La razza impura e l’indifferenza

 Valerio Herera e Federico Puppi
 Recupero dopo parecchi giorni (e quindi, forzatamente, in maniera piuttosto imprecisa) gli appunti che ho preso il 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, all’espace populaire di Aosta, nell’ambito degli incontri «Collettivamente Memoria 2009». Erano presenti due diverse esperienze “filmiche”, per ricordare insieme la tragedia della Shoah: il cortometraggio «No», realizzato nel 2005 dalla V A del liceo di Pont-Saint-Martin (Aosta) e il video «Razza impura», della regista Maura Crudeli, sulla deportazione dei rom nei campi di sterminio.
 
 Nel cortometraggio,
un ebreo incontra un tedesco e gli racconta l’inferno del lager. L’interlocutore continua a rispondere no, esprimendo la propria incomprensione, ma anche il rifiuto di interessarsi e correre il rischio. L’indifferenza di fronte alla sofferenza è resa attraverso le immagini e i dialoghi, e anche grazie all’inserimento di foto d’epoca, alcune successive al 1945, come quelle che ritraggono i nostri manicomi o l’Apartheid sudafricano. La scena si svolge in un’ambientazione campestre e i personaggi sono accompagnati da una musica continua, che procede uguale fino alla fine, salvo crescere improvvisamente quando l’ebreo viene ucciso. «Le musiche composte nei lager erano in genere allegre», spiegano gli autori, Valerio Herera e Federico Puppi, «come per invitare a ballare, a dimenticare la propria situazione»; quella del film, invece, non è né allegra, né tragica, ma «piatta», a sottolineare,
ancora una volta, l’indifferenza. Alla morte dell’ebreo compare una bambina, che grida: «Papà, cos’è successo?». «Niente», le risponde il tedesco, «andiamo a casa».
 
 Dapprima la bambina sembra tornare sui suoi passi, poi ubbidisce. L’innocenza è preservata?
 


 
Wandertrieb è l’«istinto al nomadismo» che secondo gli “scienziati” nazisti caratterizzava gli zingari; il nomadismo inteso come devianza e asocialità, ma connotato di una radice razziale e perciò stesso irriconducibile alle teorie nazionaliste del Volk, in quanto non assimilabile. Nel suo documentario, la regista Maura Crudeli parte da questo concetto – il gene del nomadismo e la questione razziale – per raccontare lo sterminio degli zingari deportati ad Auschwitz. Una deportazione particolare, con regole diverse da quelle che vigevano per gli ebrei: i rom erano confinati in un’area specifica del campo, all’interno della quale non lavoravano e non erano divisi per sesso, ma erano completamente abbandonati a se stessi. Le donne e i bambini furono utilizzati per esperimenti genetici condotti da “medici” nazisti: i 300 bambini nati a Birkenau furono utilizzati come cavie umane.
 


 Entrambi i filmati parlano al presente. Il genocidio del popolo rom ci porta a riflettere sull’oggi di un’Italia che si riscopre intollerante. Maura Crudeli ha lavorato a lungo con i rom, a Roma, come operatrice sociale. Dice che oggi, in Italia, la questione è affrontata sgombrando i campi esistenti per costruire megacampi in cui le varie etnie, le varie religioni vengono mischiate assieme. La situazione è complicata e non può essere affrontata in termini di sicurezza: è necessario prima conoscersi e poi risolvere insieme i problemi di un rapporto «difficile» e «problematico», ma che non si affronta con gli sgomberi e le impronte digitali. Peccato che, di fronte a una politica discriminatoria e violenta e a un clima di diffidenza e sospetto, la società reagisca con una fuga nell’indifferenza


 Nelle immagini Valerio Herera e Federico Puppi, Maura Crudeli e un fotogramma del film «Razza impura».

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