Antindrangheta: Vincenzo Linarello e il Consorzio Goel

 Vincenzo Linarello all'espace populaireQuella che segue è una relazione sull’incontro, tenutosi l’altro ieri all’espace populaire di Aosta, con Vincenzo Linarello, presidente del Consorzio sociale Goel di Locri e portavoce di Comunità libere, Movimento di difesa popolare per la democrazia e la libertà in Calabria. L’incontro è stato organizzato in collaborazione con Trait d’Union, Consorzio delle cooperative sociali operante in Valle d’Aosta. Nel suo intervento, Linarello è stato chiaro e determinato: ha spiegato i meccanismi del potere mafioso in Calabria e indicato azioni concrete, accessibili a tutti, per lottare contro la ‘ndrangheta. Propongo di seguito le sue parole, così come le ho sintetizzate nei miei appunti. Eventuali passaggi poco chiari dipendono in tutto e per tutto dalla mia penna.
 
 
«È sempre stato così, non cambierà nulla». È questo il ragionamento che permette alla ‘ndrangheta di vivere tranquilla, perché quando subentra l’ineluttabilità non c’è più bisogno di trovare un modo per reprimere le istanze di cambiamento, che smettono addirittura di formarsi nella testa e nel cuore delle persone. Non è razionale correre il rischio di fare una strage come quella avvenuta la scorsa estate in Germania, oppure far saltare un’auto. La ‘ndrangheta accetta il rischio perché ha bisogno di convincere tutti (non solo i calabresi) di essere invincibile. Perché nei periodi delicati i media moltiplicano gli episodi di cronaca? Per convincerci che tutto fa schifo, che non è possibile cambiare il mondo, che tanto vale trincerarsi nel privato. Il consorzio Goel ha cercato di rompere «il muro del destino», di partire, secondo l’espressione evangelica, dalle pietre scartate, per farle divenire testate d’angolo. Fare attività imprenditoriali tipicamente impossibili, ad esempio. Come una cooperativa di confezioni tessili di sole donne in un paesino dell’interno della Calabria. Donne che hanno dovuto lottare contro tutto e tutti, compresi gli uomini della loro comunità, e che, dopo un po’, sono riuscite perfino a dare lavoro a qualche disoccupato maschio. Come una cooperativa specializzata nella produzione di frutti di bosco, che impiega i carcerati e le famiglie a rischio di coinvolgimento mafioso, tra Patì e San Luca, dove praticamente tutti hanno un parente in prigione.
 
 
 Si tratta di vere e proprie sfide alla ‘ndrangheta, che si rivolge proprio ai più deboli e propone loro di entrare a far parte dell’organizzazione. Venite con noi e vi rispetteranno, dice. Entrate in cooperativa e avrete un lavoro, è la risposta di Goel. Che apre alle donne, ai carcerati, ai portatori di handicap. Nella testa della gente si sviluppa un meccanismo nuovo («Se ce l’hanno fatta loro, potrei farcela anch’io») e centinaia di persone si rivolgono allo sportello Crealavoro, propongono i loro progetti personali per un’attività imprenditoriale e vengono convinte a fare cooperative sociali, in competizione con le imprese profit. Uno dei risultati di questo impegno è la comprensione di come funziona il mondo: il territorio viene decodificato. Si comprende il reticolo di potere. Impari che fino ai 100-200 mila euro, forse prendi un appalto se sei bravo. Che fino ai 500 mila devi essere amico di qualcuno. Che, oltre tale cifra, devi impegnarti a garantire assunzioni e a fare campagna elettorale. Si ricostruisce il puzzle regionale e si capisce che quello del mancato sviluppo non è solo un problema culturale, legato a un generico ritardo del Sud, alla temperie della Magna Grecia, ma il risultato di un’ingegneria, di un sistema della precarietà, dell’azione di qualcuno che non vuole un’emancipazione vera, uno sviluppo reale, perché l’assistenzialismo garantisce il controllo sociale e politico: si finisce per mettere a nudo l’alleanza strutturale tra la ‘ndrangheta e la massoneria deviata.
 
 
Da 30 anni a questa parte, la ‘ndrangheta ha introdotto nell’organizzazione due nuove figure di vertice: quella del santista e quella del vangelo, che hanno il compito di entrare nelle logge massoniche. La criminalità organizzata investe nella formazione universitaria della propria classe dirigente, in modo da far fruttare i soldi ricavati dal traffico della droga. Avverte l’esigenza di inserire i propri affiliati nelle amministrazioni locali. Presto il salto è fatto e la ‘ndrangheta controlla una quota notevole di voti attraverso le sue imprese legali e il controllo della macchina pubblica. L’assassinio dell’onorevole Franco Fortugno, vicepresidente del Consigliio regionale della Calabria, ha un intento eversivo e indica il desiderio della ‘ndrangheta di passare alla scala nazionale. Il Consorzio Goel decide di raccontare come funziona il sistema e nel 2005 incomincia a farlo pubblicamente. Per il Consorzio incominciano i guai. Fino ad allora, infatti, la protezione del vescovo Bregantini e l’esistenza di una rete nazionale avevano saputo tutelarlo. Ma la ‘ndrangheta non può accettare l’aperta denuncia del proprio sistema di potere. Bregantini viene attaccato dalla stampa, per intervento della massoneria, mentre Goel è vittima di un primo attentato (l’avvelenamento delle piantine di lamponi di una cooperativa) e di una campagna di diffamazione, che per fortuna fallisce. Diventa chiaro che Goel non è più sufficiente, così i Consorzi calabresi si uniscono fra loro all’interno di Calabria Welfare.
 
 
Contro la ‘ndrangheta il ruolo delle cooperative è importantissimo. Se c’è una cosa che la nonviolenza ha insegnato, non è che il fine non giustifica i mezzi, ma che il fine non esiste: esistono solo i mezzi. Non dobbiamo credere che, solo perché siamo dalla parte giusta, possiamo fare forzature. Sennò ci mettiamo, di fatto, dall’altro lato. La cooperativa sociale possiede i giusti anticorpi al sistema di potere mafioso: è democratica, mentre la ‘ndrangheta è verticista. Parte dalle persone svantaggiate, mentre la ‘ndrangheta seleziona la propria classe dirigente attraverso le faide, secondo un modello di darwinismo sociale spinto fino all’esasperazione. La cooperativa sociale non accumula ricchezza, ma ripartisce il benessere, mentre nella ‘ndrangheta il 90% delle ricchezze è nelle mani del 10% degli affiliati. In questo senso, gli stessi affiliati sono vittime della ‘ndrangheta.
 
 
Intanto nasce la rete nonviolenta Comunità libere, che ha lo scopo di reagire alla violenza della ‘ndrangheta e delle massonerie deviate, perché da soli si perde. Grazie all’aiuto di tante realtà in giro per l’Italia, invece, è stato possibile riprendersi dagli attentati e trasformarli in momenti di rilancio. Ai danni causati dagli attentati è corrisposta, infatti, una concreta solidarietà economica e grazie alla rete si è riusciti a creare un alone di fiducia e di popolarità nei confronti delle realtà colpite, ciò che ha permesso il loro rilancio. In Calabria non era mai accaduto prima che un’impresa colpita dalla ‘ndrangheta fosse rilanciata. Questi sono segni della possibilità di cambiare, che però da soli non bastano. È necessario creare un’alternativa al sistema di controllo del territorio della ‘ndrangheta, che piazza i propri uomini nei luoghi chiave, quelli dai quali la gente deve per forza passare per soddisfare le necessità della vita di tutti i giorni. In cambio del suo aiuto, la ‘ndrangheta chiede molte cose, tra le quali la più importante è il voto (tra il 60 e il 70% del voto in Calabria è controllato). Non basta un’antimafia culturale, se in gioco è il bisogno impellente della sopravvivenza della tua famiglia. E certo non è la classe politica che ha la libertà necessaria per poter agire.
 
 
Le cooperative sociali cercano di scardinare il sistema di potere della ‘ndrangheta operando all’interno delle comunità, organizzando la gente, lanciando il mutuo soccorso. Mentre si sta proponendo tutto questo, monsignor Bregantini viene spostato. Per un momento ci si domanda se valga la pena di continuare o no, alla fine si decide di sì ed ecco l’appello a una grande alleanza per una battaglia comune a tutte le realtà d’Italia, dal Nord al Sud. Non ci si può limitare alle buone intenzioni, perché il successo non è scontato anche se si combatte dalla parte giusta: è necessario «sudare sangue con il cervello». La situazione è grave e riguarda tutta la Penisola: i 60-70 miliardi di euro fatturati ogni anno dalla ‘ndrangheta, infatti, sono investiti in tutta Italia, specie al Nord. La Valle d’Aosta e il Piemonte sono le prime due regioni del Paese per velocità d’infiltrazione della ‘ndrangheta. La Toscana è invece la regione d’Italia a più alta densità massonica. Si tratta dunque di una battaglia comune. In Italia c’è un problema di democrazia. Anche la libertà del mercato e la concorrenza sono concetti teorici: nel nostro Paese comandano le lobby e il familismo. La ‘ndrangheta è un serpente che ha la testa in Calabria, ma le cui spire avvolgono l’Italia.
 
 
Vincenzo Linarello con Silvia Berruto e Alex GlareyIn questo contesto, l’adesione all’appello di 670 enti e più di 2700 singoli su tutto il territorio nazionale è un miracolo. L’alleanza, infatti, viene promossa attraverso il passaparola e la manifestazione del 1° marzo è un segnale importante: anche se monsignor Bregantini se n’è andato, tutta l’Italia è a Locri. Per contribuire alla battaglia sono possibili alcuni gesti concreti, il primo dei quali è sottoscrivere l’alleanza. Il secondo metodo consiste nel chiedere al Consorzio di essere informati e magari di dare una mano. Il terzo nel visitare la Calabria, aderendo al «turismo responsabile», visitando cioè le varie realtà cooperative, perché le alleanze nascono da persone che s’incontrano. Il quarto punto, infine, prevede di riappropriarsi del proprio territorio: la versione settentrionale dell’omertà è la famiglia che vede crescere di fronte a casa propria un grosso complesso commerciale e non si chiede di chi è e cosa sta facendo. Dobbiamo capire, presidiare e conoscere ciò che avviene nel nostro territorio: è questa la vera democrazia. In questo modo la ‘ndrangheta non riesce ad appropriarsi del territorio.
 
 È poi necessario riappropriarsi del proprio voto. Da questa esigenza è nata la
campagna «Io voto libero», perché è dall’esercizio del voto che passa gran parte del cambiamento. Invitare a una scelta libera è un’operazione culturale importante, perché si sta diffondendo l’idea pazzesca del «voto utile», che corrisponde a una svalutazione del voto, come se esso non valesse nulla: lo scambio con un piatto di lenticchie.
 
 L’emergenza rifiuti a Napoli è l’emblema di ciò che accade quando non c’è la riappropriazione del territorio. I cittadini sono vittime di come le imprese hanno devastato il territorio; sono colpevoli, invece, di non essersene occupati prima. C’è un proverbio vicino alla ‘ndrangheta che dice: «Se vuoi campare cent’anni in più, fatti i fatti tuoi». È esattamente il contrario: bisogna farsi i fatti del proprio territorio, è un fatto di incolumità fisica. La regola numero uno è impicciarsi.
 
 I grandi media nazionali boicottano certe realtà. In occasione della campagna di promozione della manifestazione del 1° marzo l’invito è stato quello a parlare della ‘ndrangheta, ma non della massoneria deviata. Solo due giornali, Avvenire e Liberazione, hanno accettato di rompere il silenzio. C’è però internet, che può cambiare il volto dell’informazione e che ha permesso di costruire l’appuntamento di marzo. L’informazione va insegnata: non bisogna acquistarla dai monopolisti, ma andarsela a cercare. Con poche centinaia di euro è possibile affittare un link satellitare. Si possono contattare tutte le emittenti televisive e radiofoniche locali d’Italia e dire che possono scaricare la diretta della manifestazione dal link. Tante emittente locali che trasmettono la stessa cosa significano una diretta nazionale.
 
 Servono osservatori territoriali sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta e per la riappropriazione del territorio. Si prendono i dati pubblici sugli appalti, le aziende, si vede chi sono gli azionisti. Si incrociano i dati e si scoprono le anomalie, che possono essere consegnate ai magistrati onesti. Per prudenza è meglio che a farlo non sia una sigla sola, è meglio farlo insieme. Ci sono poi anche i gruppi di pressione dei cittadini, che possono costringere le grandi imprese a sedersi intorno a un tavolo e spiegare che cosa intendono fare e come.
 
 
Goel, infine, lancia un appello ai calabresi residenti in Valle d’Aosta, come a tutti i calabresi residenti al di fuori della Calabria. L’emigrazione è una delle pagine più dolorose della storia della Calabria. L’emigrazione rappresenta il dolore di gente che si sente tradita dalla propria terra. Goel invita i calabresi emigrati a non abbandonare la loro terra, a cercare di fare un’alleanza forte per evitare ch’egli stessi drammi si debbano ripetere.
 
 Firma l’
Appello ad un’alleanza per la Locride e la Calabria.
 

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 Io voto libero;
 
 
Una testimonianza dalla manifestazione di Locri contro la ‘ndrangheta.

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