Giornalisti in galera

 

 

 Fa male essere d’accordo, sia pure per una volta, con il signor Umberto Bossi.
 
 
Secondo il capo della Lega, infatti, andrebbero messi in galera quei giornalisti che, invece di parlare delle gabbie salariali, si dilungano sull’ennesimo simbolo istituzionale che Bossi vorrebbe cancellare, l’Inno d’Italia, cui andrebbe sostituito il Va’ pensiero verdiano (ma chissà che in futuro non vengano altri suggerimenti musicali dal signor Matteo Salvini, amante, come si sa, dell’arte del canto – nel video un suo recente concerto).
 
 
«Dovrebbero metterli in galera, i giornalisti. Hanno
inventato la storia dell’inno nazionale. L’avete capito, perché? Perché stiamo
parlando di salari differenziati e territorializzati», ha detto il suddetto con l’eloquenza consueta, e a me sembra ineccepibile.
 
 
Tra la sparata
sull’Inno e la possibile introduzione delle gabbie, infatti, la cosa
più grave è la seconda ed è su di essa che dobbiamo concentrarci, non
sull’Inno, per scongiurare, magari, l’ennesimo attentato
all’eguaglianza dei cittadini italiani e l’ennesima crepa all’Unità del
Paese.
 
 
Non
che io sia nazionalista ma, come ho già detto più d’una volta, dividere
l’esistente per inseguire un’altra "patria", costruzione fantastica
dell’egoismo di una minoranza di persone, non è una prospettiva
allettante. Significa rompere vincoli di solidarietà, tradire doveri istituzionali, condannare alcune aree al sottosviluppo economico, altre a un’involuzione culturale certa
.
 
 
Salari diversi sono l’ennesimo affondo in favore di questa deriva.
 
 
Per carità, guadagnare di più dove la vita costa di più può anche avere un senso. Ciò che non va è l’idea di guadagnare di meno
dove la vita costa meno (ammesso e non concesso che costi meno
davvero); e non è una battuta, perché non si tiene conto di tutti gli altri indicatori. Come se un
costo della vita mediamente inferiore a quello di piazza Duomo a Milano non
costituisse una specie di salvagente per le molte aree del Paese connotate dalla disoccupazione, dalla precarietà, dal lavoro nero (attraverso il quale i salari sono già molto più bassi!), e da alcune forme di vessazione criminale (una su tutte il pizzo).
 
 
Sarebbe logico, piuttosto, a partire da un salario minimo uguale per tutti (ma ben più alto della media attuale, che ci porta a essere ultimi per salario in Europa) aggiungere
qualcosa dove la vita costa di più (facendo però attenzione agli
altri indicatori). Di sicuro non ha alcun senso togliere.
 
 E poi,
dulcis in fundo: chi dovrebbe decidere gli
adeguamenti territoriali dei salari? Un movimento antimeridionalista
come la Lega? Il papi del consiglio? Quel tizio a cui hanno dato
le chiavi del forziere e che chiamerò Duecolline perché, in tutta onestà, tre monti mi
sembrano eccessivi?
 
 Quei giornalisti che non dicono queste cose meritano la prigione certo no, ma almeno il discredito.
 
 Senza contare, come si dice altrove, che la fine dei contratti unici nazionali sta già portando a forme di contrattazione separata, regione per regione e magari azienda per azienda, per cui, almeno per quanto riguarda il privato, l’eguaglianza economica tra lavoratori del medesimo settore è già un ricordo del passato.
 
 Se per un attimo dalle gabbie vogliamo spostarci all’Inno, va puntualizzato che il motivo principale per cui Va’ pensiero non potrà mai essere l’Inno nazionale è proprio il fatto che da anni la Lega se ne è appropriata,
facendone l’inno di un’altra – ancorché fittizia – nazione, ponendolo
simbolicamente contro l’Unità dello Stato. Se si deciderà di cambiare
l’Inno di Mameli (che personalmente trovo orripilante, ma non mi sembra
una questione seria), bisognerà scartare per primo, tra i possibili
sostituti, proprio quel Va’ pensiero che Verdi non avrebbe mai
immaginato di scrivere per Bossi.
 
 Altrettanto legittima rispetto al suggerimento di Bossi è infatti la controproposta che viene da Napoli: O sole mio inno d’Italia!


 Nel video, un esempio della passione per il bel canto del signor Matteo Salvini, europarlamentare della Lega Nord.

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2 risposte a Giornalisti in galera

  1. ronnie bonomelli scrive:

    pienamente d’accordo…però più che con la lega (che altro non fa se non il suo pericoloso mestiere, ravanare nella pancia delle persone, in un periodo in cui mediaticamente passa l’idea che con quella si debba ragionare) non posso non prendermela con la sinistra (scegliete voi cosa metterci all’interno…), che invece di cogliere i segnali dei tempi si preoccupa piuttosto di moltiplicare i corpuscoli scissi della sua galassia. se non torna la sinistra a intercettare questi malumori serpeggianti, e a bonificarli con proposte e progetti, l’humus per la lega sarà sempre più fertile, e allora, per stare in tema,…alègar e grazia….

  2. Mario scrive:

    La Lega «altro non fa se non il suo pericoloso mestiere». E’ vero. Ma mi viene in mente Bennato quando cantava «ma cosa c’è di male / ma cosa c’è di strano / Facciamo un gran casino / ma in fondo lavoriam / per Capitano Uncino»… I pirati sono pirati, i ladri sono ladri, i “cattivi” sono cattivi, quadra tutto. Ma è sconfortante quando chi dovrebbe amministrare bene il proprio territorio pratica l’egoismo razzista… [fine dello sfogo]
    Sulla sinistra hai completamente ragione. Ma che fare? Con tutti i regali che Berlusconi fa ai suoi detrattori perché non si riesce a organizzare nulla di decente? Dovremmo stare sulle barricate!

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