Pubblico un comunicato della redazione del settimanale «Carta», voce fuori dal coro che da 12 anni fa informazione indipendente presentando una visione diversa del mondo e della cittadinanza attiva. Quello in edicola il 22 ottobre è l’ultimo numero della versione cartacea del giornale, oppresso dai debiti e dai tagli di Tremonti, oltre che – facciamo autocritica – dai mille rivolgimenti della sinistra italiana.
Assolutamente vivo è invece il sito Carta.org, che invito a visitare.
La traversata del deserto
Carta [22 ottobre 2010]
Siamo costretti ad annunciarvi che Carta dalla prossima settimana non sarà in edicola. Non possiamo più stampare il giornale. Il governo non ha ripristinato i fondi per l’editoria e questo non ci consente di programmare la vita della cooperativa. Gli abbonati continueranno a ricevere il giornale. È un passo necessario a inventare il futuro.
Il numero di Carta del 22 Ottobre è l’ultimo ad andare in edicola. Almeno per ora. Non avremmo voluto dirvelo così né dirvelo adesso. Perché non avrebbe dovuto essere così, tantomeno ora. Come abbiamo scritto la scorsa settimana, però, nella traversata del deserto che abbiamo iniziato, non tutto dipende dall’ottimismo della nostra volontà.
Abbiamo resistito finora, faticosamente e grazie al vostro incoraggiamento, perché speravamo che nella Legge di stabilità, quella che una volta con meno ipocrisia si chiamava Finanziaria, potessero rientrare dalla porta i finanziamenti all’editoria che Giulio «Mani di forbice» Tremonti ha fatto uscire dalla finestra. I fondi non ci sono, anzi, quelli che ci sono, sono drammaticamente inadeguati. Una beffa, oltre che un danno immediato e concreto. I fondi che il governo ha deciso di lasciare all’editoria, peraltro, non sono legati al diritto soggettivo che – come ormai sapete perché lo abbiamo scritto tante volte – consentirebbe di scontare in banca l’anticipo sui fondi e dunque avere la liquidità necessaria a rimettere in moto la nostra cooperativa, che ha già fatto e continua a fare grossi sacrifici, come aspettare lo stipendio da marzo.
Sappiamo che tanto il diritto quanto i fondi potrebbero tornare in ballo nel famigerato «decreto milleproroghe» che il governo manderà alle camere in dicembre. Doveva essere così anche l’anno scorso, e non è stato. Non possiamo aspettare dicembre, non abbiamo più soldi nemmeno per stampare. Per cui abbiamo deciso di fare un gesto che, per noi, è drammatico: ritirarci dalle edicole. È una decisione imposta ed è drammatica perché per noi l’edicola è sempre stata un modo per segnalare, concretamente, la nostra sfida al mercato editoriale, distorto e concentrato quant’altri mai.
Ci ritiriamo dalle edicole, ma gli abbonati continueranno a ricevere un settimanale almeno fino alla fine dell’anno. Vogliamo farlo per lealtà nei loro confronti, anche se il settimanale non sarà il Carta che avete conosciuto finora, e dobbiamo farlo per rientrare nei parametri della legge sui finanziamenti all’editoria e puntare a prendere anche il credito che abbiamo maturato nel corso del 2010. Sarebbe irresponsabile se non lo facessimo, nonostante gli ulteriori sacrifici che ciò comporterà. Messo al sicuro il credito del 2010, quel che accadrà nel 2011 è tutto da vedere. Al meglio, cade il governo e una nuova maggioranza ripristina il diritto soggettivo, cioè ci restituisce l’ossigeno per un minimo di programmazione aziendale e la lucidità per immaginare un progetto editoriale adeguato al nuovo contesto sociale, politico e tecnologico. Al peggio, la traversata del deserto durerà per un anno, fino a quando, a fine 2011, sapremo quanti soldi dobbiamo incassare dal 2010. E saremo in grado di articolare un nuovo progetto.
Non staremo fermi, in questa traversata. Per due motivi: abbiamo intenzione di ricostruire uno spazio di comunicazione e politico a partire dal web. Siamo consapevoli che il web, in Italia, e specialmente per l’informazione indipendente, è molto indietro rispetto agli exploit statunitensi e agli investimenti che alcuni grandi gruppi stanno facendo. Tuttavia, ci sembra essenziale continuare a tenere vivo un esempio di comunicazione non allineata al mercato e provare anzi a lanciare nuove sfide, all’altezza dei tempi e della fame di una narrazione diversa da quella dominante, sia per i temi sia per le forme, sganciate dal modello di informazione ereditato dall’epoca precedente.