Un «manifesto» bisogno

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Il governo italiano ha deciso di tagliare il finanziamento pubblico all’informazione indipendente, cooperativa e di partito.

Saranno contenti i tanti beppegrillo che, giustamente smaniosi di denunciare tutti gli sprechi, si mostrano però incapaci di distinguere tra ciò che lo è veramente e ciò che non può essere sacrificato, pena il peggioramento della qualità della società in cui si vive.

«Uno Statola frase non è mia, ma la condivido per intero – o è sociale o non è». Mille sono le voci etichettate come spreco dagli alfieri del neoliberismo che in realtà servono a garantire un livello di democrazia accettabile e una vita migliore per tutti i cittadini.

Spreco, secondo certi, sono quelle politiche sociali e quei servizi dai quali dipende la possibilità per tutti, indipendentemente dal reddito o dal ruolo rivestito nella società, di curarsi, informarsi e difendersi oltre che da minacce reali o inventate (la famosa «sicurezza»), anche dalla precarietà di vite a progetto nelle quali è impossibile… progettare la propria esistenza.

Spreco, secondo certi, è il diritto ad ascoltare una voce fuori dal coro, a informarsi, anche attraverso la carta stampata, senza cadere vittime dell’interesse corporativo delle grandi concentrazioni editoriali.

Nei vari Paesi del mondo la maggior parte del mercato dell’informazione è concentrato in pochissime mani. In Italia fra i 3-4 gruppi editoriali maggiori c’è anche quello del presidente del consiglio, in un conflitto di interessi del quale gli italiani si sono forse stufati di sentir parlare, ma che costituisce il centro di quel sistema di potere che sta trascinando l’ex Belpaese in una crisi, non soltanto economica, ma anche culturale, politica e istituzionale. Un sistema che sta trascinando il Paese nella barbarie dei poteri mafiosi e dei campi di concentramento per stranieri, ben al di là delle avventure “sentimentali” del premier.

In questo quadro, veder morire una delle pochissime voci indipendenti, quel «manifesto» che tante volte ho citato in queste pagine e che l’anno prossimo dovrebbe festeggiare i suoi primi quarant’anni, sarebbe davvero desolante. I tagli al fondo per l’editoria priveranno il «quotidiano comunista» di qualcosa come 3,6 milioni di euro all’anno, cifra senza la quale ben poco potranno fare i membri della cooperativa di giornalisti che lo anima per resistere. Giornalisti che da mesi mettono in discussione il loro stipendio pur di permettere al giornale di uscire.

La voce del «manifesto» rischia di essere spenta, lasciando ancora più vuoto il campo della buona informazione. C’è tempo fino a dicembre per salvare un giornale che non ha padrone (né un imprenditore, né un partito).

Per salvarlo possiamo innanzitutto acquistarlo tutti i giorni, per poi magari innamorarci della sua maniera di raccontare l’Italia e il mondo e non lasciarlo più.

La richiesta della redazione e la cosa più utile è però abbonarsi, facendo un atto di fede nelle sue capacità di sopravvivenza, dando in questo modo nuovo ossigeno ai conti sempre in rosso del quotidiano.

Un’ulteriore possibilità è partecipare alla sottoscrizione in corso (online, sul sito del «manifesto», o telefonicamente con carta di credito: tel. 06-68.719.330 – via fax: 06-68.719.689 – con bonifico bancario presso la banca Sella intestato a «il manifesto Coop. Ed. a r.l.» IBAN IT18U0326803200052879687660 – con conto corrente postale numero 708016, intestato a «il manifesto Coop. Ed. a r.l.», via Bargoni 8, 00153 Roma).

In molte città d’Italia per la sottoscrizione si stanno organizzando iniziative, cene e collette.

L’unica cosa sicura è che un’Italia senza «manifesto» sarebbe un’Italia più povera e sempre più omologata alla visione di pochi, spacciata a tutti gli altri come l’unica visione possibile.

Pubblicherò quanto prima l’appello di Gabriele Polo (ex direttore del «manifesto») e quello di Vittorio Arrigoni, attivista italiano a Gaza, cui «il manifesto» ha più volte consentito di fare la cornaca della guerra israeliana contro i palestinesi, quando gli altri giornali e le TV si sono mantenute molto lontane dal loro compito di raccontare la verità.

Invito tutte e tutti a intervenire per salvare dalla chiusura «il manifesto», bene comune che non deve lasciare l’edicola.

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