La parola libertà. Vite da donne: “44145 Anna”.

 27 gennaio, Giornata della Memoria. Proiezione del film 44145 Anna, all’espace populaire di Aosta. Sono presenti Silvia Berruto, curatrice della rassegna Collettivamente memoria, Michela Cane, la regista del film,  Lucio Monaco, curatore del libro La parola libertà. Ricordando Ravensbrück, scritto dall’ex deportata Anna Cherchi e lo storico Carlo Ottino. È infine presente l’ex deportata Ida Désandré.
 Il film, nato all’interno del Progetto Memoria che coinvolge gli istituti superiori di Moncalieri (Torino), è stato realizzato alcuni anni fa nel corso di un viaggio didattico al campo di sterminio di
Ravensbrück, in compagnia delle ex deportate Anna Cherchi e Natalìa Tedeschi. Le immagini riprese dalla giovane regista (che al tempo aveva 18 anni) hanno il merito di mostrare Anna Cherchi intenta  a spiegare il lager agli alunni.
 Dell’ex partigiana traccia un ritratto l’amico Carlo Ottino, visibilmente commosso. «Era così come nel video», dichiara:
«semplice, rigorosa, precisa, molto chiara. Era una persona che non ha mai tradito se stessa». La vita di Anna Cherchi non è stata facile. Anna è stata operaia, dentro il lager (dove venivano fabbricati i Messerschmitt, arma dell’aggressione nazista al mondo), ma anche fuori, al rientro in Italia, alla Fiat. Anna, continua Ottino, «non aveva la patacca dell’università; aveva il segno della vita e il dono di trasmetterla». Trasmettere moralità, ideali, la capacità di giocarsi fino in fondo la propria responsabilità. «Anna era una persona eccezionale», anche se non si sentiva tale. Era semplice e sapeva ascoltare.
 Ottino parla delle industrie tedesche, quelle che sfruttarono il lavoro dei deportati, ad esempio la Krupp, che
«si porta dentro il sangue di quelle persone». «Sono cose che non si possono e non si devono mai dimenticare». La Memoria, infatti, non è semplice ricordo: la Memoria deve partire dalla conoscenza critica del passato per guardare al presente e al domani. Deve esserci una continuità di Memoria tra le generazioni, «altrimenti sarebbe inutile essere qui: è accaduto, può ripetersi». E i genocidi non sono cessati con il 1945: basti guardare all’ex Jugoslavia. Ottino invoca la «responsabilità dell’impegno», perché «i
fascismi non devono tornare, i fascisti non devono più avere il diritto
di governare per ammazzare e rovinare il loro Paese e il mondo». Ma le radici del fascismo esistono ancora, perciò
«siamo tutti in ballo».
 Tocca poi a Lucio Monaco continuare il ritratto di Anna,
una donna la cui vita è stata molto difficile. Figlia illegittima,
abbandonata all’orfanotrofio
dalla madre, fu affidata a una famiglia
contadina semplice, con un padre di famiglia eccezionale, che seppe educare i propri figli all’antifascismo. Una famiglia che, all’indomani dell’8 settembre, rifornì di abiti civili i soldati sbandati e diede ospitalità ai partigiani. Le SS bruceranno la cascina e Anna,
scappando, raggiungerà la resistenza. Sarà arrestata nel corso di un
rastrellamento, quando si offrirà prigioniera per salvare due
partigiani, tra cui il fratello.
 
«Parlare di deportazione significa parlare di resistenza e quindi di dopoguerra», dice Monaco. Quando Anna tornò in Italia s’iscrisse alla Fiom e in fabbrica fu emarginata a causa della sua combattività (finì a pulire i gabinetti).
 Infine, prende la parola Ida Désandré, che racconta di aver conosciuto Anna Cherchi a Roma, in occasione di una conferenza. Ida, ex deportata politica, riprende due parole di Anna,
«solidarietà» e «libertà», ma sottolinea come all’interno del lager, la solidarietà arrivasse solo fino a un certo punto: «C’era la fame», dice: «si rubava il pane». Anche rispetto al concetto di «libertà», Ida è molto critica: «C’è stata la liberazione», ammette: «ma
dopo? Non c’è stata la libertà di parlare o non si è stati creduti.
Quattro anni, ad esempio, sono dovuti passare prima che si accettasse di pubblicare Se questo è un uomo. Quel che era successo è stato talmente grande da sembrare incredibile».
Eppure, aggiunge, tutto era stato programmato con scrupolo a partire
dagli anni ’20, a partire dal Mein Kampf.
 
Per finire, il pensiero di Ida va a tutte le deportate e tutti i deportati: «Oggi», conclude, «è la Giornata della Memoria, non la Giornata
della Shoah
». «Oltre agli ebrei ci sono tutti gli altri: politici,
zingari, omosessuali, persone handicappate», tutte vittime che dobbiamo
ricordare.



Questa voce è stata pubblicata in General. Contrassegna il permalink.