Il numero dei parlamentari non va tagliato

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I deputati italiani
sono 630, i senatori 315. Meno di mille rappresentanti per quasi 60 milioni di cittadini (sono oltre 50 milioni gli elettori per la Camera, più di 46 quelli per il Senato).

Nel coro generale di chi vuole tagliare i costi della politica si ripete la solfa, in maniera drammaticamente bipartisan, che queste mille persone vanno dimezzate.

Proviamo a riflettere. Oggi il Parlamento è talmente delegittimato che si pensa – con qualche ragione – che un numero così grande di persone non serva a niente. Ora, se l’intento è abolirlo, buona dittatura. Se viceversa si vuole farlo funzionare, sono gli stipendi e i privilegi che bisogna dimezzare, non il numero dei membri.

Quella in atto è, né più né meno, una deriva autoritaria: si vorrebbe trasformare la Repubblica italiana da parlamentare in presidenziale, delegando molto più potere al governo (sennò, ci dicono, non si riesce a prendere le decisioni). È, questa, un’operazione che gli spiriti sinceramente democratici devono contrastare, indipendentemente dai loro partiti o schieramenti di riferimento. Per fare questo, occorre fermare sul nascere tutte le misure volte a depotenziare il ruolo del Parlamento a vantaggio dell’esecutivo.

Non è vero che un Parlamento più “snello” lavora meglio. Aumentare il numero di Commissioni assegnate al singolo parlamentare significa – è ovvio – dilatare i tempi di lavoro. Dimezzando gli stipendi di deputati e senatori (e, nei territori, quelli dei consiglieri regionali) si coniugherebbero efficienza e risparmio, senza compromettere la centralità del ruolo che i padri costituenti avevano assegnato alle Camere, ovvero ai rappresentanti dei cittadini.

Del resto, il problema di un Parlamento come quello che abbiamo visto all’opera nella scorsa legislatura è soltanto in minima parte quello dei costi.

Si eliminino gli assurdi sbarramenti che privano di rappresentanza effettiva centinaia di migliaia di persone che non sono disposte a riconoscersi nei programmi dei due, tre partiti maggioritari.

Si modifichi la legge elettorale, togliendo alle segreterie di partito il potere di creare i parlamentari.

Si faccia una legge sul conflitto d’interessi e si chiariscano tutte le incompatibilità con il ruolo di parlamentare.

O, in alternativa, teniamoci i nostri Berlusconi, Monti e Grillo presidenti del consiglio: l’Italia, in fondo, è il Paese degli Uomini della Provvidenza, capaci con il loro nome e il sorriso da venditori di tirarci fuori dai guai. Basta crederci: la suggestione è tutto.

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2 risposte a Il numero dei parlamentari non va tagliato

  1. Rosetta Bertolin scrive:

    Condivido assolutamente tutto quanto dici

  2. Dario M. Carmassi scrive:

    Ci inoltriamo in un campo minato, dove non esistono verità dichiarate.
    Il raffronto tra realtà istituzionali è complesso e non può ridussi ad un mero confronto numerico di rapporto rappresentati/rappresentanti. Non dimentichiamo anche le dimensioni di ogni nazione, se trasferiamo su base regionale ovviamente anche un consiglio valle di soli 2 componenti sarebbe pleonastico rispetto alla Lombardia, 9 milioni abitanti e 80 consiglieri!
    La forma dello stato influenza in maniera decisiva l’architettura delle sue Istituzioni, rimanendo in campo europeo abbiamo Monarchie costituzionali, dove il monarca assume in sé la rappresentanza unitaria; repubbliche federali, in questo caso va graduata la quantità di competenze in capo al l’assemblea elettiva nazionale rispetto a quelle locali; repubbliche presidenziali anzi più correttamente semi presidenziali, Francia in cui coesistono un presidente eletto a suffragio universale ed un primo ministro nominato dal presidente ma espressione della maggioranza parlamentare, repubbliche parlamentari come la nostra.
    Abbiamo quasi ovunque la presenza di due assemblee elettive, camera alta e camera bassa, di solito una eletta a suffragio universale con compiti legislativi ed una di secondo livello, eletta dalle istituzioni locali, con compiti di ratifica e rappresentanza territoriale.
    Sul discorso numeri nella Rep. Federale tedesca il Bundesrat, camera alta, rappresenta i Lander, conta soli 68 componenti per 80 milioni di abitanti, non vota per il governo ma determina la politica fiscale.
    L’anomalia italiana in questo quadro è la perfetta duplicazione dei compiti di camera e senato, entrambe legislativi ed entrambi determinanti per la fiducia al governo. In effetti anche in questi giorni abbiamo la dimostrazione, complice la pessima legge elettorale, di un blocco istituzionale causato da questa anomalia, se la fiducia al governo fosse compito esclusivo della camera dei deputati avremmo già un governo nel pieno delle sue funzioni.
    Mi permetto, non da esperto ma da appassionato, di contestare quindi il nostro Mario Badino che tende a cristallizzare giudizi per così dire a prescindere.
    Di certo non è il numero a qualificare un’assemblea, la dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America fu redatta dalla commissione dei Cinque ed approvata da 33 delegati, l’Assemblea Nazionale del Popolo cinese conta 3.000 deputati e di fatto si limita a ratificare decisioni prese altrove.
    Saltando a piè pari la questione nazionale, ricordo che le architetture istituzionali italiane, nazionale e locale furono evidentemente influenzate dalla tragica esperienza della dittatura fascista. Quindi da un sentimento forse anche esasperato di dare rappresentatività a tutte le possibili forze politiche e sottoporre a stretto controllo del parlamento l’esecutivo. Anche il Consiglio valle nasce in questa ottica, 35 consiglieri per meno di centomila abitanti. L’impegno di consigliere era tuttavia considerato assolutamente non professionale, cinquemila lire a seduta con una frequenza di una riunione mensile, nella prima legislatura non viene approvata neanche una legge regionale.
    Ovvio che competenze negli anni si sono moltiplicate stravolgendo il ruolo ed il relativo impegno del consiglio valle e quindi dei suoi componenti.

    Credo di non errare quando sostengo che per mettere assieme governabilità e rappresentanza sia necessario separare nettamente l’esecutivo dal legislativo permettendo elezioni separate e quindi liberando l’assemblea dal vincolo di maggioranze che nei fatti limitano l’attività dei singoli consiglieri e lo coinvolgono in una logica di appartenenza a prescindere dal merito della singola questione.
    Ogni rischio di cesarismo viene limitato dall’applicazione della limitazione al numero dei mandati e dalla non reiterabilità, al massimo 10 anni, ad esempio, pensate ci saremmo tolti Berlusconi e Rollandin dalle palle da tempo!

    Io di certezze ne ho una sola: che non esiste il sistema perfetto, perché dentro le caselle ci infiliamo degli esseri umani che sono tutt’altro che perfetti.
    Per il discorso Presidenzialismo: vorrei ricordare accanto a quelli citati in negativo, sicuramente tanti, l’acclamato scomparso Chávez, Obama, Kennedy, Hollande, Mitterand.
    Credo che solo un sapiente, nei limiti umani, uso dei pesi e contrappesi possa garantire un buon grado di democrazia. Il sistema francese ha il limite di unire al Presidenzialismo un’assemblea eletta con i collegi uninominali ancorché a doppio turno indebolendo quindi la rappresentatività dell’assemblea.

    Penso che oltre al sistema di pesi e contrappesi deve essere garantita la possibilità pratica di un’alternanza di governo, non credo che uno schieramento, anche quello che sento più vicino, debba governare con continuità per un ventennio o più.

    Queste ultimi due aspetti, pesi e contrappesi e alternanza sono quelli che mancano in Vda!

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