La Sacra corona unita colpisce a Mesagne con una bomba in pieno giorno

È successo ieri pomeriggio verso le due e mezza a Mesagne (Brindisi), la città in cui mi trovo in questi giorni.

Una bomba è esplosa davanti all’abitazione dell’imprenditore Luigi Devicienti, distruggendone la porta d’ingresso, la stessa porta a cui era stato dato fuoco giusto un mese fa, il 26 luglio.

«Lo scoppio terrificante sarà avvertito in tutta la città, anche nei quartieri più periferici», ha scritto il quotidiano online Mesagne Sera. «Manda in frantumi il portone d’ingresso, spezza i marmi della porta come se fossero stecchini, manda in frantumi i vetri delle abitazioni circostanti per un raggio di oltre cento metri. Due auto che erano parcheggiate di fronte all’abitazioni restano danneggiate; una vecchia Panda di colore bianco è sommersa dai detriti; lo sportello di una Megane Renault per l’onda d’urto determinata dallo scoppio viene spostato e non si apre. L’agenzia di assicurazioni della signora Carluccio è letteralmente sventrata. Il vuoto d’aria provocato dalla bomba ha rotto anche i vetri delle finestre delle prima abitazioni di via Gianpietro Zullo».

Luigi Devicienti è un imprenditore coraggioso, che non ha mai accettato il racket e – per questo motivo – ha subito diversi tentativi di intimidazione. Dopo l’incendio del 26 luglio aveva dichiarato al Quotidiano di Puglia: «Più volte è venuta gente a chiedere soldi, ma non ho regalato soldi a nessuno. I pochi guadagni del mio lavoro, che faccio dalla mattina alla sera, li divido con i miei dipendenti e li investo nel potenziamento dell’azienda. La mia è un’azienda seria che lavora con privati ma anche con enti pubblici. Evidentemente c’è qualcuno che è invidioso e che mi vuole fermare. Non ho dubbi, a colpirmi è stata la criminalità organizzata. Diversamente non so che pensare perché non ho litigato o fatto torto a nessuno. Forse sto dando fastidio agli interessi di qualche criminale. Io lavoro onestamente. Che gli altri facessero la stessa cosa».

Al momento dell’attentato la casa era vuota. E deserta era anche la strada, data l’ora e il caldo. Erano comunque le due e mezza del pomeriggio ed è quindi un caso se nell’esplosione non è stato coinvolto qualcuno, magari una macchina di passaggio. Pochi secondi prima dello scoppio, una signora era passata di là, tornando a casa con due bambini. Mi chiedo se anch’io devo aver paura che, all’improvviso, mentre passeggio con mia figlia, un’esplosione scuota la casa davanti alla quale sto camminando. Una donna, al quarto mese di gravidanza, si è molto spaventata: se fosse stata una gravidanza a rischio che sarebbe successo? E se nella zona vi fosse stato un cardiopatico? Non sono queste, naturalmente, le cose che interessano alla criminalità, a chi, per dare un avvertimento, non si preoccupa di niente e nessuno.

La questione centrale, comunque, rimane la pressione della Sacra corona unita su un territorio che avrebbe tutte le risorse per sviluppare attività capaci di dare lavoro e benessere a una terra colpita dalla crisi dell’agricoltura. La questione centrale rimane la difficoltà di portare avanti qualunque attività imprenditoriale senza doversi confrontare con personaggi che non hanno alcun diritto e titolo per pretendere la riscossione di un tributo e che quel tributo intendono utilizzare non solo per se stessi ma, in particolare, per le loro attività criminose. La questione centrale rimane che solo chi è dotato di un coraggio non comune accetta il rischio di opporsi a questa forma di cancro che divora questa terra.

Sono furibondo nei confronti di chi non esita a prendere con la forza ciò che non gli spetta e sono furibondo nei confronti di chi dovrebbe occuparsi di queste cose – i problemi veri dell’Italia – e invece perde tempo a soddisfare i diktat di qualche potere economico forte, se non è addirittura in combutta con le mafie. Chi pensa che l’emergenza nazionale sia eliminare le feste civili o impedire uno sciopero generale. E sono personalmente grato a persone che hanno la forza di opporsi, come Luigi Devicienti, al quale va tutta la mia stima e la mia solidarietà. In questi giorni, le locandine delle edicole parlano spessissimo di racket. Ieri ne ho viste due e un’altra, vicina, diceva che la procura di Brindisi non ha più carta e che l’ha chiesta alla Provincia. C’entra qualcosa con il proliferare delle mafie?

Per quanto riguarda poi quegli altri, i mandanti e gli autori materiali dell’attentato, su di loro non voglio soffermarmi, neppure per insultarli: con le loro azioni hanno scelto di mettersi al di fuori del consorzio civile; hanno rifiutato deliberatamente quei vincoli di affetto e solidarietà che formano la società umana; costituiscono un corpo estraneo, una specie di tumore.

>>> Invece di andare voyeuristicamente a scattare una foto del luogo dell’attentato ho preferito illustrare l’articolo con l’iscrizione che campeggia sulla Porta grande di Mesagne.

Pubblicato in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura) | Contrassegnato , , , , , | 3 commenti

Manovra e armi: il male oscuro – appello di Alex Zanotelli

Copio e incollo l’appello di Alex Zanotelli per una manovra basata sul taglio della spesa militare. È possibile aderire all’appello sul sito www.ildialogo.org.

Manovra e armi: il male oscuro
di Alex Zanotelli.

In tutta la discussione nazionale in atto sulla manovra finanziaria, che ci costerà 20 miliardi di euro nel 2012 e 25 miliardi nel 2013, quello che più mi lascia esterrefatto è il totale silenzio di destra e sinistra, dei media e dei vescovi italiani sul nostro bilancio della Difesa. È mai possibile che in questo paese nel 2010 abbiamo speso per la difesa ben 27 miliardi di euro? Sono dati ufficiali questi, rilasciati lo scorso maggio dall’autorevole Istituto Internazionale con sede a Stoccolma (SIPRI). Se avessimo un orologio tarato su questi dati, vedremmo che in Italia spendiamo oltre 50.000 euro al minuto, 3 milioni all’ora e 76 milioni al giorno. Ma neanche se fossimo invasi dagli UFO, spenderemmo tanti soldi a difenderci!!

È mai possibile che a nessun politico sia venuto in mente di tagliare queste assurde spese militari per ottenere i fondi necessari per la manovra invece di farli pagare ai cittadini? Ma ai 27 miliardi del Bilancio Difesa 2010, dobbiamo aggiungere la decisione del governo, approvata dal Parlamento, di spendere nei prossimi anni, altri 17 miliardi di euro per acquistare i 131 cacciabombardieri F 35. Se sommiamo questi soldi, vediamo che corrispondono alla manovra del 2012 e 2013. Potremmo recuperare buona parte dei soldi per la manovra, semplicemente tagliando le spese militari. A questo dovrebbe spingerci la nostra Costituzione che afferma: «L’Italia ripudia la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali…» (art.11) Ed invece siamo coinvolti in ben due guerre di aggressione, in Afghanistan e in Libia. La guerra in Iraq (con la partecipazione anche dell’Italia), le guerre in Afghanistan e in Libia fanno parte delle cosiddette «guerre al terrorismo», costate solo agli USA oltre 4.000 miliardi di dollari (dati dell’Istituto di Studi Internazionali della Brown University di New York). Questi soldi sono stati presi in buona parte in prestito da banche o da organismi internazionali. Il governo USA ha dovuto sborsare 200 miliardi di dollari in dieci anni per pagare gli interessi di quel prestito. Non potrebbe essere, forse, anche questo alla base del crollo delle borse? La corsa alle armi è insostenibile, oltre che essere un investimento in morte: le armi uccidono soprattutto civili.

Per questo mi meraviglia molto il silenzio Continua a leggere

Pubblicato in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura), Piazzetta della cittadinanza attiva | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su Manovra e armi: il male oscuro – appello di Alex Zanotelli

Piazza Pulita – lettera aperta al Popolo Viola

Il 10 e 11 settembre in piazza San Giovanni a Roma è prevista l’iniziativa «Piazza Pulita», a cura del Popolo Viola. Si tratta di una due giorni di mobilitazione «per dire basta ai privilegi della Casta, alla corruzione, al malaffare, ai condannati in Parlamento. Per dire che non vogliamo che a pagare i costi della crisi e del fallimento economico del governo siano i giovani e le famiglie mentre la classe politica si guarda bene dall’intervenire sugli enormi costi della politica».

L’iniziativa è promossa da personalità del calibro di Dario Fo, Antonio Tabucchi, Margherita Hack, Paolo Flores D’Arcais e tanti altri nomi di un’Italia pulita, desiderosa di mandare a casa Berlusconi e di vedere il Paese uscire da un ventennio di completo imbarbarimento.

La piattaforma della manifestazione – che trovate online nel sito letteraviola.it – contiene, a mio avviso, richieste condivisibili e qualche criticità, fatto che mi spinge a scrivere una lettera aperta al Popolo Viola, che dell’iniziativa è organizzatore. Come ho già scritto altrove, recuperando un pensiero di Pietro Ingrao, oltre l’indignazione ci deve essere un progetto articolato e la proposta di un modello di società differente.

Ciò detto, auguro il massimo successo possibile alla manifestazione del 10 e 11 settembre.

Aggiungo che, all’indomani dell’invio della mia lettera aperta, ho ricevuto, da chi sta preparando l’iniziativa del 10 e 11 settembre, la risposta che segue:

«Ciao Mario, grazie per le tue riflessioni. Spero che tu possa portare questi argomenti in piazza a Roma in questi due giorni di mobilitazione e di discussione pubblica e di confronto. Noi tutti speriamo che questo appuntamento possa essere un bell’esercizio di vera democrazia e l’inizio di un cambiamento vero. Ti aspettiamo a Piazza San Giovanni. Grazie, Valeria».

Carissimo Popolo Viola

Carissimo Popolo Viola,

condivido appieno l’esigenza di scendere in piazza, tanto contro il «malaffare», quanto soprattutto contro le scelte di una classe dirigente che sta condannando l’Italia a un declino economico e sociale gravissimo.

Condivido l’idea che in Parlamento c’è una “casta” intenta a tutelare i propri privilegi e interessi, e quelli delle lobby amiche, che possono impunemente inquinare, deturpare, saccheggiare il Paese con poco o nessun riguardo per la salute pubblica e il futuro delle nuove generazioni.

Molti dei punti della “piattaforma” della manifestazione «Piazza Pulita» mi sembrano condivisibili. Chiedete il dimezzamento delle indennità parlamentari, e questo mi sta bene; chiedete la revisione dei rimborsi elettorali ai partiti, e anche questo può andar bene; chiedete «una seria e severa legge anticorruzione», il che mi trova completamente d’accordo; chiedete l’abolizione dei privilegi della politica e l’eliminazione dei vitalizi dei politici: benissimo. Chiedete poi l’abolizione delle province e qui mi convincete meno: abbiamo assistito al proliferare di piccole province istituite per mangiare qualche soldo in più, ma bisognerebbe capire quali e quante province sono inutili e quali no, come anche occorrerebbe capire quale sarebbe il futuro dei dipendenti impiegati nelle amministrazioni provinciali, se si decidesse, semplicemente, di abolirle. Vorrei infine che qualcuno facesse un calcolo esatto del risparmio che dalla soppressione deriverebbe, senza mettere nel conto spese voci come la manutenzione delle strade provinciali, che dovrebbe in ogni caso essere curata anche dopo.

Il punto che mi trova davvero in disaccordo, però, è un altro: quello in cui chiedete la diminuizione del numero dei parlamentari. Per contenere i costi del Parlamento occorre tagliare gli stipendi e i privilegi, non il numero dei deputati e senatori, che non è dissimile da quello presente negli altri Paesi europei. Partendo dal presupposto che i parlamentari italiani siano soltanto inutili sanguisughe, chiunque vedrebbe con favore la loro diminuzione. Ma, portando alle estreme conseguenze il ragionamento, perché dovremmo limitarci a diminuire il numero dei parlamentari? Potremmo chiedere la soppressione di una Camera (come tante volte ha fatto Berlusconi), o anche di tutte e due, con sicuro risparmio per i conti pubblici. Faremmo però un enorme favore a chi briga per modificare gli equilibri tra i poteri dello Stato in modo da dare più autorità al governo e consentire una politica “veloce”, imposta dall’alto, che non “perda tempo” con il dibattito parlamentare, con lo scontro e la ricomposizione costruttiva di idee e posizioni diverse. Ma per fortuna l’Italia è una Repubblica parlamentare. Mi si obietterà che l’attuale Parlamento è lontano anni luce dall’immagine che ne sto tracciando rivendicandone il ruolo, il che è verissimo. Ma, proprio per questo, dobbiamo lottare per restituire al Parlamento dignità e capacità di azione contro il protagonismo eccessivo del governo (e di Confindustria), ad esempio attraverso una nuova legge elettorale che contempli le preferenze ed elimini percentuali di sbarramento fatte per chiudere le porte ai partiti e movimenti “minori”, che sono però votati da decine e centinaia di migliaia di cittadini (i quali finiscono con il ritrovarsi privi di rappresentanza).

La lotta per un Parlamento che sia davvero tale è in linea Continua a leggere

Pubblicato in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura), Piazzetta della cittadinanza attiva, Politica, Posta prioritaria | Contrassegnato , , , , , , , , , | 4 commenti

Tagliare i costi della politica non è fare la rivoluzione

Non prendiamoci in giro. Tagliare i costi della politica è cosa buona e giusta, ma del tutto insufficiente (e, se fatto male, perfino controproducente). Parliamo di spese ingenti, è vero, spese che possono e devono essere contenute; ciò detto, non illudiamoci di aver trovato la soluzione ai nostri mali. Anzi, a concentrarsi troppo sulla “casta” e sui suoi schifosi privilegi, c’è il rischio di finire, da un lato, con il favorire l’azione di un governo che tenta di modificare a proprio vantaggio l’equilibrio istituzionale tra i poteri dello Stato e, dall’altro, di perdere d’occhio i veri “poteri forti”, le lobby che contano davvero, dalla Confindustria alle mafie.

Sembrerà paradossale, ma di fronte all’alleanza tra imprenditoria e politica (con la seconda impegnata a facilitare il campo alla prima legiferando in suo favore contro la salute pubblica e contro la guardia di finanza), non bisogna colpire il Parlamento, bensì restituirgli la dignità perduta. L’Italia è – deve tornare a essere – una democrazia parlamentare, una forma di Stato in cui le decisioni che si trasformano in legge costituiscono, il più possibile, la mediazione tra istanze diverse portate (e rappresentate) da soggetti politici diversi, caratterizzati ognuno dalla propria visione del mondo e dal proprio approccio ai temi civili, etici, economici. La grandezza della Costutuzione italiana, per non fare che un esempio, deriva anche dal fatto che per scriverla e approvarla fu necessario mettere d’accordo partiti fra loro agli antipodi, come quello comunista, quello liberale e la Democrazia cristiana.

La priorità non mi sembra dunque tagliare dalla spesa pubblica qualche centinaio di migliaia di euro: lo si potrà fare (anch’io mi indigno leggendo il bilancio del Senato, con le sue folli spese per il ristorante e i tendaggi; anch’io sono contrario ai vitalizi facili e a quelle agevolazioni che nulla hanno a che vedere con il ruolo svolto), ma facendo attenzione a non peggiorare le cose. Mi ha molto colpito sentire il ragionamento per cui per dimezzare la spesa occorre dimezzare il numero dei parlamentari. Perché non dimezzare il loro stipendio, invece? Numericamente, i deputati e i senatori italiani sono all’incirca gli stessi che si trovano nei vari Paesi europei; il problema è che guadagnano mediamente di più e – dico io – valgono mediamente di meno. Tagliamo la paga, dunque, e lasciamo invariato il numero: se vogliamo restituire dignità al Parlamento è solo controproducente costringere il singolo deputato a far parte di troppe commissioni, finendo così per fare ancora peggio il proprio lavoro.

Quanto allo scarso valore dei nostri parlamentari, mi piace credere che esso sia la conseguenza di una legge elettorale iniqua, che di fatto priva i cittadini del diritto di scegliere il proprio rappresentante – lasciando tale compito alle segreterie dei partiti – e, attraverso sbarramenti e premi di maggioranza, riserva l’accesso in Parlamento ai partiti più grandi, che normalmente hanno ricette molto simili per l’economia e la società. L’appiattimento delle differenze, che è stato più volte elogiato perché permetterebbe una maggiore “governabilità” del Paese, impedisce – di fatto – la proposta e la discussione di idee altre, come ha ampiamente dimostrato la manovra di Ferragosto.

I partiti di opposizione sono sì impegnati a contestare (giustamente) singoli aspetti della macelleria sociale approntata dal governo, ma, per il resto, non hanno da offrire un’idea economica diversa, impermeabile ai diktat di Confindustria, della Banca centrale europea o del Fondo monetario internazionale.

Sulle barricate, alla fine, bisognerà salire (preciso, per l’intelligenza del censore, che mi riferisco a barricate simboliche e nonviolente). Dobbiamo scendere in strada (anche in senso proprio, stavolta) per chiedere una legge elettorale nuova che, oltre alle preferenze, reintroduca il criterio della proporzionalità, perché le Camere non devono ospitare soltanto i cultori del pensiero unico liberista. Dobbiamo ribadire che tra il welfare e le spese militari, preferiamo tagliare le spese militari. Dobbiamo proclamare lo sciopero generale ogni 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno, finché non ci saranno restituite le feste civili. Dobbiamo ricercare attivamente (lo dico, ad esempio, al “popolo viola” e ai “grillini”) un modello alternativo a quello che ha generato crisi economica e crisi democratica perché, lo ha già detto qualcuno, indignarsi non basta.

>>> Su Facebook, partecipa all’evento 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno sciopero generale.

>>> Nella foto, Montecitorio, sede della Camera Deputati.

Pubblicato in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura), Piazzetta della cittadinanza attiva, Politica | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , | 2 commenti

Salviamo le miniere di Cogne

Della Valle d’Aosta, quando va bene, si conosce l’immagine “ufficiale”: montagne incontaminate, aria buona, vigneti d’alta quota, tradizioni montane, popolazione francofona e poco altro.

Ora, le montagne della mia regione sono segnate da centinaia di strade (statali, regionali, poderali, asfaltate, sterrate, autostrade) e il fondo delle valli è un susseguirsi di capannoni e cemento. L’aria non è sempre buona, perché le valli alpine sono strette, le auto sono troppe, i riscaldamenti delle abitazioni tutt’altro che ecologici, ad Aosta c’è una grande acciaieria costruita in piena città e sono state promesse novità entusiasmanti, come un pirogassificatore per gestire i rifiuti di (appena) 120 mila abitanti (la cifra comprende l’intera popolazione regionale) o una metropolitana per il capoluogo regionale (35 mila abitanti!).

I valdostani non parlano quasi mai francese; lo studiano a scuola e perciò spesso lo detestano, come si possono detestare il latino o la matematica e la conservazione delle tradizioni spesso si riduce all’organizzazione di sagre (ammetto tuttavia che è vivo l’uso del francoprovenzale, o patois, il “dialetto” di qui).

C’è una sezione di questo blog che si chiama Le colonne d’Ercole (di Pont-Saint-Martin)Pont-Saint-Martin è l’ultimo comune valdostano prima del Piemonte – nella quale mi sforzo (forse non quanto dovrei) di raccontare ciò che succede quassù, nella speranza che l’attenzione del «mondo esterno» porti a una maggiore tutela di questo territorio, del suo ambiente, della sua storia.

Ho ritenuto necessario dire queste cose per presentare convenientemente un’iniziativa alla quale aderisco, portata avanti da Legambiente, Fondo Italiano per l’Ambiente (FAI), Federculture e WWF, circa la necessità di salvare le miniere di magnetite (ferro) di Cogne, inattive dal 1979, ma ricche di storia e cultura. Il progetto – secondo tutti – è quello di valorizzare le strutture a fini tanto turistici quanto culturali, ora che la ditta che le gestiva ha rinunciato alla concessione. Ma va per la maggiore l’idea di limitarsi a un recupero parziale (e minimo) del complesso minerario, rinunciando così a ristrutturare e mettere a disposizione dei contemporanei – valdostani e non – l’intera filiera dell’acciaio, un insieme di siti industriali – situati spesso ad alta quota – che racconta il passato recente della Valle d’Aosta e costituisce un’insostituibile testimonianza storica e culturale.

Pubblico di seguito l’appello di Legambiente, FAI, Federculture e WWF per salvare le miniere di Cogne.

Salviamo le miniere di Cogne
Appello delle associazioni ambientaliste alla Regione Valle d’Aosta.

Firmate anche voi la petizione.

A rischio le miniere di ferro in Val di Cogne, il sito minerario più alto e più interessante d’Europa.

Dopo la dismissione del trenino che portava il materiale estratto verso l’acciaieria di fondo valle, ora è a rischio il recupero della parte alta della miniera di Colonna.

Legambiente, Fai, Federculture e WWF sottoscrivono un appello per chiedere alla Regione Autonoma Valle d’Aosta un impegno per salvaguardare un patrimonio storico e culturale di rilievo nazionale.

«È a rischio un patrimonio di archeologia industriale assolutamente unico nel panorama nazionale – dichiarano le associazioni firmatarie dell’appello – Temiamo infatti che, dietro la messa in sicurezza, prevista dalla trattativa in corso tra Fintecna e Regione Autonoma Valle d’Aosta sul futuro del complesso minerario di Cogne, si nasconda l’intenzione di chiusura, almeno parziale, del sito».

Le miniere di Cogne hanno notevole rilevanza per le caratteristiche uniche, per l’alta quota in cui sono situate e per la possibilità di valorizzare e visitare l’intera filiera. Il minacciato spegnimento degli impianti che hanno in questo periodo garantito la tenuta delle gallerie e il funzionamento dello skip (cremagliera interna per il trasporto di materiali e persone) è un rischio che non può essere corso finché non siano stati messi a punto sistemi sicuri per impedire all’umidità di rovinare questo patrimonio di archeologia industriale unico nel suo genere.

«La Valle d’Aosta ha fortunatamente Continua a leggere

Pubblicato in Le Colonne d'Ercole (di Pont-St-Martin), Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura), Piazzetta della cittadinanza attiva | Contrassegnato , , , , , , , | Commenti disabilitati su Salviamo le miniere di Cogne

Meri Calvelli – Una testimonianza da Gaza

Meri Calvelli è volontaria a Gaza. QUI il podcast della trasmissione «Raccontare Gaza dal basso – Speciale Restiamo Umani» trasmessa oggi, 22 agosto, da quantaradio, che contiene la sua testimonianza dalla Striscia.

Molto interessante, fra le altre cose, la parte in cui Gaza viene definita «vivaio» per testare nuove armi, come anche l’analisi della società israeliana con i suoi problemi economici e i recenti fermenti popolari per uno Stato più democratico e, infine, il ricordo di Vittorio Arrigoni.

Oggi alle 13 si è concretizzato il cessate-il-fuoco tra Israele e Hamas, una tregua annunciata ieri sera, ma non rispettata fino a questa mattina.

I raid aerei sulla Striscia si susseguivano anche prima dell’attacco di giovedì scorso in Israele. Per questo motivo – tregua o non tregua – è fondamentale evitare di distogliere la propria attenzione da quel che accade nella Striscia.

PS: Leggo ora che è stata fissata la data di inizio del processo agli assassini di Vittorio Arrigoni. I particolari sul manifesto di domattina (23 agosto).

Pubblicato in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura) | Contrassegnato , , , , , , , , , , | Commenti disabilitati su Meri Calvelli – Una testimonianza da Gaza

Lo stillicidio di Gaza

L’attentato avvenuto giovedì scorso a Eilat (area turistica israeliana sul Mar Rosso, vicino al confine con l’Egitto) ha fornito il pretesto ai media occidentali per l’ennesima prova di disinformazione, secondo una politica ormai consolidata quando si tratta di israeliani e palestinesi.

È noto ormai che le vittime di Israele diventano subito notizia, che in men che non si dica fa il giro del mondo, trasmessa dai telegiornali; se a fare vittime sono i raid di Tel Aviv su Gaza, invece, il fatto è generalmente ignorato dalle televisioni e dai grandi giornali.

Premetto ciò per ricordare che negli ultimi mesi i bombardamenti sulla Striscia di Gaza si sono susseguiti senza che i media abbiano trovato la cosa degna di essere raccontata; che ancora va avanti, da parte di Israele, la triste pratica degli omicidi mirati di personaggi legati ad Hamas, al fine di destabilizzare un governo che, se non raccoglie le mie simpatie, è stato eletto dal popolo attraverso elezioni regolari – a differenza di altri che l’occidente sostiene; che i soldati d’Israele continuano a sparare sui contadini che si avventurano nei campi a ridosso dei reticolati che chiudono la Striscia, in zone arbitrariamente definite off limits per gli stessi proprietari; che, soprattutto, l’embargo non è finito e che a Gaza continuano a mancare generi di prima necessità e ancora non si sono potuti riparare i danni causati dall’esercito israeliano (Tsahal) nell’oprazione militare «Piombo fuso» (dicembre 2008-gennaio 2009).

Ciò detto, anch’io mi unisco alla condanna dell’attacco di Eilat, del quale hanno fatto le spese un veicolo militare, un autobus con a bordo civili e militari in licenza e due auto civili. L’importanza della vita umana non dipende dalla fazione di appartenenza e si può criticare l’enfasi (liberticida) posta dagli Stati sulla guerra al terrore senza per questo perdere la capacità di riconoscere – e condannare – gli atti di terrorismo. Non posso non notare, però, che quella che era in parte una colonna militare è stata trasformata, dai media, in un paio di autobus turistici… attaccati da Hamas.

Hamas: nel giro di poche ore i giornalisti occidentali, veri segugi che non mollano una pista finché non hanno scoperto la verità, sono riusciti a trovare il colpevole. Oppure hanno creduto al ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, che si è detto convinto che «la vera responsabile di questo attacco è Gaza». Di fronte a tanta “convinzione”, che importa che Hamas abbia negato il proprio coinvolgimento, oppure il fatto che fino a oggi – e nonostante i raid quasi quotidiani su Gaza – abbia rispettato la tregua unilaterale proclamata nell’estate del 2009?

Secondo i leader di Hamas, i servizi segreti israeliani sarebbero stati informati con qualche giorno d’anticipo, da fonti giordane, dell’imminenza degli attacchi, ma non sarebbero intervenuti in modo da sfruttare la vicenda per spostare l’attenzione dell’opinione pubblica israeliana, che da settimane protesta contro la politica economica del governo, verso la questione della sicurezza di Israele. Poche ore dopo l’attacco, i leader del movimento di protesta hanno annunciato la sospensione delle manifestazioni programmate per i giorni seguenti.

Ora io, per scelta, non credo alle teorie complottistiche finché non ci sono prove certe a loro sostegno. Non mi interessa sapere oggi se le Torri Gemelle sono cadute a causa di Bin Laden oppure su decisione della Cia, perché non ho modo di saperlo. Ma registro come – in un caso e nell’altro – ad avvantaggiarsi degli attentati dell’11 settembre è stata la politica di “guerra perpetua” di Bush. Allo stesso modo, quand’anche dietro l’attacco di Eilat ci fosse Hamas (il che è improbabile, ma che prove ho per escluderlo?), è da notare come una volta di più a fare le spese delle azioni e delle politiche di pochi è la popolazione. I morti di Eilat, come quelli della rappresaglia israeliana nella Striscia. Da giovedì a oggi i raid su Gaza si sono susseguiti, con il loro bagaglio di distruzione e morte, e – a distanza di tre giorni – non sono ancora terminati. A seguito di questi nuovi bombardamenti, Hamas ha annunciato la rottura della tregua unilaterale e la situazione è destinata quasi sicuramente a precipitare ancora.

In questo crescendo di violenza, l’inaffidabilità dei media è davvero disperante e avverto più che mai la mancanza di Vittorio Arrigoni, testimone e voce della sofferenza dei palestinesi della Striscia. Sono le persone come Vittorio, che neppure era giornalista, almeno non ufficialmente, a tenere accesa la speranza di giustizia di un popolo, perché la “ragione”, nella storia dei forti, non appartiene solo a chi vince sul campo, ma anche a chi sa operare per nascondere la realtà e per confinare la popolazione nell’ignoranza. È per questo che ci indignamo – giustamente – per un attentato, non altrettanto per una reazione non soltanto sproporzionata ma, soprattutto, diretta contro chi non c’entra niente.

Oggi stesso (20 agosto), sotto le bombe israeliane, due ragazzini sono stati feriti a Shijaeya. A uno dei due è stata amputata una gamba [mi giunge un aggiornamento: putroppo il ragazzo con la gamba amputata è morto]. Difficile comprendere quale relazione possa intercorrere tra il loro ferimento e l’attaco di Eilat. O come l’attentato di giovedì possa giustificare l’uccisione di Mahmoud Abu Samra, 13 anni. O quella di Islam Qaraqi, 5 anni (QUI, se lo ritenete, trovate la foto del cadavere). È invece facile capire come l’attuale politica israeliana non possa far altro che alimentare l’odio e, alla lunga, rendere Israele meno sicuro. Non si può continuare a uccidere innocenti, a sfornare “martiri” senza essere colpiti, un giorno, dalla vendetta dei superstiti. O il governo di Israele pensa davvero, come aveva pubblicamente affermato, qualche anno fa, l’attuale ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, che l’unica soluzione davvero risolutiva al problema di Gaza sia la bomba atomica?

>>> L’immagine di questo articolo è di Carlos Latuff.

Pubblicato in Orwell (fascismi, sessismi, controllo, censura) | Contrassegnato , , , , , , , , , , , , , , | 1 commento