Funziona davvero la pubblicità sessista?

Fate finta di non aver notato che l’ultimo post pubblicato s’intitola Che cosa ci distingue da Bin Laden? (voglio dire che tutte queste domande retoriche potrebbero far pensare a una specie di rimbambimento pre-senile).

Fate anche finta che la domanda sia vera.

Nel dépliant che pubblico come immagine di questo articolo – un volantino trovato oggi 7 maggio in uno studio fotografico di Aosta – è presentata l’inaugurazione di un negozio di abbigliamento. «Te la do’ gratis» si legge a un certo punto, accanto alla foto di una ragazza che si sta slacciando il bikini. Che cos’è dunque che sarà dato gratis, a chi presenzierà all’inaugurazione? Difficile equivocare: «…una maglietta!», com’è specificato subito dopo.

Naturalmente potremmo limitarci a considerare il tutto una semplice battuta, un fulgido esempio magari di quella satira del costume (da bagno) contro cui è legittimo prendersela solo quando parla male dei politici, in particolare del presidente del consiglio. Il problema è che ormai questo genere d’ironia (ironia?) è diventato un mezzo molto comodo per chi deve (dovrebbe) fare lo sforzo di reclamizzare qualcosa, e nel contempo terribilmente lesivo della dignità femminile. Ricordo, qualche anno fa, un succo di mela che si chiamava «Mela Dai» e c’è una bevanda che per nome ha «Fi.Ga.», giusto per capire di cosa stiamo parlando.

Voglio dire (in questi giorni la chiarezza non è probabilmente il mio forte) che in un’epoca e in una società sessualizzata e sessista, ciò che in altri contesti potrebbe essere innocuo (una battuta, si diceva, per quanto non particolarmente divertente) si trasforma inevitabilente in una delle tante occasioni che veicolano una certa concezione della donna, dell’essere umano e del rapporto tra i sessi.

Un blog molto attento a mostrare e denunciare i casi di pubblicità sessista è il da me più volte citato Femminismo a Sud, al quale rimando per approfondimenti. Segnalazioni in merito all’uso sessista dell’immagine femminile in pubblicità o altrove (e, viceversa, segnalazione di «immagini amiche») possono essere inviate all’Udi (Unione Donne in Italia), mentre per denunciare le pubblicità sessiste si può contattare anche l’IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria).

In chiusura d’articolo, vorrei tornare sulla domanda retorica con cui ho scelto di titolare il post. Funziona davvero la pubblicità sessista? Anche questa boiata della maglietta data gratis? Non è che lasciare da parte i soliti ammiccamenti porterebbe, oltre a tutto il resto, un plusvalore di creatività?

Concludo con una notazione grammaticale: il verbo dare, alla prima persona singolare dell’indicativo presente, si scrive senza accento e a maggior ragione senza apostrofo.

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15 risposte a Funziona davvero la pubblicità sessista?

  1. anarcofem scrive:

    Sinceramente me lo sono sempre chiesta anch’io. Ma alla fine, con la figa si vende oppure no? Il mercato non sarà un tantinello saturo?
    Perchè di questo si tratta, di tette o al massimo di una fetta di culo e niente di più. Il viso ormai è censuratissimo, l’immagine è totalmente spersonalizzata, un tot di donna, un quarto, la metà, due terzi e così via. Persone fatte a pezzi le cui parti diventano oggetti con cui attirare l’attenzione, gente scomponibile in tette-culo tette-culo. Come un evidenziatore ma un po’ più splatter. Ovunque.

    • mariobadino scrive:

      E se non serve a vendere, serve non solo consapevolmente ma anche come intento principale a diffondere una certa visione della donna? E la mercificazione dei corpi e non solo riguarda anche l’uomo? Insomma, non è che invece di invitarci a comprare un prodotto ci invitano a essere consumisti e consumati e basta (tanto a quel punto compreremo qualsiasi cosa)? Non so se sono riuscito a spiegarmi; proverò a ragionarci un po’ su.

  2. Imma scrive:

    La mercificazione riguarda anche gli uomini. Solo le star hollywoodiane maschili, ad esempio, sono vestite negli spot dei profumi.
    Perché una star la riconosci al volo, un modello no. Quello impari a conoscerlo per la bellezza del suo corpo e la cosa funziona. Tante donne, io stessa, guardano con piacere un bel corpo.
    Quello su cui dobbiamo ragionare quindi non è tanto la mercificazione in sé, ma cosa questa comporti; e se è sempre una sorta di male assoluto.
    Per quanto riguarda gli uomini però, non basta certo una pubblicità di profumo a trasformarli in “puttani” e questo perché sugli uomini non pesa lo stesso pregiudizio che pesa sulle donne. E quindi torniamo al punto di partenza: la società ci dà le indicazioni con cui interpretare pubblicità e affini; ma le pubblicità aiutano a rafforzare certi concetti? Se levassimo tutte le pubblicità come quella sopracitata cambierebbe qualcosa?

  3. mariobadino scrive:

    @ Imma: Evidentemente non ho vere risposte alle tue domande. La mia idea è che la pubblicità di cui sopra sia proprio il prodotto tipico della società in cui viviamo (che non è solo sessista, ma anche superficiale, ignorante, cafona). Non sarà certo un volantino a contribuire in maniera determinante al rafforzamento dei vari concetti, atteggiamenti, punti di vista. E dico un volantino, perché uno spot televisivo ha tutt’altra forza (e certi cartelloni pubblicitari pure). Ma il volantino, lo spot, il programma televisivo, i titoli e le foto che ti becchi anche soltanto quando cerchi di aprire la tua casella di posta elettronica si sommano, per forza di cose, alle “indicazioni” fornite dalla società. Si tratta, a mio modo di vedere, di un circolo vizioso all’interno del quale ogni cosa alimenta le altre. Naturalmente non sto proponendo di proibire alcunché: la censura non serve a niente e poi c’è sempre il problema di chi deve decidere che cosa proibire e che cosa no. Se la società fosse migliore non ci sarebbe un gioco di parole come «Te la do gratis» (con o senza apostrofo) per rendere più appetibile una maglietta. Se non ci fossero in giro messaggi come questi, la pubblicità di cui sopra non sembrerebbe, a tante persone, “normale”.
    Infine, dici che «Tante donne, io stessa, guardano con piacere un bel corpo». Lo stesso, com’è noto, succede a tanti uomini (io stesso) e naturalmente penso che non ci sia niente di male. Il mio intento non era in nessun modo bacchettone. Trovo però che la mercificazione, quella vera, quella avvilente, non abbia nulla a che fare con la nudità, bensì con il semplice obiettivo di veicolare la vendita di un prodotto. Forse, entro certi limiti, è normale, ma credo che i limiti siano stati superati da un pezzo, se si è giunti a genitori che pensano sia una cosa stupenda quando la figlia va a letto con un settantenne ricco (e questi, preciso, sono unicamente fatti della figlia) perché si tratta di un canale di promozione economica e sociale per tutta la famiglia.

    • Imma scrive:

      Figurati Mario, non ho creduto affatto il tuo fosse un post bigotto. Né in realtà volevo fare una critica a te o a questo tipo di segnalazioni e le domande che facevo alla fine avevano più un intento retorico.
      Solo che quando mi ritrovo a pensare all’utilizzo dei corpi femminili con intento sessuale – che si tratti di una pubblicità su un volantino o in televisione o anche di un programma televisivo – mi viene quasi spontaneo pensare a cosa c’è dietro; perché come scrivi giustamente tu non si tratta mai solo di sessismo, ma anche di ignoranza, di una cultura cafona. E mi chiedo quindi se sia possibile uscire dal circolo offrendo una reale e seria educazione sessuale ma anche un’educazione alle immagini, alla comunicazione visiva. Ovviamente aiuterebbe – anche se non so quanto – ed ovviamente non si tratta di una cosa semplice ed immediata.

  4. mariobadino scrive:

    Penso che tu abbia ragione. L’educazione sessuale dovrebbe essere ormai una pratica comune, scolastica e non, ma in tante realtà non lo è (e poi dipende chi è che la propone) e l’educazione alle immagini semplicemente non esiste. Esistono la cultura e l’educazione in senso lato, che in teoria dovrebbero darti una mano con tutto, ma è proprio per questo che sono sotto attacco e oggi non godono tanto di buona salute. Tornando al volantino qui sopra, a me sconvolge la riproposizione di una battuta sentita e risentita come se fosse qualcosa di spiritoso e di originale.

  5. bianca scrive:

    Ciao! Sono arrivata qui grazie al blog “un altro genere di comunicazione” e che bello vedere un post che tratta di questi argomenti pubblicato da un uomo! Io non so se ultimamente sono più attenta o se davvero ad Aosta la gente decide di pubblicizzarsi sempre peggio: prima la pizzeria bunga bunga, poi un ristorante chiamato “il rifugio dei vip”, poi una pubblicità di una gioielleria con modella (e qui ci sarebbe da dire ancora altro…) mezza nuda in cui i gioielli quasi non si vedevano… e ora questo volantino!
    Non credo che quel tipo di immagine aiuti più di tanto a vendere, ma vorrei che ci fosse una reazione, invece l’uomo di solito si fa la risatina e la donna semplicemente ignora l’immagine, quando invece dovrebbe scegliere altri posti in cui fare compere.

  6. mariobadino scrive:

    Sarebbe bello, infatti, avere una reazione: anche perché, secondo me, non se l’aspetta nessuno! Grazie per quello che hai scritto, penso che ad Aosta le cose vadano un po’ come altrove… Il fatto probabilmente è che siamo talmente assuefatt* a certe cose, che hanno deciso che non si rischia niente a puntare più in basso! Altrimenti dovrebbero fare lo sforzo di pensare, escogitare qualcosa d’intelligente.

  7. alfonso scrive:

    Un battuta sull’argomento sessuale non è sessismo. Definire “mercificazione del sesso e del corpo” il loro uso per pubblicizzare e quindi vendere un prodotto è sbagliato, perché la merce è il prodotto da vendere, non la pubblicità. E comunque sia, perché fare un’allusione sessuale per vendere un prodotto dovrebbe essere offensivo nei confronti delle donne? Una barzelletta sul sesso di questo tipo può essere volgare, sconcia e banale, ma non sessista. La mentalità cattolica che abbiamo ci porta a sconvolgerci del sesso e a censurarlo. Da ragazzo ho sentito dai preti che non dovevamo avere approcci sessuali tra di noi, perché avremmo mancato di rispetto nei confronti dell’altra persona. Il ragionamento che fate è uguale: il sesso è un’offesa nei confronti della donna.

  8. mariobadino scrive:

    @ alfonso: no, no; qui nessun* vuole essere bigotto. Personalmente sono vittima di un’educazione cattolica e non esito a riconoscerlo. Per reazione, amo moltissimo tutto ciò che definisco libertà sessuale, che può significare ciò che una persona fa nella propria vita, come pure l’uso che dell’eros si fa nelle immagini, credo che non ci sia nulla di male né nel corpo umano, né nel fatto di mostrarlo, né nel fatto di (auto)utilizzarlo. Vedo, semmai, una differenza nella finalità: un sito pornografico può magari non implicare un’idea di sfruttamento coatto della donna (o dell’uomo), ma serve a utilizzare il corpo umano per far soldi: una cosa legittima, ma che non condivido. Un sito in cui una persona si mostra perché ama esibirsi non mi sembra in alcun modo criticabile. Quello che contesto è insomma l’uso commerciale in sé e per sé: al limite, nel volantino qui sopra o nella pubblicità in generale, potresti immaginare corpi vestiti al posto di corpi (semi)nudi, oppure corpi maschili al posto di corpi femminili: ma la mercificazione inizia dove comincia l’identificazione psicologica tra la persona e il prodotto che reclamizza, oppure l’identificazione di un essere umano (di solito di sesso femminile, ma non necessariamente) non nell’oggetto che si vuole vendere, ma in un altro oggetto che consente la promozione e la vendita del tuo prodotto. Dici molto bene che «una battuta sull’argomento sessuale non è sessismo»; ammetti che «te la do gratis» non è una gran battuta, quando parli di una barzelletta «volgare, sconcia e banale, ma non sessista» e io mi spingo fino a dirti che secondo me l’autore del volantino non aveva alcuna intenzione sessista. Tuttavia, come dico nell’articolo, «in un’epoca e in una società sessualizzata e sessista, ciò che in altri contesti potrebbe essere innocuo (una battuta, si diceva, per quanto non particolarmente divertente) si trasforma inevitabilmente in una delle tante occasioni che veicolano una certa concezione della donna, dell’essere umano e del rapporto tra i sessi». Io questo rischio (anzi, questo processo in atto) lo vedo, lo dico sinceramente e spassionatamente.

  9. bianca scrive:

    Se vogliamo fare una pubblicità intrigante in cui si allude al sesso in modo rispettoso basterebbe rendere la donna partecipe e non sempre e solo l’oggetto del desiderio maschile. In questa pubblicità la donna sembra forse realizzare felicemente la propria sessualità? Non mi pare proprio. Della donna non c’è neanche il volto, ma solo i seni, e queste sono scelte che hanno un significato preciso: tu donna sei un oggetto.

  10. mariobadino scrive:

    Sono completamente d’accordo con te, Bianca! Confermo quanto ho detto sulla mercificazione degli esseri umani, ma in questo caso la donna è effettivamente rappresentata soltanto come «oggetto del desiderio maschile» e non può «realizzare felicemente la propria sessualità», dal momento che non ha neanche un volto, «ma solo i seni»! Si può essere anche intriganti senza essere sessisti, ecco tutto.

  11. Annamaria Arlotta scrive:

    Sto finendo di leggere “Il libro nero della pubblicità” di Adriano Zanacchi, che spiega i meccanismi relativi alla stessa e al suo monitoraggio. L’autore per molti anni ha fatto parte dello Iap e assume una posizione critica nei confronti della pubblicità, che considera, oltre che invadente ed intrusiva, in grado di esercitare spesso effetti “più o meno profondi, anche sul…modo di pensare, di concepire la realtà”. Nel capitolo dedicato alla figura della donna scrive tra l’altro : “da decenni la donna pubblicitaria si offre e viene offerta senza troppi scrupoli: sempre disponibile, ancillare, subordinata, passiva, spesso provocante se non spudorata.” Combattere la pubblicità sessista non è, come già scrive Mario, una questione di puritanesimo, ma di opposizione allo svilimento della donna (e alla riduzione degli uomini a guardoni!) Mi permetto di segnalare il gruppo di uomini e donne che ho fondato, che porta avanti una campagna a scadenza mensile di mail bombing all’Istituto di Autodiscliplina Pubblicitaria. Spero che vorrete dare uno sguardo, iscrivervi e partecipare alla semplice azione. A destra della pagina c’è il documento introduttivo. A presto spero!
    http://www.facebook.com/home.php?sk=group#!/home.php?sk=group_139046259478883&ap=1

  12. mariobadino scrive:

    Trovo molto interessante il gruppo Facebook fondato da Annamaria, che conta già quasi 500 membri (un numero interessante, visto che il gruppo si propone azioni di mail mombing). Interessante è anche ciò che dice sullo svilimento contemporaneo della donna e dell’uomo attraverso l’uso della pubblicità sessista (e, aggiungo io, la commercializzazione dell’essere umano nel suo insieme, corpo e spirito). Non ho letto, invece, «Il libro nero della pubblicità» ma – non vorrei suonare ripetitivo – mi sembra interessante anche quello!

  13. Annamaria Arlotta scrive:

    Grazie Mario. Sì, il libro di Zanacchi si legge volentieri. Dice, ad esempio: “…l’obiettivo che la pubblicità commerciale si propone: quello di influenzare, a breve o a lungo termine, le conoscenze, gli orientamenti, le scelte di consumo degli individui. Spesso esercitando effetti, più o meno profondi, anche sul loro complessivo modo di pensare, di concepire la realtà” e, sulla figura femminile: “da decenni la donna pubblicitaria si offre e viene offerta senza troppi scrupoli: sempre disponibile, ancillare, subordinata, passiva, spesso provocante se non spudorata.”Purtroppo di persone critiche come lui ce ne sono poche, e col mio gruppo facciamo pressione perché l’organo di autodisciplina pubblicitaria che le imprese hanno creato adottino parametri nuovi, rispettosi della diversa sensibilità che sta emergendo, e allineandosi ad altri Paesi modifichino il metro di giudizio. Vi aspetto numerosi e vi ricordo il link
    http://www.facebook.com/home.php?sk=group#!/home.php?sk=group_139046259478883&ap=1

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