Sabato 19 maggio, primo pomeriggio: arriviamo a Novara. Il punto di partenza della manifestazione è il piazzale davanti alla stazione. Cerchiamo un posto per parcheggiare. Chiediamo informazioni a tre carabinieri in tenuta antisommossa. Una via è stata transennata e adibita a parcheggio per i manifestanti. Ci fermiamo, accostiamo accanto a un bar. Il gestore, un ragazzo, ci racconta che a tutti i commercianti è stato consigliato di tenere chiuso in occasione della manifestazione. Si temono disordini. E infatti lo spiegamento di forze dell’ordine è impressionante: è tutto un pullulare di camionette e uomini in divisa, con il casco e lo scudo trasparente. Raggiungiamo la stazione e rimaniamo colpiti da un senso di sproporzione: non sono mai stato bravo a fare i conti, ma non credo che i presenti siano più di qualche centinaia [1.500, leggo il giorno dopo sul giornale]. Forse la partecipazione è stata sovrastimata, ma secondo me c’è un poliziotto ogni due o tre manifestanti.
La ragione di tanta mobilitazione di uomini e mezzi da parte di questura e comandi è molto semplice. Oggi da questa piazza muoverà il troncone “nord-occidentale” della Carovana contro la guerra, per il disarmo e la pace. È un’occasione di lotta, ma lotta nonviolenta. A Novara si manifesta, in particolare, contro la decisione del governo di partecipare alla costruzione del nuovo caccia bombardiere americano Joint Strike Fighter F-35, che dovrebbe coinvolgere l’aeroporto della vicina Cameri per l’assemblaggio di alcune parti.
Bighelloniamo tra la gente che aspetta l’inizio della sfilata, le bancarelle con le pubblicazioni, il gazebo del coordinamento No F-35 (dove compriamo due panini, una bottiglietta d’acqua e una birra), il banchetto dove firmiamo contro il coinvolgimento dell’Italia nel progetto dello scudo antimissile americano. Fotografo i cartelli, gli striscioni.
Poi ci si mette in piedi e si dà inizio al corteo. Un uomo con la bandiera No Tav continua a ripetere che non ci sono le famiglie e, in effetti, rispetto ad esempio a Vicenza, sembra mancare quella bella partecipazione trasversale, capace di mettere assieme tutte le età. Mi pare che qui la maggioranza dei manifestanti sia composta di giovani e attivisti, dagli anarchici ai militanti del Partito comunista dei lavoratori. L’uomo con la bandiera No Tav scherza e dice che in pianura organizzare la lotta è più difficile che sui monti: era così anche durante la resistenza.
Oltre ai No Tav, provenienti dalla Val di Susa ma anche dal Trentino Alto Adige, sono presenti esponenti del movimento No dal Molin, segno eloquente del fatto che le esperienze locali hanno imparato a parlare fra loro e hanno capito che le battaglie degli uni sono le battaglie degli altri.
In testa al corteo, un gruppo di ragazzi dalle vesti sgargianti danno il ritmo alla marcia con tamburo e altre percussioni.
Segue lo striscione del Coordinamento No F-35: “No alla fabbrica della morte”.
Quella dell’F-35 è una brutta storia. Si tratta di un aereo d’attacco, capace di trasportare bombe aria aria e aria terra, dotabile, eventualmente, di armamenti nucleari. Il suo punto di forza è la presunta invisibilità ai radar, che lo renderebbe il velivolo ideale per missioni fuori area, vale a dire i bombardamenti di territori altrui, caratteristica difficilmente conciliabile con il dettato dell’articolo 11 della nostra Costituzione, che ripudia la guerra e autorizza una funzione esclusivamente difensiva delle forze armate.
Il governo italiano, in ogni caso, sarebbe interessato all’acquisto di un centinaio di F-35. Un’idea sconcertante, soprattutto se si considera che il nostro Paese è già impegnato come partner di primo livello insieme a Germania, Gran Bretagna e Spagna, nel progetto tutto europeo del caccia Eurofighter (EF 2000). Oltre ai 100 velivoli americani, insomma, è probabile l’acquisto di un numero almeno equivalente di bombardieri europei. Il tutto, come si può agilmente intuire, per esigenze eminentemente difensive.
La possibilità di aprire una linea di assemblaggio di parte dell’F-35 presso l’aeroporto di Cameri è sembrata una buona idea tanto al governo, rappresentato dal sottosegretario alla Difesa Giovanni Forcieri, ma anche al presidente della provincia di Novara, Sergio Vedovato, e infine al sindaco di Cameri, Maria Luisa Crespi. L’impresa è stata recentemente valorizzata come un’importante occasione economica, che dovrebbe garantire ricadute positive in termini occupazionali. Inizialmente si era parlato di ben 10.000 nuovi posti di lavoro. Ma presto le cifre si sono sgonfiate e oggi si stimano appena 200 nuovi impieghi (per tecnici già occupati presso aziende del settore, che verrebbero distaccati nel novarese), cui si se ne potrebbero aggiungere indirettamente altri 800, non tanto in quanto indotto, ma in termini di ricadute dovute alla presenza di lavoratori che temporaneamente spenderebbero nella zona parte del loro reddito (insomma, stiamo parlando dell’aumento del giro d’affari delle pizzerie della zona!).
Ma quale sarebbe la spesa pubblica necessaria a garantire questo migliaio di posti di lavoro? Secondo le cifre indicate lo scorso 30 gennaio dal sottosegretario Forcieri alla Commissione Difesa del Senato, si tratta di appena 1.430 milioni di euro. Sulla qual cosa non voglio esprimere commenti.
Cori, bandiere, magliette di protesta. La manifestazione non sarà enorme, ma certo è sentita. Si procede tranquillamente per le vie di Novara. Poliziotti in testa al corteo e carabinieri in coda. Agenti fermi sotto il sole a ogni incrocio. Si continua a camminare seguendo la musica e battendo le mani. Un ragazzo a torso nudo continua a bacchettarci: «Battete le mani, siamo in centro, facciamoci sentire!». L’ultima parte del percorso si snoda lungo le vie pedonali, piene di gente, di locali aperti e di passeggio. Dopo averci rigorosamente isolati dal resto della città per i tre quarti del cammino, le forze dell’ordine ci permettono di avanzare in mezzo ai cittadini sfaccendati del sabato. Quindi scendiamo verso la stazione, dove si tengono i comizi.
Si parla della Carovana contro la guerra, che parte oggi da qui, da Sigonella e da Aviano, per convergere su Roma, dove arriverà il 2 giugno per celebrare la festa della Repubblica in maniera alternativa alla parata militare dei Fori imperiali. Ricordano, gli oratori, che non abbiamo amici in Parlamento. Che c’è l’appuntamento del 9 giugno a Roma, per manifestare contro Bush “persona non gradita”.
O il 16, in piazza Castello a Torino, contro gli armamenti nucleari. S’invitano i presenti a togliere i propri soldi dalle banche armate. Si fa presente che i movimenti si stanno unendo, sostenuti in questo dal il governo di centrosinistra, che li aiuta a perdere anche le ultime illusioni. I conflitti – si dice – stanno andando avanti, in modo sempre più duro. E sembra che solo restando al di fuori del mondo della politica sia ancora possibile fermare i potenti.