle dell’altra. E poi magari il separatista è anche Ministro della Repubblica. Faccio il gioco delle associazioni mentali e vedo i nuovi «terroni», gli immigrati vittime del decreto sicurezza da poco approvato al Senato (e quindi legge dello Stato), che ha introdotto l’«aggravante di clandestinità»: oggi, se commetto un reato io, rischio meno rispetto a un immigrato irregolare che si sia macchiato della stessa colpa, con buona pace dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani. I primi leghisti, quelli che «ce l’avevano duro» e gridavano «terrone» ai meridionali, erano razzisti, o come tali si comportavano. Il nuovo razzismo, però, è più grave, perché istituzionalizzato: il decreto sicurezza rende “normali”, legalizza, certi atteggiamenti xenofobi diffusi; le impronte prese ai rom promuovono nella mente di tanti quell’idea di differenza razziale negata tanto dalla scienza quanto dalla Costituzione e responsabile delle peggiori tragedie del Novecento.
 
 È bella la notte mesagnese nel parco di Villa Cavaliere. La gente si diverte, beve birra, parla. Sul palco, intanto, i BOOMdaBASH offrono un grande spettacolo. Non capisco bene i testi, ma sembrano scritti col cuore, mi fanno pensare che ancora è possibile pensare, dire la propria, almeno in musica. Che forse la resistenza passa pure di qua.
 


 La foto di quest’articolo ritrae un particolare di Villa Cavaliere, Mesagne (Brindisi). Se l’immagine non è granché è perché sono senza macchina fotografica. Mi sono ridotto a scattarla, passando per strada, con la videocamera del portatile….
 

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Wild Boys!

 
 
Duran Duran
 
 
1) Wild Boys
 
 
Premessa numero 1:
questo articolo inizia in maniera un po’ più frivola del solito. Premessa numero 2: sono in vacanza a Mesagne (Brindisi) insieme a Silvia. Ieri, con Alessandra e Maurizio, una coppia di amici, siamo andati fino a Napoli per il concerto dei Duran Duran, che doveva tenersi all’Arena Flegrea. Tre ore e mezza di viaggio attraverso la Puglia, il Beneventano e l’Avellinese, ammirando le pale eoliche sulle colline, sogno inconfessabile di un don Chisciotte ambientalista, poi l’autostrada scende verso il mare e c’introduce nel traffico della tangenziale partenopea, finché finalmente raggiungiamo l’uscita n. 10 (Fuorigrotta), il nostro Bed & Breakfast e, a seguire, la pizza. Ci avviamo trulli trulli, a piedi, verso la Fiera d’Oltremare, raggiungiamo i cancelli… E non troviamo nessuno, fatta eccezione per quattro o cinque persone ferme a parlare. «Il concerto è stato annullato», ci dicono. Pensiamo a uno scherzo: com’è possibile che un concerto di quelle dimensioni sia annullato senza che si sappia niente? Ma i guardiani presenti al cancello confermano e aggiungono che si sapeva già da venerdì. «A noi hanno venduto i biglietti sabato», dicono due dei presenti. Lo scoramento è generale, ma c’è poco da fare. Un’auto si ferma, ci chiedono del concerto. «Annullato», rispondiamo. «Wild Boys!», commenta uno, all’interno della macchina. Ridiamo tutti. I fan più accaniti (le fan più accanite?) sono i più delusi. Continua a leggere

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Genova, il processo per Bolzaneto e una testimonianza di Alex Glarey

Genova, G8 - Carica di poliziaGenova, G8 - Carica di polizia 
 
30 assolti su 46 imputati e in più pene lievissime, che presto saranno cancellate dalla prescrizione: si conclude così il primo processo alle forze dell’ordine macchiatesi di tortura nella caserma di Bolzaneto ai tempi del G8 di Genova. A distanza di sette anni (proprio in questi giorni cade l’anniversario) le ferite inferte alla democrazia non si sono ancora rimarginate. Del resto, chi ha sferrato i calci e i pugni, chi ha costretto i fermati ad attendere per ore in piedi e ha loro imposto di cantare: «Uno due tre, viva Pinochet» e «Duce, Duce», chi si è macchiato di quella che, secondo Amnesty International, è «la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale», è ancora al proprio posto, a tutela dell’ordine pubblico, quando non ha fatto direttamente carriera. Fino a oggi, le forze dell’ordine non sono state ripulite dalle «mele marce» e chi al tempo ricopriva la carica di Ministro degli Interni ha solo cambiato Ministero. I massacri, alla fine, resteranno impuniti. Ciò nonostante, ha ragione Vittorio Agnoletto, all’epoca portavoce del Genoa Social Forum, quando afferma di ritenere «positivo il riconoscimento dei reati e delle vittime attraverso i risarcimenti e il fatto che i ministeri siano chiamati in solido a rispondere». Secondo Agnoletto, inoltre, «le assoluzioni per insufficienza di prove riconoscono la gravità dei fatti anche se si tende a diminuire la portata delle responsabilità individuali».
 
 Di fronte all’orrore, i risultati del processo genovese suonano insultanti. Ma non si può fare a meno di condividere il parere di Agnoletto almeno su un punto. Certo, i «cattivi» non pagheranno, l’«esempio» non sarà dato e questo, specie nell’attuale clima politico, non potrà che avere ripercussioni negative sulla società italiana. Ma, almeno, una cosa è stata detta: le forze dell’ordine si sono comportate male. Oggi è assodato. È un dato di fatto. E scrivo queste parole pensando a tutte quelle persone, che pure stimo, convinte che i fatti del G8 siano stati una questione di ordine pubblico reso impossibile da tutelare dalla violenza dei manifestanti, o magari dal fatto che il governo aveva accettato di trattare con i vari Casarini, per essere poi da questi «tradito». L’ho sentito dire tante volte, anche a persone intelligenti e buone. Che la sentenza di Genova, del tutto insufficiente a rendere giustizia, serva almeno a questo, allora: a mettere nero su bianco, una volta per tutte, che in una democrazia il comportamento delle forze dell’ordine non può essere quello dei delinquenti (veri o presunti) e che ci sono regole che bisogna rispettare. Certo, la pratica è in grado di schiacciare la teoria e la promozione di molti fra i torturatori parla più forte delle condanne emesse. Per questo sta a noi ricordare, parlare, tenere viva la memoria e rendere testimonianza di quanto è accaduto, ma anche vigilare per fare in modo che non si ripeta alla Maddalena, magari, oppure in Val di Susa.
 
 Alcuni mesi fa, ho chiesto a Alex Glarey, che ai tempi del G8 era il portavoce dell’Aosta Social Forum, di scrivere intorno a quei giorni un testo «suo». Nonostante si fosse in piena campagna elettorale (Alex era candidato nella lista dell’Arcobaleno per le elezioni regionali della Valle d’Aosta), il testo è arrivato, ma io, preso da mille cose, ho sempre dimenticato di pubblicarlo. Rimedio ora, sperando che possa essere un contributo per non dimenticare. E per «resistere», come dice Alex.
 



 Il testo di Alex:
 

 «Genova. Solo chi è stato in quelle strade può capire», dice il collettivo di narratori Wu Ming. E hanno ragione. Continua a leggere

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Ieri in piazza. Prendiamoci le mani, non le impronte!

 


 
 
Ieri 14 luglio alle 17.30 in piazza Chanoux ad Aosta si è tenuta un’iniziativa in solidarietà con la popolazione rom, oggetto del progetto di schedatura del ministro Maroni, contro il quale si è recentemente espresso anche il Parlamento europeo. Ho pubblicato altrove l’appello, cui rimando, firmato da Acli, Arci, Legambiente, Emergency VdA, Arci Gay, Associazione dei Migranti. Quel che è successo, in breve, è che abbiamo chiesto ai cittadini di lasciare le loro impronte per protesta. Ne abbiamo raccolte più di 150. Tutte le impronte saranno inviate a Maroni, come sta accadendo anche nelle altre città d’Italia. Al pomeriggio di mobilitazione è intervenuto anche Moni Ovadia, che ha poi tenuto un concerto sulla Shoah la sera al Teatro romano di Aosta. Spettacolo che Ovadia ha dedicato ai rom. Per la prima volta, in piazza, ho sentito parlare di politici «cattivi», in senso morale, persone (non vorrei sbagliare, citando a memoria) «dal cuore freddo». Forse sono parole, queste, che il linguaggio dell’analisi politica dovrebbe recuperare per descrivere il presente.
 
 Ho anche assistito alla foga di Ovadia, intervistato sul posto dal tg3 regionale, e mi sto chiedendo che cosa Rai 3 abbia poi avuto il coraggio di trasmettere realmente… Oggi, il quotidiano «La Stampa», nelle pagine regionali, ha pubblicato una foto con didascalia, niente articolo e nessun accenno a Moni Ovadia. Mah…
 
 ! Le parole di Moni Ovadia in piazza Chanoux, raccolte «in presa diretta» da Silvia Berruto, sono pubblicate nel sito del Centro Studi Sereno Regis
 
 Pubblico di seguito un testo che Silvia Berruto, presente all’iniziativa, ma totalmente contraria alla "presa" delle impronte digitali anche in chiave simbolica, mi aveva pregato di pubblicare prima dell’iniziativa.
 
 Scusami, Silvia, ma con la Marcia non c’è stato tempo. Continua a leggere

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