Sfido chiunque a dire che non è in atto un tentativo, da parte delle destre, di conquistare l’egemonia culturale. Il guaio è che questo tentativo, legittimo, avviene anche e soprattutto attraverso metodi scorretti, “sporcando” e snaturando le culture di sinistra, i loro valori e principi: tutto viene sacrificato sull’altare del libero mercato e il possesso dei mezzi di disinformazione di massa permette di spacciare uno dei tanti modelli economici e culturali (e neppure il migliore) per l’unico possibile. Anche il dileggio di chi la pensa in altro modo, naturalmente, aiuta. Sul blog dell’Assemblea antifascista permanente di Bologna ho trovato il rimando a un articolo molto interessante («Se la destra cita Gramsci: invito alla battaglia culturale»), pubblicato dal «blog di poesia impura» Carta Sporca. A mia volta lo consiglio, perché è possibile trovarvi, ben argomentato e corredato di esempi, quanto si diceva in apertura: la descrizione puntuale di un’operazione articolata attraverso modalità di «esproprio terminologico, neutralizzazione culturale della sinistra, riscrittura della storia d’Italia». Lungo le righe della riflessione ci si imbatte nella necessità, per la destra, di appropriarsi dei pensatori del campo avverso, nelle recenti simpatie “marxiste” del ministro dell’economia, Tremonti, nel finto scoop del Corriere della Sera sull’immaginaria «conversione» (al cattolicesimo) di Antonio Gramsci morente. Un elenco inquietante di azioni volte a superare il «dualismo ideologico del Novecento» attraverso la mistificazione e l’omologazione di tutto al modello di pensiero dominante.
A volte l’attacco è velato, altre volte aperto, ma ugualmente subdolo. Ci si può appropriare, ad esempio, del malumore popolare per gli sprechi di denaro pubblico per eliminare (o ridimensionare seriamente) il fondo pubblico per l’editoria e portare alla chiusura i pochi giornali senza padrone ancora esistenti in Italia (primo fra tutti il manifesto, «quotidiano comunista»). Si può partire da un malinteso criterio di uguaglianza per invocare le stesse condizioni, in termini di imposte, per le attività profit e quelle non profit, come nel caso dei recenti attacchi de Il Giornale all’Arci, una delle poche realtà di sinistra ancora forti e radicate sul territorio nell’infinita débacle della sinistra politica. Proprio questo lunedì il quotidiano milanese (edito guarda caso dalla famiglia Berlusconi) si è lanciato in un’opera di delegittimazione dei circoli Arci, che non svolgerebbero più funzioni politiche e culturali, ma puramente ricreative, come tanti esercizi commerciali. La differenza è che l’Arci, per fare le stesse cose che fanno i locali “normali”, riceverebbe dallo Stato la possibilità di risparmiare fino a «un miliardo» l’anno. L’attacco del quotidiano milanese si spinge a citare circoli Arci chiusi dalle forze dell’ordine per aver ospitato orge o per aver sfruttato il lavoro dei volontari. Ora, evidentemente, non tutti i circoli si comportano allo stesso modo. C’è chi promuove la crescita culturale dei soci e chi allestisce salette per il videopoker o spettacoli di lap dance. Ma l’operazione del Giornale è scorretta: attraverso 2-3 esempi negativi, infatti, l’articolo mette in cattiva luce «5.577 circoli». Paolo Beltramin, autore dell’attacco, insiste inoltre sulla disparità del trattamento che l’Agenzia delle Entrate riserva ai circoli e agli altri locali, anche in presenza di un medesimo servizio (bar, concerti, discoteca). Beltramin, però, finge d’ignorare la differenza – davvero fondamentale – che i circoli Arci non sono società a scopo di lucro, quelle commerciali sì. Certo, a volte, fare di tutta l’erba un fascio conviene. «Verrebbe da pensare», come osserva Paolo Beni, presidente nazionale dell’Arci, «che sia proprio la cittadinanza attiva, la partecipazione, la responsabilità e la capacità critica dei cittadini ciò che si vuole devitalizzare».
Pubblico di seguito il comunicato stampa dell’Arci, in risposta all’attacco de il Giornale.
COMUNICATO STAMPA
La più grande associazione di partecipazione popolare italiana respinge con sdegno la campagna strumentale de Il Giornale tesa a screditarla. Ribadisce che la libertà di associazione, prevista dalla nostra Costituzione, è un principio che va tutelato per la salvaguardia della democrazia
Dichiarazione di Paolo Beni, presidente nazionale Arci
Il quotidiano Il Giornale, nell’edizione di oggi, attacca con toni sprezzanti e offensivi la nostra associazione. Con titoli come «È ora che i circoli Arci paghino le tasse» o «Il grande affare dell’Arci» la testata ospita con grande risalto articoli e interviste tesi a presentare la rete dei circoli Arci come un sistema di esercizi commerciali camuffati, in cui si nasconderebbe – all’ombra delle agevolazioni previste per l’associazionismo di promozione sociale – un consistente fenomeno di evasione fiscale, e finanche una vera e propria questione morale, in virtù di pratiche eticamente discutibili celate sotto la facciata della cultura e della solidarietà.
Siamo indignati, non possiamo tollerare un’opera di disinformazione così palesemente smaccata e pretestuosa. Il giornalismo spazzatura, che si alimenta di falsità e volgarità, non meriterebbe alcuna risposta, se non quella dei nostri legali, ai quali abbiamo già dato mandato di tutelare l’immagine e l’onorabilità della nostra Associazione.
La Legge 383 del 2000 ha riconosciuto il grande valore pubblico dell’associazionismo di promozione sociale ed ha inteso tutelarne l’attività. Nel variegato mondo delle associazioni, l’Arci è universalmente riconosciuta come uno dei soggetti più seri ed autorevoli, apprezzato in tutte le sedi istituzionali che frequenta per la trasparenza, la coerenza e la qualità della propria iniziativa nel Paese.
Sono centinaia gli Enti Locali, con amministrazioni di destra o di centrosinistra, che con l’Arci collaborano quotidianamente e che hanno nei nostri circoli altrettanti partner preziosi per costruire legami sociali, rafforzare la cultura della convivenza e del bene comune, promuovere partecipazione e cittadinanza consapevole.
Con un milione di soci e cinquemila case del popolo, circoli culturali e centri sociali, siamo la più grande organizzazione della partecipazione popolare in Italia. Una rete di esperienze locali impegnate sul terreno dell’aggregazione sociale, della cultura, della solidarietà, dei diritti di cittadinanza, della cooperazione internazionale, della promozione della pace e della convivenza. Abbiamo alle spalle cinquant’anni di protagonismo nella vita e nella cultura del Paese, e radici ancora più lontane nella storia del movimento operaio italiano e nella tradizione di un associazionismo popolare che negli anni ha contribuito a formare e consolidare un tratto distintivo della democrazia italiana.
Se fra le maglie della legislazione sul non profit – di cui da tempo denunciamo le carenze e le contraddizioni – si celano sacche di abusivismo e di affarismo noi siamo i primi a volerle seriamente perseguire. Da anni, insieme alle realtà più significative dell’associazionismo e del volontariato, chiediamo a Governo e Parlamento regole chiare per smascherare gli immancabili furbi e tutelare, valorizzare e incentivare la qualità sociale dell’autentico associazionismo. Dal canto nostro, pur in assenza di adeguati strumenti legislativi, rinnoviamo ogni giorno il nostro impegno in questo senso, con l’adozione di puntuali strumenti di verifica e di controllo sui circoli affiliati.
Sicuramente non è con misure come quelle previste dal governo con l’articolo 30 del DL 185/08 che si affrontano questi problemi. Prevedere per le associazioni obblighi fiscali assolutamente insostenibili, soprattutto per le realtà più piccole e polverizzate, non serve a scovare e perseguire l’abusivismo, ma a fare di tutta l’erba un fascio accomunando l’intero mondo dell’associazionismo in una presunzione di illegalità che non possiamo accettare.
Per questa strada si finisce anche per mettere in discussione la stessa libertà di associazione, e con essa un diritto fondamentale garantito dalla nostra Carta Costituzionale. Verrebbe da pensare che sia proprio la cittadinanza attiva, la partecipazione, la responsabilità e la capacità critica dei cittadini ciò che si vuole devitalizzare. L’Italia non merita di veder mortificato un patrimonio così ricco di energie civili e sociali.
Per questo non solo respingiamo con forza l’attacco strumentale all’Arci che emerge dalla campagna scandalistica de Il Giornale, ma chiamiamo anche tutto l’associazionismo democratico a far sentire la propria voce su un problema che non ha niente di corporativo, in cui al contrario sono in gioco questioni fondamentali che attengono ai diritti di cittadinanza e alla qualità della nostra democrazia.
Roma, 15 dicembre 2008
Commenti recenti
I blog e gli spazi che seguo:
Il Cortile d'Italia:
Archivi
Categorie
MI pare chiaro che dopo aver negato l’ambrogino a Biagi, aver premiato Fede ora toccherà al Giornale salire agli onori delle cronache come miglior testata giornalistica!
Il Comunicato stampa era un atto dovuto, scritto molto bene e dettagliato, ma, chi frequenta il mondo ARCI lo conosce, ne apprezza i pregi e non si facerto condizionare da questo tipo di articoli (anche perchè sfido qualcuno a comprare e leggere quel quotidiano).
Poi i circoli Arci come tutte le cose hanno anche degli aspetti critici, ma demolirli in questo modo mi pare davvero un affronto per tutte le persone che ci lavorano.
Sinceramente più che rinnovare la mia tessera non saprei cosa fare di più!
Cara Lorella, io, ad esempio, frequento l’espace populaire. Tant*, devo dire, non ci vengono perché, nella piccola Aosta, frequentare un circolo Arci significa essere etichettati come persone di sinistra. In realtà, l’Arci è aperto a tutti, chiede il piccolo obolo di una tessera perché ha bisogno di mantenersi in piedi (altro che macchina per far soldi!), ma non c’è bisogno di essere di sinistra per partecipare. Certo, l’Arci è di sinistra e la tessera mi sembra – anche per chi si riconosce da un’altra parte politica – una maniera per dire: «Vengo qui e accetto le regole della casa. Vengo qui per confrontarmi con voi. Per conoscervi». In questo senso l’Arci è una grande risorsa per il dialogo, ma naturalmente c’è chi cerca soltanto di sopraffare l’avversario, di togliergli ogni spazio. Oggi sono stato all’aps (azienda pubblici servizi) di Aosta per alcune locandine. Normalmente quelle grandi erano a metà prezzo, date le finalità non profit, quelle piccole gratis. Con le nuove normative (comunali, ma recepite da un decreto del governo) si pagheranno intere quelle grandi e a metà prezzo le piccole. Le regole per le associazioni si fanno più dure e lo scopo, mi sembra, è proprio quello di colpire l’associazionismo. Perché trionfi ovunque la legge del mercato e chi non è sufficientemente competitivo crepi.
Sai abitando ad Antey la mia frequentazione non è così assidua, ma quando posso ho sempre partecipato e seguo con interesse tutte inziative che vengono fatte.
Le Associazioni con certe connotazioni non vanno bene, quelle collocate sotto certe ali protettrici invece vanno molto bene.