Dio creò il mondo, ma non lo brevettò

Dio creò il mondo e i suoi abitanti, e non li brevettò. Forse intendeva questo, parlando di libero arbitrio. Leggo invece che il padrone di Facebook vuole comprare i diritti per l’uso della parola «face» («faccia»), che – peraltro – esiste da millenni e non ha certo inventato lui.

È un mondo becero quello nel quale tutto (tutti?) ha(nno) un padrone. Eppure, guardandoci intorno, troviamo davvero pochi ambiti privi di copyright, di gestori autorizzati, di «privati» che «loro sono meglio perché non sprecano come fa lo Stato», ecc. ecc.

Dovremmo riappropriarci dell’«intorno» attorno a noi. Dovremmo riappropriarci di noi stessi.

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Una lezione di precarietà da CEPU/Grandi Scuole (di Alessandro Pascale)

Una lettera aperta dell’amico Alessandro Pascale, apparsa nelle pagine regionali della Stampa di oggi (25 novembre 2010). Si parla della sede CEPU di Aosta, ma onestamente non credo che la situazione sia diversa nel resto d’Italia.

Una lezione di precarietà da CEPU/Grandi Scuole
di Alessandro Pascale

Da gennaio a settembre sono stato sotto contratto con CESD SRL, società che raduna i gruppi CEPU e Grandi Scuole, svolgendo l’attività di tutor presso la sede di Aosta. È stata una bella esperienza di lavoro, che mi ha permesso per mesi di terminare l’università e contemporaneamente lavorare per mettere da parte qualche soldo. Ovviamente il tutto con contratto a progetto, in una classica collaborazione precaria a tempo determinato.

Nonostante la scadenza del contratto fissata al 15 settembre per mesi mi sento ripetere dal coordinatore della sede (sia quello vecchio che quello nuovo subentrato ad agosto-settembre) che mi verranno confermati il contratto e le ore di lezione avute precedentemente. Anzi, dovrebbe esserci pure la possibilità che queste aumentino, viste le mutate condizioni (che non starò qui a elencare nel dettaglio) rispetto all’anno precedente. Frequentemente mi reco in sede per chiedere sull’inizio dei nuovi corsi e sui tempi per firmare nuovamente il contratto. Mi si ripete che questo non è pronto ma che non ci saranno problemi nei miei confronti, e che l’inizio delle lezioni è previsto per il 18 ottobre. La settimana precedente il 18 posso assistere personalmente alla stesura provvisoria degli orari con all’interno il mio nominativo, anche se mi viene annunciato che ci saranno dei ritardi ulteriori per l’inizio delle lezioni, ma che verrò avvisato al momento opportuno.

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Niente compostaggio, siamo valdostani!

Quando pubblico un articolo sulla mia regione, la Valle d’Aosta, oltre che di raggiungere il pubblico locale, mi ripropongo sempre, per ciò che posso, di far sapere oltre le Colonne d’Ercole di Pont-Saint-Martin che cosa succede nella regione più piccola d’Italia, al di là di miti e leggende di prosperità e buongoverno, che tutto fanno tranne che l’interesse della popolazione.

Al cittadino delle altre regioni potrà sembrare strano che in una regione che conta poco più di 120 mila abitanti (non è un errore: la regione, non il capoluogo, ha 120 mila abitanti – entrerebbero tutti in un quartiere di una grande città!) si pensi di costruire un inceneritore (pardon, un pirogassificatore) per gestire lo smaltimento dei rifiuti, senza prima avere provato a fare il salto di qualità nel recupero/riciclo dei materiali, ad esempio costruendo un centro di compostaggio per la frazione umida.

Potrà anche sembrare strano che, mentre il progetto dell’impianto di pirogassificazione sta per tradursi in realtà, i valdostani abbiano smesso di interessarsi della cosa, come se si trattase della moda di un’altra stagione. Ma naturalmente se la popolazione ricordasse, se si organizzasse, certe “soluzioni” non sarebbero considerate le uniche possibili dalle amministrazioni.

Quello che segue è uno scritto di Luna Meneghini, del Comitato Rifiuti Zero Valle d’Aosta, che racconta come, dopo la consegna di una petizione popolare per ottenere il centro di compostaggio, la Regione abbia bocciato non solo la costruzione dello stesso, ma persino la possibilità di uno «studio» sulla sua «fattibilità».

Resta però da chiedersi: in base a quale principio?

Perché bocciare uno studio?

di Luna MeneghiniComitato Rifiuti Zero Valle d’Aosta

Qualche settimana fa sui giornali si leggeva «Respinto l’impianto di compostaggio». In realtà a inizio novembre la commissione non boccia solo la costruzione di un centro di compostaggio, boccia uno studio sulla fattibilità di un centro di compostaggio unico regionale o di vari centri di compostaggio collettivo. Il “no” allo studio, secondo l’assessore Zublena, dipende da un metodo basato su dati e fatti (quali fatti?). Che i dati dello studio di fattibilità siano già stati raccolti e analizzati? Ma allora perché non risponde dicendo che il “no” in commissione è per evitare il ripetersi di un lavoro già fatto? E se ci sono, ce li presenti i dati di questo studio! Se non fosse così, invece, perché non vogliono sapere se la costruzione di un centro di compostaggio ha senso?

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Voi siete qui – Cronache dall’Italia futura (di Alessandro Robecchi)

Pubblico, con il consenso dell’autore, questo articolo di Alessandro Robecchi, pubblicato sul manifesto del 21 novembre 2010.

In ordine sparso, le notizie di cronaca politica che leggerete sui giornali la prossima settimana.

Undici tonnellate di rifiuti lasciano le strade di Napoli per passare a Futuro e Libertà. Appello dei vescovi perché Mara Carfagna scenda dalla gru. Dell’Utri presenta a un boss mafioso il termovalorizzatore di Acerra. Bobo Maroni va in tivù da Fazio e Saviano a fare l’elenco delle fiaccolate leghiste organizzate negli ultimi anni contro la ‘ndrangheta: sei minuti di silenzio, 28 per cento di audience. Settanta tonnellate di macerie de L’Aquila lasciano il centro storico per approdare all’Mpa di Lombardo. Il Pd perde le primarie a Castagnito (Cuneo). Continua a leggere

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Le bombe in Italia e il frattempo da nutrire

Dal vertice Nato di questo fine settimana dovrebbe giungere la conferma che la “superpotenza” americana intende fondare sempre più la propria egemonia mondiale sull’unico settore in cui è ancora egemone: la guerra. Se dal punto di vista economico il sorpasso della Cina sugli Usa è atteso entro breve, Washington ritiene però di poter puntare sulle armi per conservare la propria supermazia sul resto del mondo. Una via estremamente pericolosa, che promette di ridefinire i rapporti con gli alleati, in primis l’Europa, e poi con Mosca, al fine di legare tutti quanti alle politiche del Pentagono tramite apparati interconnessi di difesa come lo “Scudo” antimilssile già voluto da Bush (ma la storia è più vecchia: qualcuno ricorda le “guerre stellari” di cui parlava un tempo l’amministrazione Reagan?).

Nel frattempo, che l’alleanza militare occidentale guidata dagli Stati uniti, la Nato, si stia riorganizzando è del tutto evidente. Purtroppo, data la posizione geo-strategica della penisola italiana, i vertici militari dell’Alleanza stanno concentrando sempre più centri operativi, basi e depositi militari nel nostro Paese, con il beneplacito, disgustosamente bipartisan, dei nostri governi e amministrazioni locali.

Dall’incontro di questo fine settimana a Lisbona dovrebbe giungere l’ordine (come altro chiamarlo?) di concentrare in due soli Paesi (Italia e Turchia) tutte le armi atomiche di cui l’Alleanza dispone in Europa (alcune delle quali, sembrerebbe, decisamente obsolete). Rischiamo una concentrazione di bombe che se non lascia presagire nulla di buono dal punto di vista igienico-sanitario e ambientale, sicuramente aumenterà le possibilità di attentati nelle città italiane e aggancerà sempre più questo (ex) Belpaese alla politica mondiale della «guerra permanente».

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Che pensate di una manifestazione per la pace in caserma?

Oggi due volte. All’ora di pranzo, davanti a casa. Nel tardo pomeriggio, di fronte all’ospedale.

Convogli di blindati «Lince» in centro. Forse sei per volta. Il milite in torretta dietro il suo bel mitra.

La città non è uno spazio militare. Organizziamoci per “rosicchiare spazi di pace“.

La mia petizione online per ridare il giusto nome alle cose («Basta ipocrisie: ripristiniamo il Ministero della Guerra») per ora non funziona: 46 firme in due mesi. Eppure non si tratta di una questione formale, come forse potrebbe apparire, ma di una maniera per dire no alla «guerra umanitaria» (perché così ce la propongono).

Hanno usurpato il linguaggio. Si sono appropriati dei significanti e ne hanno stravolto il significato. Diversamente, la guerra sarebbe illegale. Incostituzionale. E i nostri “eroi” (non dubito che alcuni lo siano, a modo loro; solo detesto la retorica) sarebbero complici di guerre imperialiste.

Forse qualcuno di più si arrabbierebbe.

Perciò firmate la petizione, ma impegniamoci a trovare altre forme di protesta. Credo che l’importante, in questo caso, sia agire sul piano simbolico. Contro l’esercito forse il Parlamento sarebbe impotente anche se non fosse connivente (e forse no, però le lobby esistono). Potrebbe aiutare un po’ preparare il terreno.

Ora io chiedo ufficialmente alle autorità civili e militari del capoluogo regionale e della Valle d’Aosta in base a quali accordi mezzi di guerra girino armati (il punto non è se le armi sono cariche o meno: non ho certo paura che si mettano a sparare) in luoghi civili.

Ora io chiedo ufficialmente alle autorità civili e militari del capoluogo regionale e della Valle d’Aosta se davvero ritengono indispensabili queste sfilate di blindati nelle vie cittadine, frequentate da bambini, da persone di pace, magari qualche volta persone traumatizzate da violenze subite.

E se mi si dimostrerà che i permessi sono stati dati a buon diritto, e che è cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza nella guerra contro il terrorismo allenarsi a pattugliare le strade cittadine, fare in Italia le prove generali della guerra (pardon, della «missione di pace») domanderò allora che in base al criterio della reciprocità sia consentito a me e a chi vorrà essere della partita di varcare i confini delle zone militari per portare in parata i simboli della pace.

Se la città, luogo civile, deve essere aperta alle armi, allora immagino che le caserme, luogo militare, debbano essere aperte ai pacifisti, alle sfilate contro la guerra, alle bandiere arcobaleno.

La proposta, come al solito, è simbolica. E credo che possa contribuire a costruire un immaginario diverso.

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La montagna innamorata

Recita il comunicato stampa: «È stato pubblicato dalla Montag Edizioni di Tolentino (Macerata) il romanzo “La montagna innamorata” di Franca Fabrizio». Franca Fabrizio è la mia dirigente scolastica, fatto che mi ha permesso di leggere il libro quasi in anteprima.

Il tema trattato non c’entra nulla, o quasi, con quanto di solito propongo in queste pagine, e tuttavia non ho saputo trattenermi dal fornirne una breve recensione: non avrei mai immaginato, infatti, la mia dirigente, così professionale e seria, alle prese con le elucubrazioni di una montagna accesa d’amore, le cui «vecchie membra» cominciano «a scuotersi e a palpitare», «una calda domenica di agosto», per l’improvvisa presenza dell’alpinista Andrea.

«Quando vidi i suoi occhi fissarmi fu come se tra me e lui non ci fosse alcuna materia a dividerci. Sentii l’unione forte tra due anime che si erano, forse, ritrovate dopo tanto tempo».

La montagna e il giovane stabiliscono un contatto intenso, grazie al quale la prima diventa «capace di provare sensazioni ed emozioni» umane; di più, entra talmente in sintonia con lo spirito di Andrea da viverne i pensieri, permettendo così al lettore di fare conoscenza con gli altri personaggi, Ernesto, Anna e Alba, legati ad Andrea in maniera certa, ma dapprincipio misteriosa (e guarda un po’ come mi devo arrampicare sugli specchi per evitare di fare troppe anticipazioni).

L’autrice ci guida in un mondo fatto di dovere, lavoro e amore, forse di follia, all’interno del quale c’è anche spazio per il colpo di scena o per per vicende molto divertenti, come quelle del padre di Alba, oggi importante commerciante, quand’era ancora un giovane e scapestrato rubacuori, convittore in un convento di frati.

Di più non dico: potete leggere il libro. Oltretutto, i diritti d’autore andranno in beneficenza, perciò, acquistatelo (potete prenotarlo online).

La prima presentazione pubblica si terrà ad Aosta, alla presenza dell’autrice, presso la libreria «A la page» di via Maillet 5, questo venerdì (19 novembre) alle ore 18.

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