Gli “utili idioti” e le nuove guerre mondiali dell’Impero [di Angela Lano]

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Cent’anni giusti sono passati dall’inizio del disastroso primo conflitto combattuto su scala mondiale dall’umanità.

Un massacro ripetuto appena 25 anni dopo con un coinvolgimento ancor più totalizzante di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo.

Da allora a oggi le potenzialità distruttive dei moderni eserciti sono notevolmente aumentate, ma l’idea di riaccendere un conflitto su larga scala, sfidando apertamente la seconda potenza militare del mondo, è un sogno che i manager in divisa della NATO stanno cercando di realizzare, al fine non proprio nobile di vendere e produrre sempre nuove armi, oltre ad aumentare la propria influenza in un’area ritenuta strategica.

Ma sanno ciò che fanno gli apprendisti stregoni?

Di terza guerra mondiale, tra i tanti, ha parlato anche il papa – non esattamente un estremista: una guerra “a pezzetti”, che continua già da molti anni, almeno a partire dall’11 settembre del 2001.

Una guerra che oggi rischia di assumere dimensioni più ampie, nel cuore dell’Europa.

Quello che segue è un testo di Angela Lano (InfoPal), del quale personalmente condivido ogni parola.

Gli “utili idioti” e le nuove guerre mondiali dell’Impero
di Angela Lano

È sempre più evidente, ma forse non a tutti, che l’Impero ci sta portando verso la terza guerra mondiale. Crisi economica, disoccupazione, crolli finanziari, mancanza di risorse per tutti (che poi non è vero, in quanto sono “solo” mal distribuite) si risolvono da sempre con nuove guerre.

Il casus belli, gli Imperatori lo trovano sempre: questa volta sono l’Ucraina e il Califfo al-Baghdadi.

Se non c’è, lo inventano, lo creano, lo inducono, ecc.

L’Imperialismo deve nutrirsi e non esiste niente di meglio che una guerra per far fuori umani di troppo, accaparrare nuove risorse, ricostruire sulle immense macerie…

Gaza è un esempio locale di ciò che la Lobby trasversale imperiale fa a livello globale.
A loro non frega nulla, di fatto, se noi siamo d’accordo, tuttavia, poiché esistono istituzioni del cosiddetto “diritto internazionale” (in realtà strumenti della Nato), la forma deve essere salva: per scatenare nuove guerre hanno bisogno che tutti noi, idioti umani, diamo il “consenso” morale. E come fanno per indurci a dare il consenso alle loro guerre di rapina e sterminio?

Esattamente come stanno facendo in questi mesi, anni: costruendo nemici paurosi e inducendoci a credere che per salvarci dobbiamo distruggerli.

Come nei thriller o negli horror: alla fine ci spaventano così tanto che quando arriva il rambo e spara all’impazzata contro i “mostri” ci sentiamo sollevati.

La tecnica è quella, ben collaudata, di Hollywood applicata ai media e alle nostre manipolabili menti.

Ora crediamo che i Russi siano cattivi e che il Calippo-Califfo di Iraq-Siria sia un pericolo per l’Umanità, così non ci rendiamo conto di quanto sia strumentale al war-game imperiale, lui e i suoi giovani invasati e dal cervello “lavato” con la propaganda. Ciò non significa che lui e la sua gang di psicopatici non siano un danno, prima di tutto per l’Islam e il Medio Oriente, ma solo che vanno letti nella loro corretta posizione all’interno del Risiko occidentale-israelo-saudita.

L’Impero ha bisogno di guerre e noi, con le nostre paure e stupidità, gliene forniamo sempre la giustificazione morale.

Andatevi a riprendere gli articoli scritti dai nostri media mainstream tra il 2001 e il 2003, nella fase che portò alle guerre contro Afghanistan e Iraq, e vi accorgerete che le dinamiche della propaganda (la costruzione del consenso) sono sempre le stesse. Non si prendono neanche il disturbo di cambiarle, tanto conoscono la psicologia umana! Sanno che basta far vedere gli “ex comunisti” e i “barbuti islamici” in azione che il mondo scatta sull’attenti.

Forse c’è qualcosa che non funziona nell’Homo Sapiens

>>> Disegno di Danilo Cavallo. Fotomontaggio di Paolo Rey.

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La costruzione dell’odio

I GIOCHI ROTTI



Esci a giocare e te ne torni indietro
deriso, i giochi rotti, l’occhio basso.
Nell’ingiustizia piatta quotidiana,
la guerra trova legna per il fuoco.

Ho scritto questi versi il 19 luglio, mentre i bombardamenti israeliani su Gaza (che hanno ucciso più di duemila persone) erano in pieno svolgimento.

Li ripropongo perché mi sembra commentino in maniera appropriata la recente decisione del governo di Tel Aviv di confiscare 400 ettari di terra palestinese in Cisgiordania per ampliare la colonia israeliana di Gva’ot [si legga, in proposito, l’articolo di Michele Giorgio per il Manifesto].

Secondo i media israeliani, si tratterebbe di una ritorsione per il rapimento e l’uccisione dei tre giovani coloni. Come se l’avere un singolo kommando rapito e ucciso tre cittadini di uno Stato autorizzasse quello Stato – sedicente democratico – alla rivalsa. Come se la responsabilità di azioni individuali dovesse ricadere su tutti.

Come, soprattutto, se la rivalsa, la vendetta, non ci fosse già stata: la morte di 3 israeliani è stata pagata con l’uccisione di più di 2.000 palestinesi, oltre che con l’atroce trattamento riservato al ragazzo palestinese a sua volta sequestrato da coloni, torturato e bruciato vivo (perché nella battaglia di civiltà che è stata inscenata a beneficio di qualcuno i “barbari” sono sempre quelli che stanno dall’altra parte).

Come, infine, se i 3 ragazzi israeliani non fossero stati utilizzati dal governo Netanyahu come il pretesto perfetto per scatenare l’ennesima operazione militare su Gaza.

E ora, con la scusa della sicurezza e la facciatosta di chi, in qualsiasi situazione, si presenta come la vittima, si tolgono nuove terre ai palestinesi per darle ai coloni, cioè alle persone che molto spesso contribuiscono più di tutti (più dei governi o degli stessi soldati) ad alimentare l’odio, aggredendo i palestinesi e le loro case, sottoponendoli a mille soprusi quotidiani.

Chi ha giustificato perfino le bombe perché, in coscienza, ha creduto alla necessità per Israele di utilizzare tali mezzi per difendersi dai razzi Qassam, come commenta ora la decisione di dare avvio a un nuovo programma di colonizzazione? La giustifica? La apprezza? La condanna? È possibile invocare quello sforzo di immaginazione e onestà che chiedevo – pur senza avere l’autorevolezza, o la posizione necessaria – in un vecchio articolo?

Sarei davvero felice che qualcuno riflettesse su queste domande.

>>> Leggi l’articolo di Michele Giorgio per il manifesto.

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Saltimbanco

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Vent’anni di istrionismi, gag, corna nelle foto ufficiali, festini, scandali hanno macchiato l’immagine internazionale del nostro Paese, dice qualcuno. A me, invece, Renzi col gelato fa meno paura del Renzi che fa le riforme.

Da insegnante, attendo di sapere quale sarà la sorte della scuola.

Da cittadino, quale sarà la sorte della democrazia, che – lo ricordo – non è fare una croce su una scheda ogni tot anni. L’intento è chiaro: accentrare il potere, contrastare il dissenso, far fare affari ai soliti noti con le grandi opere e – nuovamente – reprimere il dissenso. E smantellare lo stato sociale, privatizzare, commercializzare tutto, che c’è chi ci guadagna.

Questo, più l’«austerità» di chi deve tagliare la spesa pubblica perché ha deciso di sottostare al ricatto della finanza, e anche perché non vuole tagliare le spese veramente inutili, come i due milioni al giorno che spendiamo per presidiare un isolato in Afghanistan, o le cifre che ci costano le attività militari in generale, spesso peraltro portate avanti in perfetto contrasto con l’articolo 11 della nostra (teoricamente ancora in vigore) Carta costituzionale.

Qual è la differenza tra le politiche di Renzi, quelle di Letta, quelle di Monti, quelle di Berlusconi e, qui lo dico, quelle di Prodi, di D’Alema o dei governi tecnici che hanno “salvato” la lira permettendole di entrare nell’euro?

Guardando alla linea economica, le scelte sono orientate tutte nella medesima direzione, cioè l’opposto di quella che dovremmo seguire.

A me un Renzi che mangia il gelato fa meno paura di un Renzi di successo.

>>> Anche se nei prossimi mesi sarò in Puglia, la foto dell’articolo è stata scattata a Mentone.

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NW-SE: Sulla Diagonale d’Italia

diagonale
Da Aosta a Mesagne (Brindisi) ci sono 1189 km, 12h09 di viaggio in macchina secondo viamichelin. Io aggiungerei le pause.

Chi scrive è insegnante. Il 1° settembre dovrò prendere servizio a Mesagne, a seguito di una domanda di assegnazione provvisoria accolta, che da Aosta mi porterà in Puglia per tutto l’anno scolastico 2014/2015.

Chi scrive è anche autore del libro di poesie «Cianfrusaglia», e non è nuovo alle iniziative strampalate. Sommando le due cose, ho deciso di trasformare il mio viaggio dal nord ovest al sud est, lungo la diagonale d’Italia, in un piccolo “eventopoetico, che forse in realtà ricorda un poco certi giochi televisivi, ma non importa: in fondo mi diverto con niente.

Sabato mattina (30 agosto), diciamo verso le 5, partirò da casa mia, ad Aosta, alla volta della provincia di Brindisi. Credo che farò un pezzo in statale, almeno fino in Piemonte, e poi sarà autostrada per Milano, Bologna, e giù fino a Bari, lungo l’A14. Da Bari a Mesagne seguirò la superstrada.

Viaggerò a bordo di una Fiat Multipla grigia con gli specchietti tenuti su con lo scotch, probabilmente stracarica di bagagli.

Il “gioco”.

Per ragioni di sopravvivenza, le pause caffè all’autogrill saranno frequenti, così come quelle per sgranchirmi le gambe in qualche area di sosta.

1 – Volantini. Avrò con me qualche decina di volantini con mie poesie, che lascerò qua e là per l’Italia. Prego chi ne trovasse uno di darmene notizia sul blog http://ziapoe.noblogs.org/. Il nome degli eventuali ritrovatori sarà pubblicato insieme all’indicazione del luogo di rinvenimento.

2 – Il libro. Avrò con me una copia di «Cianfrusaglia». Ogni volta che sarò al banco a bere un caffè, oppure seduto a un tavolo, la appoggerò vicino. La prima persona che dovesse riconoscermi come “protagonista” di questa iniziativa delirante la riceverà in regalo.

3 – L’aiuto da casa (e non solo). È chiaro che, essendo io un perfetto sconosciuto, il gioco ha qualche possibilità di funzionare soltanto se chi legge contribuirà a diffonderlo via internet, o se qualche pazzoide deciderà di farsi un giro sull’A14, casomai stessi passando di là proprio in quel momento. Perciò vi chiedo di “spammare”, condividere, diffondere il più possibile questo articolo, contribuendo a creare un piccolo gioco su scala nazionale.

Se incontrate un tizio con un libro verde accanto, provate a chiedere se sono io. Magari tornate a casa col libro.

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Il resoconto dell’undicesima Marcia

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Qualche considerazione personale

Va bene, questo è il resoconto, perfino il resoconto ufficiale, dell’undicesima Marcia Granparadiso estate, che domenica 17 agosto ha perlustrato in lungo e in largo la valle di Cogne; eppure vorre cominciare con alcune considerazioni di carattere personale.

Negli ultimi due o tre anni non ho avuto quasi più tempo di organizzarla. Peggio: qualche volta ho pensato che la Marcia, dopotutto, non può essere un impegno fisso, ogni estate. E poi, come ogni volta, mi sono ricreduto.

Indipendentemente dal numero dei partecipanti (tanti o pochi a seconda degli anni), tutte le volte arrivo al traguardo contento, dopo 35 chilometri di marcia, forse 2 mila metri di dislivello e un allenamento praticamente inesistente. Non solo soddisfatto: contento, e, quel che più conta, sembra che gli altri concorrenti provino la stessa cosa.

Sarà il paesaggio che incanta, immagino; sarà la compagnia (durante la Marcia si formano gruppi, nascono amicizie, qualcuno preferisce cercare l’exploit e anche questo va bene, perché nella Marcia ognuno fa a modo suo); sarà la bellezza di ritrovare i propri passi sul sentiero, anno dopo anno. In ogni caso è bello ritrovarsi nei prati di Sant’Orso e ripartire per un giro ormai familiare.

Perciò do appuntamento a tutti e tutte alla prossima estate, per la dodicesima edizione della Marcia, non senza aver ringraziato tutte le persone che hanno partecipato lo scorso 17 agosto. Un sentito ringaziamento, infine, a Ottavio Martinet, che ha realizzato il ciondolo in legno distribuito ai concorrenti alla partenza.

Il resoconto

Vincitore dell’undicesima edizione è Carlo Patano di Cuggiono (Milano), che ha completato il giro in 9h45′. Carlo ha ora un anno di tempo per comprarsi la coppa, come previsto dal regolamento.

Hanno (abbiamo) tagliato contemporaneamente il traguardo, in seconda posizione, Mario Badino, Enrico Gensale e Fabio Minocchio, tutti e tre ormai veterani dell’iniziativa.

I concorrenti sulla linea di partenza erano 8. Sono diventati 10 durante il tragitto, e anche questa è una caratteristica della Marcia: basta farne un pezzo per entrare negli annali della manifestazione.

La classifica

1° – Carlo Patano (9h45′)
2° (ex aequo) – Mario Badino, Enrico Gensale, Fabio Minocchio (10h24′)

I partecipanti all’undicesima edizione

1. Mario Badino (Aosta)
2. Gian Piero Badino (Aosta)
3. Adelina Blanc (Aymavilles)
4. Enrico Gensale (Prato)
5. Xiaoying Hu (Torino)
6. Fabio Minocchio (Torino)
7. Carlo Patano (Cuggiono, Milano)
8. Chantal Pozzi (Zurigo)
9. Nathalie Pozzi (New York)
10. Sergio Vercelli (N.P.)

Le foto dell’undicesima edizione

Concorrenti a Buthier

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Concorrenti a Baben

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Concorrenti a Gimillan

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L’arrivo dei secondi classificati

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Eventuali foto scattate dai concorrenti possono essere inviate all’indirizzo granparadisoestate[chiocciola]gmail.com. Saranno pubblicate sul blog.

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L’undicesima Marcia Granparadiso estate

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Ho deciso di rilanciare un sogno. Un sogno mio, intendo. Qualcosa che vorrei condividere. Del resto, notizie brutte ce ne sono tante e un antidoto può far comodo, qualche volta.

Nel luglio del 2004 ho inventato la Marcia Granparadiso estate. Assemblando diverse passeggiate cui sono affezionato, ho costruito un percorso circolare lunghetto (diciamo 35 km) nella val di Cogne (Aosta). Dopo essermi abituato all’idea, ho preso e son partito, da solo, completando il giro in una decina di ore. Solo alla partenza, solo al traguardo: ero il primo vincitore della Marcia, così mi sono comprato la coppa.

I due anni successivi ho rinnovato la partecipazione come unico concorrente (vincendo tutte e due le volte), finché il quarto anno la Marcia è stata aperta al pubblico, con l’aiuto del fotografo Paolo Rey, che mi ha incoraggiato, ha realizzato la locandina e partecipato alla camminata.

Ho parlato di un sogno, di un antidoto alle brutte notizie. Magari ho esagerato. Ma credo che lo spirito della Marcia vada in questa direzione e so che molti di quelli che negli anni si sono lasciati tentare dall’impresa si siano lasciati affascinare dall’idea.

E dunque:

1) La Marcia Granparadiso estate non prevede iscrizione. Cioè non si paga e, per partecipare, è sufficiente trovarsi sulla linea di partenza al momento convenuto (quest’anno il ritrovo è domenica 17 agosto alle ore 8.30 nei prati di Sant’Orso a Cogne, vicino al parco giochi).

2) La Marcia Granparadiso estate non è competitiva. Innanzitutto, è vietato correre. Si può, al limite, trotterellare leggermente nelle discese ripide. Inoltre, il vincitore non riceve nulla, ma ha l’obbligo di comprarsi la coppa, pena la squalifica.

3) La Marcia Granparadiso estate è interamente gestita dai partecipanti che, ricevuto un itinerario alla partenza, devono trovare la strada (in verità è piuttosto facile e, in più, mi si può telefonare), si cronometrano da soli, si impegnano a non barare, perché per registrare l’ordine di arrivo fa fede quanto dichiarato dai concorrenti.

4) Ma sono 35 chilometri! Niente panico: come già detto, non si corre, in più il percorso è circolare e ci si può ritirare quando si vuole (la distanza massima da un centro abitato è di un’ora, in genere meno), anche perché l’iniziativa è totalmente gratuita. C’è chi viene per finire il giro, chi prova a vedere se vince, chi la prende con molta calma, in gruppo, da solo, a tappe, chi si ritrova alla partenza per fare i primi 200 metri con gli altri e poi fermarsi al bar per la colazione e ritornarsene a casa (rimanendo comunque negli annali della Marcia), chi invece ne fa un pezzo e la completa un’altra volta.

5) L’idea di libertà, di non agonismo, il paesaggio incantevole, la pazzia di tentare i 35 chilometri per davvero (c’è chi li ha finiti senza essere un camminatore) sono fattori che comunicano buon umore. Forse per questo è nata la collaborazione volontaria con Ottavio Martinet, che da qualche anno realizza ciondoli in legno che da regalare alla partenza ai camminanti. Quello di quest’anno raffigura un fiore molto presente a Cogne, l’epilobium, che a me sta simpatico da quando ero bambino.

Invito tutte e tutti all’undicesima edizione della Marcia Granparadiso estate.
Che vogliate concluderla o fare un salto al primo bar per la colazione assieme, il ritrovo è a Cogne, domenica 17 agosto alle ore 8.30, nei prati di Sant’Orso, vicino al parco giochi. Alle 9.00 c’è il via. Io parto con qualsiasi tempo, poi bisogna vedere se arrivo.

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Palestina. Perché non possiamo essere equidistanti #2

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Secondo articolo sulla necessità di prendere posizione su quanto accade in Palestina (QUI il primo).

Quando si ragiona su quanto sta accadendo – dicevole vittime, numerose, spesso giovani, spesso bambini richiedono che si parta da lì, escludendo qualsiasi altra considerazione.

Hamas o non Hamas, dicevo, il punto di partenza per l’ipocrita invito al «dialogo» di cui ci riempiamo la bocca in occidente non può essere altro che la fine del massacro. Ora, ragionevolmente, Israele è l’unico a poter mettere fine all’uccisione di decine di persone al giorno, dal momento che è lui a colpire i territori palestinesi con una violenza persino superiore a quella delle “guerre” precedenti.

Ho anche detto che per invocare il diritto all’autodifesa bisogna essere “dalla parte del giusto“, e che Israele dalla parte del giusto non è, a causa dei continui soprusi e lutti che la popolazione palestinese deve subire anche in tempo di “pace”, vale a dire tra gli intervalli più o meno lunghi tra una “guerra” e l’altra.

C’è un altro motivo per cui noi italiani non possiamo sentirci equidistanti: i nostri governi – non solo quello attuale, ma anche i precedenti, indipendentemente dal colore politico – e i nostri parlamentari una decisione l’hanno presa, a partire almeno dal 17 maggio 2005, quando con la legge 94 è entrato in vigore il memorandum d’intesa sulla cooperazione militare israelo-italiana.

Cito, ancora dal manifesto del 30 luglio, alcune voci di questo accordo, riportate in un articolo di Manlio Dinucci (a proposito, il manifesto è una delle pochissime voci che, tra i media tradizionali, raccontano l’orrore di Gaza a partire da testimonianze dirette: è attualmente a Gaza come inviato l’ottimo Michele Giorgio).

La cooperazione tra i ministeri della difesa e le forze armate di Italia e Israele riguarda «l’importazione, esportazione e transito di materiali militari», «l’organizzazione delle forze armate», la «formazione/addestramento» […] La legge prevede anche la «cooperazione nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione» di tecnologie militari tramite «lo scambio di dati tecnici, informazione e hardware». Vengono inoltre incoraggiate «le rispettive industrie nella ricerca di progetti e materiali» di interesse comune.

Sulle attività congiunte tra le forze armate italiane e quelle israeliane e su quanto sta facendo l’industria militare nell’ambito dell’accordo, la legge pone un vincolo di segretezza, per cui neppure il Parlamento è a conoscenza di quanto avviene.

In tale quadro, l’Italia sta fornendo a Israele i primi dei 30 velivoli M-346 da addestramento avanzato, costruiti da Alenia-Aermacchi (Finmeccanica), che possono essere usati anche come caccia per l’attacco al suolo in operazioni belliche reali […] A sua volta l’Italia si è impegnata ad acquistare da Israele (con una spesa di oltre un miliardo di dollari) il sistema satellitare ottico ad alta risoluzione Optsat-3000, che serve a individuare gli obiettivi da colpire, più due aerei Gulfstream 550 che, trasformati dalla Israel Aerospace Industries, svolgono la funzione di comando e controllo per l’attacco in distanti teatri bellici.

L’Italia, in altre parole, ha scelto da che parte stare. Per questo, come cittadini italiani, non possiamo far finta di niente e pontificare sull’equidistanza tra le parti in lotta. Alcune delle armi utilizzate contro i palestinesi in questi giorni potrebbero essere il frutto dell’accordo tra Italia e Israele.

Come cittadino italiano, oltre che come essere umano, io chiedo l’impegno del mio Paese dalla coscienza pelosa per fare pressione su Israele per un cessate il fuoco immediato.

So perfettamente che ciò non avverrà, esattamente come so che, non appena finita questa fase più violenta della conquista israeliana della Palestina, quando i riflettori sulla Striscia torneranno a spegnersi, la quotidianità che riprenderà il sopravvento sarà fatta di omicidi mirati di membri di Hamas (anche questi con corollario di vittime innocenti, ammesso e non concesso che far parte di Hamas costituisca una colpa da punire con la morte), raid aerei, soprusi da parte dell’esercito, come anche dei coloni in Cisgiordania.

Con il benestare della Repubblica italiana che «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo» (art. 2 Cost. it.) e «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11 Cost. it.).

>>> Leggi anche l’articolo Palestina. Perché non possiamo essere equidistanti.

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