Mentre mi trovavo a passeggiare in un bosco, intento a meditare sugli odierni liberismi (qualunque cosa essi siano), come non so, però mi sono perso. Mi sono spaventato e tremo ancora tutto, solo a pensarci, ma la cosa più dura è dover ammettere d’aver smarrito la strada, come un idiota. Vagavo un poco qua e un poco (per par condicio) anche là, finché ho scorto dietro agli alberi la sommità d’un monte e mi son detto: «Orpo, saliamovi in cima, così vedremo, dall’alto, dove andare».
Allora ho principiato la mia ascesa, ma ecco all’improvviso uno strano animale, minaccioso all’aspetto, che mi ha costretto (solo al vederlo) a fare qualche passo indietro. Aveva in volto due colori e nelle zampe teneva, da una parte, la tessera della Cgil, dall’altra quella di Confindustria. Due code aveva, ma la destra e la sinistra si toccavano, fino a fondersi insieme, formando un cerchio solo, tondo come la “o” di Giotto, simbolo dello stupore. Allora ho compreso che si trattava del subdolo Produsconi, un animale dalle mille astuzie, ma non tanto feroce da impedirmi di salire: mi sono fatto animo e ho ripreso il mio cammino, facendo un breve giro, onde evitare il bestione.
Il sole, coi suoi raggi, m’infondeva valore e speranza di bel successo. È stato allora che ho visto procedere verso di me un altro animale, molto più spaventoso del primo. Aveva tre facce che s’univano a formare un’unica capoccia: una era rossa, come il comunismo, però molto sbiadita; una era un po’ bianca e un po’ gialla, come la bandiera del Vaticano; la terza nera, come la canottiera d’Alemanno. E lì mi sono detto: «O torni indietro, o presto giunge la tua ora». Avevo infatti riconosciuto il Veltrusconi, l’immane distruttore… Subito dopo, però, mi sono messo a correre e ho superato anche quel mostro, senza ch’esso facesse il benché minimo cenno di volermi seguire: il Veltrusconi, si sa, corre da solo; in due, per lui, eravamo già una folla. Così, bestione appresso bestione, mi sono riconfortato e quasi speravo di giungere alla vetta, quando mi ha fermato la vista di un biscione.
Sono rimasto alcuni istanti incantato a fissare l’abbagliante splendore della sua dentiera, la pelle tirata a festa da mille lifting ben riusciti, i trampoli che usava a guisa di moderna calzatura. Solo sul suo cavallo, senza stalliere al seguito, con una mano toglieva e con l’altra riponeva in saccoccia ciò che la prima aveva tolto. Era, semplicemente, il Berlusconi, ch’esercitava le sue funzioni di governo. D’un tratto, la bocca del serpente s’è spalancata e gli ho sentito dire, tutto d’un fiato: «Abolizione-dell’Ici-federalismo-fiscale-ponte-sullo-Stretto-
sicurezza-Tav-gestione-del-G8-i-nostri-amici-miricani-Iraq-regole-d’ingaggio-
detassazione-degli-straordinari-termovalorizzatori: c’è tanto da lavorare; v’addito le mie strade». E son caduto, come corpo morto cade.
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