«Feccia» è parola che si riserva ai poveri e a chi non conta niente. È il termine che utilizzò l’attuale Presidente della Repubblica francese – quando ancora non era Presidente – per definire gli abitanti delle periferie urbane incendiate da tumulti nati dalla povertà, dalla finta integrazione razziale, dall’emarginazione economica, politica e sociale di una fetta consistente della popolazione.
È ciò che sta alla base della reazione del primo ministro inglese davanti ai riots di quest’estate, liquidati come semplice prodotto della cultura delle gang.
È quanto sottintende l’inutile commento di un ancor più inutile ministro della Repubblica italiana (per il censore: sto solo esprimendo il mio parere – art. 21 Cost. it., almeno fin quando non lo aborogherete, ecc ecc), che etichetta i lavoratori precari come «l’Italia peggiore».
Feccia sono i disgraziati.
Alla feccia si chiede di subire, di obbedire.
Alla feccia si chiede di fare sacrifici. Di lavorare di più. Di prendere di meno. E di salvare, col proprio sangue, il Paese. Cioè le banche e le imprese, perché queste, non la feccia, sono considerate rappresentative del Paese.
La feccia non è niente. La plebe romana contava di più: oltre ai giochi del circo aveva il pane. A noi hanno lasciato soltanto i circenses: un po’ di televisione su cui far passare gli spot, un po’ di locali in cui spendere lo stipendio, un po’ della libertà di sentirci nel giusto quando siamo egoisti, emarginiamo gli altri, arraffiamo il poco che riusciamo; tanto fanno tutti così.
Non siamo cittadini, siamo feccia. I cittadini non si possono prendere in giro. Noi abbiamo ancora Berlusconi a palazzo Chigi e l’alternativa la chiamiamo Bersani. Pronto a obbedire agli stessi diktat economici del liberismo, che in sostanza significano sottomissione.
L’unica cosa da capire è se la feccia sarà feccia per sempre o avrà la determinazione necessaria a imporre le proprie decisioni.
>>> AAA, cercasi fatica intellettuale. Le lotte che portarono alle conquiste economiche e sociali del ‘900 furono anticipate e affiancate non solo dal pensiero teorico degli uni, ma anche dalla descrizione-denuncia dell’ingiustizia a opera di altri, ad esempio quei romanzieri che raccontarono la vita delle masse e le sofferenze dei lavoratori.