Certi anniversari vanno ricordati, anche se questo 24 maggio è quasi finito e, soprattutto, lontana è la memoria di quel 24 maggio 1915, ricordato nella «Leggenda del Piave» (leggenda, appunto): l’epos dell’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale, le “gesta” di Caporetto e di Vittorio Veneto, l’Italia vittoriosa ma bistrattata dai propri stessi alleati.
96 anni dopo eccoci qua, con le stesse magagne, la stessa mancata democrazia, la stessa propensione per l’avventurismo militare (sia pure con mezzi più sofisticati e letali), tutti assieme intenti a dimenticare il passato, se non a celebrare la «vittoria».
Ricordiamoci allora, al di là della retorica, che la prima guerra mondiale produsse milioni (milioni!) di morti e milioni di invalidi, mise l’Europa in ginocchio, scontentò tanto i vinti quanto i vincitori ponendo così le premesse dell’avvento di totalitarismi quali il fascismo e del nazismo, e naturalmente dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Si tratta, insomma, di un avvenimento storico sul quale il nostro giudizio di posteri dovrebbe essere ormai serenamente negativo; invece, nella nostra mente, essa si contrappone spesso, in positivo, ai crimini inumani del conflitto successivo, che ci vide nei panni dei “cattivi”: per molti – soprattutto in questo 2011 degli anniversari – l’Italia, tra il ’15 e il ’18, combatté al fianco dei “buoni” e con Vittorio Veneto si coprì di gloria, dando il colpo di grazia alla nemica Austria.
Ma la storia non serve a niente (in questo avrebbero ragione i miei alunni) se non la mettessimo a confronto con l’oggi, con la situazione del nostro desolato Paese che in 96 anni ancora non ha imparato quali dovrebbero essere le fondamenta della propria, sedicente, democrazia.
L’Italia dei contadini poveri che scelse di “puntare” i soldi pubblici alla roulette di un’avventura militare per la quale il Paese non era neppure preparato ricorda da vicino la nostra Italia del welfare a pezzi, che sceglie di spendere milioni di euro per esportare (ah ah!) in Afghanistan e in Libia quei diritti che nega quotidianamente in casa propria.