Parlare di Andreotti con L’Aquila a pezzi

Ho letto la lettera appello al capo dello Stato scritta da Massimo Cialente, sindaco dell’Aquila, con la quale il primo cittadino restituisce la fascia tricolore e al presidente della Repubblica, minacciando le proprie dimissioni se non saranno sbloccati i fondi per la ricostruzione del capoluogo abruzzese entro 15 giorni.

Non mi interessa sapere se Cialente è l’eroe buono, o se la giunta comunale poteva fare meglio o di più. Quello che mi scuote in profondità è l’idea che a 4 anni di distanza dal sisma la ricostruzione dell’Aquila non sia ancora avviata.

Che razza di Paese è questo?

Che cosa importa se si impiegano due mesi a fare il governo, se poi nessun governo ritiene doveroso intervenire in favore dei cittadini di una città distrutta?

Che cosa importano gli equilibri tra Pd e Pdl? Aiutano a tirare su i muri?

Che importanza può avere la morte di Andreotti? Anche i segreti di Stato impallidiscono di fronte a un sistema che non si cura di una ferita come quella aquilana.

Perché ci ostiniamo a parlare di TAV e altre grandi opere? Che siano sprechi o infrastrutture meravigliose, un Paese che non sa vedere le proprie priorità al punto di lasciar morire un’intera città, costringendo i cittadini lontani dalle loro case per chissà quanti anni, è un Paese che non la minima idea di come utilizzare degnamente i soldi dei cittadini.

E ancora. Perché accanirsi con gli elicotteri da guerra e gli F 35? Perché non pensare – neppure nel pieno di una crisi che proprio chi comanda ha interesse a nominare ogni momento – di evitare, almeno per un anno, di celebrare (e uccidere) il 2 giugno con la solita parata militare?

Leggete la lettera del sindaco Cialente al capo dello Stato. La situazione che vi è descritta non è normale. In un film, la rivoluzione sarebbe inevitabile.

Leggete la lettera e magari pensate, la mano sul cuore, per chi o per che cosa avete votato le scorse elezioni.

>> La lettera appello del sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, al capo dello Stato <<

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