15 ottobre Roma: discutere e ripartire!

La testimonianza-riflessione che segue è di Alex Glarey, un compagno dell’Espace Populaire di Aosta, il circolo Arci di cui faccio parte. L’ho presa dal sito dell’Espace.

15 ottobre Roma: discutere e ripartire!

Il 15 ottobre a Roma, assieme ad altri valdostani, c’era anche un pezzo di Espace Populaire per la giornata degli indignati.

Questa volta non è facile raccontare.

Una grandeoltre 300.000 persone – e variegata manifestazione contro la crisi del capitalismo mondiale.

Sulle strade tanti giovani, ma anche famiglie e anziani. Da tutta Italia, e con un’ormai costante partecipazione di migranti, che non si limitano a sostenere cause particolari (Palestina, diritto d’asilo, etc), ma rientrano a pieno titolo nella nuova moltitudine che va a opporsi allo stato delle cose.

La manifestazione più imponente del mondo, nel giorno dell’indignazione globale.

Una cosa salta agli occhi: non ci sono spezzoni significativi, a parziale eccezione della coda dove dovrebbero sfilare PRC, SEL e la FIOM/CGIL. La gente si confonde nel lungo flusso che attraversa la città; del resto chi ha sostenuto la campagna dell’acqua è magari anche un socio ARCI (v. comunicato) o Legambiente e perchè no, pure precario e frequentatore di collettivi o centri sociali.

Quello che all’inizio mi pare un dato positivo, alla fine del corteo mi darà da pensare: questi decenni di neo liberismo individualista hanno spazzato via molti legami; la comunità è tutta da costruire, mentre anche tra le nostre file prevale un egoismo/onanismo politico privo del senso di una responsabilità collettiva. La Thatcher diceva che la società non esiste, dopo la loro cura è purtroppo così.

Il corteo procede tranquillo, per gran parte del pomeriggio. C’è qualche episodio, ma non sembra significativo rispetto al resto. La testa del corteo entra in piazza S. Giovanni.

Telefono a casa per dire che va tutto bene. Oddio, vedo 2 elicotteri volteggiare e mi pare di intravedere del fumo, ma penso che siano appunto episodi e comunque lontani dalla piazza dove gente normalissima – e a un tempo unica – sta parlando e ballando. Del resto, chi è il pazzo che porta gli scontri nel punto di arrivo di un corteo da centinaia di migliaia di persone…

Come non detto.

Vado a dare un’occhiata dietro a piazza S. Giovanni, seguendo Agnoletto e Bersani (di ATTAC, mica quello che pettina le bambole), per vederli quasi travolti dai blindati mentre tentano un inutile contatto con la polizia. Capisco che qui nessuno rappresenta nessuno, e al di là della retorica questo è un bel casino.

Gli episodi di violenza si sono infatti intensificati e gruppi di irresponsabili utilizzano il corteo come copertura. Si infiltrano tra le file dei Cobas che cercano di allontanarli; la polizia fa il resto, chiudendo la piazza e scatenandosi in cariche con indranti e camionette. Non mancano, naturalmente, gli ormai famigerati lacrimogeni al CS gas.

A questo punto la situazione è al massimo della confusione: manifestanti che si insultano, arrivando fino allo scontro fisico. Manifestanti che fino a un momento prima erano pronti a consegnare alla polizia il ragazzino che spaccava una vetrina (dimentichi di cosa vuol dire, troppo spesso, finire in stato di fermo in questo paese; ricorda Cucchi e Aldovrandi), ora resistono alle cariche di CC e PS o comunque applaudono la ritirata e persino l’incendio dei loro mezzi.

È una piazza schizofrenica, degno frutto di questo capitalismo, come ben illustra BIFO su Micromega. Così come la violenza irresponsabile di quei ragazzi, che hanno perso, assieme al futuro, il senso delle loro azioni. Non mi ha mai turbato che qualcuno spaccasse una banca, un SUV o altri simboli di un sistema di potere che con una violenza molto più efficace rende schiave e uccide milioni di persone. Quello che invece non accetto è l’irresponsabilità: bruciare un’auto in mezzo a un corteo, rischiando che esploda tra la gente, dare alle fiamme una banca anche se si può incendiare l’intero stabile, lanciare una bomba carta con il rischio – avveratosi – di mutilare un compagno. Coinvolgere negli scontri, quasi per forza, gli altri manifestanti o semplici passanti è accettare la stessa logica di guerra che giustifica i c.d. danni collaterali.

Eppure mi pare osceno il coro di chi invoca leggi speciali, che saranno utilizzate per distruggere ogni forma di resistenza, e di chi si trasforma in delatore. Saranno quei 12, 15 ragazzi a pagare? Ha un senso condannare qualcuno a pene fino a QUINDICI anni per aver lanciato un sasso (sempre che ciò sia provato, dato che per alcuni dei fermati la colpa, al momento, è quella di aver indossato una maschera per non restare gasato e un casco per non farsi rompere la testa)?

Chi ha provocato, chi ha resistito ? Chi i buoni e chi i cattivi ? (cfr. Carotenuto)

Nel dubbio, appena arrivo a casa cancello tutti i filmati della videocamera. Meno uno: questi ragazzi che sedendosi per terra bloccano la carica della polizia.

Infine ancora un paio di osservazioni.

Il blocco politico-economico al vertice del paese sta apporfittando della situazione per delegittimare e spazzare via una delle ultime comunità resistenti del paese: i NO TAV. Uno dei pochi dati incontrovertibili della giornata del 15 è invece che il loro spezzone, tra i pochi organizzati, al primo accenno di incidenti se ne è andato dalla piazza.

Sull’incapacità, in parte voluta, delle forze dell’ordine, ho già detto. Devo però ammettere, come reduce del G8 genovese, che questa volta la polizia non ha infierito. Da ottimista vorrei credere che il mutamento di comportamento sia il frutto delle campagne di contro-inchiesta svolte in questi anni (http://www.veritagiustizia.it/), ma temo che più prosaicamente ciò non fosse funzionale ai programmi del governo Berlusconi. Resta il fatto che mentre me ne andavo con molti altri da piazza S. Giovanni, lungo via Ambaradan ho incrociato una colonna di blindati; si sono fermati e il capo mezzo ha aperto la porta; per qualche secondo è calato il silenzio e poi, forse per un ordine dai vertici, la portiera si è richiusa, nessuno è sceso e la colonna è ripartita verso la piazza. Tutti abbiamo ripreso a respirare.

Dimenticavo, il PD non era in piazza, così come a Genova. Ma questo immagino che lo avevate già capito. Del resto, paiono più indignati per la decadenza morale del Premier, che per le politiche di tagli e sacrifici subiti da quel 99% di cittadini che soffre la crisi.

Infine, per chi vuole tentare di capire cosa è successo e, soprattutto, cosa succederà, rinvio a un po’ di link: http://italy.indymedia.org/, http://www.globalproject.info/ e http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=5599 dove la discussione sulle pratiche della lotta prosegue partecipata e accesa.

Può non piacere quanto accaduto il 15/10, eppure a casa non si può restare: prima o poi sarà la crisi a bussare alle nostre porte.

Restiamo indignati e magari, la prossima volta, un po’ più preparati.

Alexandre Glarey (un compagno dell’Espace Populaire)

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