Grazie al voto del 31 ottobre, la Palestina è entrata come Stato membro a pieno titolo nell’Unesco, l’agenzia dell’Onu che si occupa della promozione dell’istruzione, delle scienze e della cultura.
107 i voti a favore, 52 gli ignavi che si sono astenuti (fra di essi, naturalmente, l’Italia, incapace di schierarsi apertamente con la scusa della mancanza – peraltro reale – di una posizione comune dell’Unione europea), 14 gli Stati contrari, fra i quali – ovviamente – Israele, secondo alcuni «la sola democrazia del Medioriente» e gli Stati uniti, secondo alcuni «la più grande democrazia del mondo».
Un voto «deplorevole e prematuro», stando alle parole, da me malamente tradotte, della portavoce del Dipartimento di Stato americano, Victoria Nuland, «che mina il nostro obiettivo condiviso di una pace complessiva, giusta e durevole in Medioriente».
Meglio, per l’amministrazione americana, continuare a “dialogare” tra partner di diverso status: da una parte un Paese forte, coccolato, armato e protetto dagli Usa e dall’Unione europea, dall’altra una serie di «territori» senza dignità di Stato, privi di continuità territoriale, sottoposti da Israele a un embargo unilaterale quanto illegale e ai raid dell’aviazione militare, che ancora in questi giorni a Gaza hanno prodotto morti e feriti.
Di fronte alla “provocazione” dell’Unesco (parlo della volontà della maggioranza dei Paesi del mondo, liberamente espressa nella sede più appropriata) la reazione Usa non si è fatta attendere: gli Stati uniti non verseranno i propri contributi all’Unesco per il mese di novembre, una cifra pari a 60 milioni di dollari. Una legge degli anni ’90 impone infatti alla «grande democrazia» di cui sopra di smettere di finanziare qualunque agenzia Onu decida di ammettere al proprio interno la Palestina come Stato membro. La ritorsione Usa potrebbe avere serie conseguenze per l’agenzia culturale delle Nazioni unite, in quanto Washington è oggi il principale finanziatore dell’Unesco, alle cui entrate contribuisce per il 22% del totale (a riprova dell’urgenza di una riforma in senso democratico dell’Onu). Il regolamento dell’Unesco prevede la revoca del diritto di voto a ogni Stato che si rifiuti di versare i propri contributi per un periodo di due anni.
Grande gioia, invece, per un avvenimento a modo suo storico (nei fatti la situazione non cambierà, ma forse si sta incrinando il precetto per cui la questione israelo-palestinese dev’essere decisa soltanto a Tel Aviv e, secondariamente, a Washington) da parte di tutte le persone che amano la Palestina e che desiderano la pace in Medioriente. Una pace, per riprendere le parole di Victoria Nuland, «complessiva, giusta e durevole».
>>> Nell’immagine, di Giovanni Buschino e Guendi Jocollè, il muro illegale israeliano che circonda la città palestinese di Betlemme.